ITALO CALVINO

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Vita e opere - Critica e opere - Poetica

(Santiago de Las Vegas [Cuba] 1923 - Siena 1985)

Scrittore italiano. Italo Calvino nacque a Cuba, dove il padre si era trasferito per motivi di lavoro. Nel 1925 la famiglia ritornò in Italia e si stabilì a Sanremo, sulla riviera ligure di Ponente: qui l’autore visse la sua infanzia e la sua giovinezza. All’università egli intraprese gli studi per diventare, come il padre, agronomo (esperto dei metodi di coltivazione della terra), ma ben presto si accorse di preferire il mestiere di scrittore. Partecipò alla guerra partigiana, cui dedicò, nel 1947 uno dei più bei romanzi della nostra narrativa resistenziale, Il sentiero dei nidi di ragno. Successivamente collaborò a numerosi giornali e riviste, svolgendo anche attività di consulenza editoriale e soggiornò a lungo in Francia. Tra le sue numerose opere narrative, sono da ricordare: Il Visconte dimezzato (1952), il barone rampante (1957, premio Viareggio), Il cavaliere inesistente (1959), La giornata di uno scrutatore (1963), Le cosmicomiche (1965, poi ampliate con il titolo Cosmicomiche vecchie e nuove), Ti con zero (1968), Le città invisibili (1972), Il castello dei destini incrociati (1973), Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), Palomar (1983). Nel 1956 pubblicò una scelta di Fiabe italiane, trascritte dai dialetti di tutte le regioni; nel 1963 scrisse un libro per ragazzi, Marcovaldo. Raccolse inoltre in volumi numerosi interventi sul dibattito letterario contemporaneo (Una pietra sopra, 1980) e prose "d’occasione", frutto della sua onnivora curiosità enciclopedica (Collezione di sabbia, 1984). Collaborò con il compositore L. Berio scrivendo i testi per le opere La vera storia (1978) e Un re in ascolto (1984, che prende spunto dalla Tempesta di Shakespeare). Sono uscite postume le raccolte di racconti Sotto il sole giaguaro (1986), La strada si San Giovanni (1990), Prima che tu dica pronto (1993).

I suoi temi e modi narrativi sono ricchi e variegati: partito dalle memorie partigiane, è andato elaborando una lucida e raffinatissima etica quotidiana, che esprime attraverso apologhi ora grotteschi, ora fantascientifici, ora di amara ironia sui mali della società attuale. Contemporaneamente, la sua riflessione sulle ragioni dello scrivere si è volta alla costruzione di abilissimi meccanismi narrativi, capaci di esibire la natura di "artificio" combinatorio della scrittura, cui si aggiunge l’uso di uno stile fra i più limpidi ed eleganti della nostra prosa contemporanea. Negli interventi militanti, soprattutto negli anni Sessanta, Calvino ha fornito contributi essenziali al dibattito culturale del dopoguerra. Con il progettato (e incompiuto) ciclo di Lezioni americane, Sei proposte per il nuovo millennio (1988, che Calvino avrebbe dovuto tenere all’Università di Haward), lo scrittore ha lasciato un testamento spirituale, nel quale si riaffermano i valori della razionalità, della letteratura quale "funzione essenziale" e dell’arte in quanto forma di coscienza che svela le segrete connessioni del reale.

ITALO CALVINO:
CRITICA E OPERE

 

Già nel suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno (1947), lo scrittore dimostra <la sua vocazione favolistica... fusa con l’esigenza di concretezza realistica di quello stesso clima politico> entro cui svolge la vicenda. E’ la storia della guerra partigiana sulle colline piemontesi, vista però attraverso l’esperienza di un ragazzo, Pin, che vive l’avventura violenta di una lotta sanguinaria come una favola. Di intonazione decisamente realistica, anche per il linguaggio ardito e dialettale di cui si serve lo scrittore, il breve romanzo non manca di note idilliche nella contrapposizione tra l’euforia della violenza che domina l’animo del ragazzo e l’amore per la vita libera e cameratesca, tra l’energia generosa e l’agonismo sanguinario della guerra. Secondo il Falqui queste duecento pagine valsero subito al giovane scrittore <riconoscimento e lode per quel tanto di estroso e di poetico serbato saldo e vivo nel racconto dell’avventura della guerra partigiana vissuta e "giocata", tra i grandi, da un sorprendente fanciullo, come in una favola>.

Lo stesso dualismo troviamo nei racconti Ultimo viene il corvo (1949), che hanno tutti come argomento fatti di sangue e vicende di morte durante la lotta partigiana. Alla rappresentazione cruda di una realtà tragica e disumana, frutto della volontà dell’uomo, si contrappongono <sfondi naturali come oasi di salvezza o richiami di una vita migliore, di una realtà incorrotta e incorruttibile, quasi un ammonimento sottinteso agli uomini civili>(Pullini). Si veda, ad esempio, quel prigioniero che, lasciato con altri due compagni in un burrone, riesce a sopravvivere e attraverso la natura selvaggia e paurosa di una grotta sotterranea, giunge all’aperto e ridente paesaggio che sta dalla parte opposta (Uno dei tre è ancora vivo); o ancora l’apparizione allegorica di certi animali (il rospo, i pesci, il corvo), che danno al racconto un tono surreale, senza che la realtà circostante perda di concretezza e di precisione.

Il Falqui nel riassumere i temi e gli svolgimenti d questi racconti, si chiede se Italo Calvino sia da considerare un neorealista o piuttosto un surrealista, precisando poi che la parte più poetica dell’opera calviniana sta proprio là dove la polemica sociale non prevale sull’indipendenza artistica e quando alla libera invenzione non si sostituisca una sorta di retorica "obbligata e corrusca".

E’ indubbio comunque che dal modulo neorealistico Calvino si è allontanato nelle opere della maturità: Il Visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959), che <nascondono - osserva il Guglielminetti - sotto l’agilità e la freschezza di assurde invenzioni, degne dei poemi cavallereschi o dei romanzi voltariani, la volontà di cogliere alcuni fenomeni tipici dell’alienazione, di cui soffre l’uomo nella nostra società, e alcune sue impossibili fughe dallo strapotere delle macchine>. Dal documento di guerra siamo passati all’evasione nella favola, dai toni crudi e realistici, al sorriso, che tuttavia nasconde l’insoddisfazione della vita e l’insania degli uomini. Esemplare, a questo proposito, la strana e quasi comica storia del barone Cosimo Piovasco di Rondò, ambientata in un immaginario paesello della Liguria settecentesca. Il giovane barone, per protesta contro una presunta sopraffazione dei genitori, fugge nei boschi e trascorre la sua vita arrampicato sugli alberi, dove fissa la sua dimora. Da quella strana posizione egli continua a mantenere rapporti con il mondo sottostante. Un giorno Napoleone, che passava col suo esercito per quei luoghi, attratto dalla fama dello strano "barone rampante", lo Vuole conoscere e dal colloquio uscì talmente colpito da esclamare <S’io non era l’Imperator Napoleone, avria voluto essere il cittadino Cosimo Rondò>.

L’intento polemico della bizzarra storia è evidente: la saggezza di Cosimo sta nella rinuncia alle costrizioni del vivere sociale e richiama il messaggio roussoniano sulla superiorità della legge di natura contro le convenzioni sociali e civili della storia, che si ripete nella sua validità anche nella moderna società.

L’altra storia ci presenta un personaggio altrettanto spropositato ed eccezionale: un visconte durante le lotte tra cristiani e ugonotti viene dimezzato in battaglia, ma continua a vivere nelle due autonome metà: il simbolismo può consistere nel fatto che ciascuno presenta agli altri che lo osservano le due facce autonome diverse, riprendendo il motivo pirandelliano dello sdoppiamento della personalità; ma potrebbe ance significare, come suggerisce il Pullini, la incompletezza degli uomini in sé stessi, <chiusi in una visione settaria della realtà e incapaci di costruirsi in armoniosa interezza>: in questo senso è significativa l’osservazione dell’autore quando, dopo varie disavventure, le due metà del barone si ricompongono in unità: <Forse ci si aspettava che, tornato indietro il visconte, s’aprisse un’epoca di felicità meravigliosa; ma è chiaro che non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo>.

Il terzo racconto-favola che completa la trilogia (l’autore infatti ha voluto raccogliere le tre favole in un unico volume dal titolo I miei antenati) è forse il migliore ed anche il più significativo: alla ricchezza e alla varietà delle situazioni allegoriche si unisce, in perfetto equilibrio, il riferimento alla realtà contemporanea. la vicenda ci riporta al tempo delle imprese cavalleresche ed ha un vago sapore ariostesco (c’è chi ha definito Calvino l’Ariosto del nostro dopoguerra). Le avventure del cavaliere Agilulfo e del suo scudiero Gurdulù sono narrate con arguzia e spregiudicatezza da una monaca, Suor Teodora. Agilulfo è un "cavaliere inesistente", che non ha corpo, ma vive soltanto come voce dentro l’armatura per la sua ferma volontà di esistere: egli vuole essere, nella sua persona rarefatta, il perfetto cavaliere che agisce e combatte unicamente al servizio delle cause d’onore, <perfetto robot di un’età cavalleresca in cui l’ideale stava nell’arte di armeggiare inappuntabilmente>; tutta la sua vita è tesa a questo scopo: Sofronia, la presunta figlia del re di Scozia, viene da lui salvata dalla violenza di un seduttore, perché è compito del cavaliere difendere la fragile virginità femminile; quando però corre voce che la donna sia madre di Torrismondo, ecco il cavaliere correre alla ricerca della virginità della donna, su cui poggia tutto l’onore dell’uomo d’armi che l’ha salvata. Ma prima che l’innocenza di Sofronia venga scoperta, il cavaliere si uccide, perché crede compromessa l’integrità del suo onore. Accanto a lui sta l’altro protagonista, il suo scudiero Gurdulù, che è l’opposto del suo padrone, rudimentale, istintivo, senza coscienza di sé, più animale che uomo. Le loro avventure si mescolano con quelle di altri personaggi, che potremmo definire di una umanità intermedia, fatta di difetti, di compromessi, di contraddizioni, ma vivi e in fondo felici: tali sono Sofronia, Torrismondo, Rambaldo, Bradamante.

La favola, pur nella sua estrosità e fantasticheria, racchiude un chiaro significato allegorico e si riporta al problema esistenziale. Per questo non possiamo dire che Calvino abbia tradito il suo impegno morale, perché, come osserva il Pullini, <ha sempre presente la condizione di vita dell’uomo contemporaneo>; infatti <i due protagonisti... incarnano nella loro estrema unilateralità, il dramma moderno della vita razionalizzata fino alla spersonalizzazione e alla meccanica dell’automa (l’uno), e quello dell’istintiva incolta e animalesca raffigurata in uno stato anteriore a quello della coscienza e della storia civile (l’altro)>; il cavaliere è "l’uomo-macchina", che soccombe non appena si scalfisce un piccolo ingranaggio; lo scudiero è "l’uomo-bestia", legato allo stadio delle necessità naturali, incapace di evolversi moralmente. E’ il dramma riservato nella moderna società - osserva sempre il Pullini - <a chi possiede la perfezione dell’automa o la rudimentalità della bestia>; la felicità può forse essere raggiunta da chi si insedia in una posizione intermedia tra i due estremi della "sublimazione intellettuale" e "l’imbestiamento sensuale".

All’indirizzo favoloso Calvino si mantiene fedele anche nelle sue recentissime opere, le Cosmicomiche (1965) e Ti con Zero (1968), dove dai toni fiabeschi passa addirittura <ai toni fantascientifici, spesso in chiave grottesca>; si tratta sempre di <una lettura evasiva, nella quale l’analisi della realtà si pone in termini non più di resa oggettiva ma di trasfigurazione fantasiosa>(Petronio).

ITALO CALVINO: POETICA

Italo Calvino viene formato in un ambiente politico famigliare: il padre, di famiglia mazziniana repubblicana anticlericale massonica, era stato in gioventù un anarchico e un socialista riformista; la madre, di famiglia laica, socialista interventista ma di spirito pacifista.

Anch’ egli è un socialista:<<Il primo ricordo della mia vita è un socialista bastonato dagli squadristi>>. I genitori sono contrari al fascismo; la loro critica contro il regime è tuttavia più una condanna generale della politica. Diventerà balilla d’ obbligo negli ultimi anni delle elementari.

I genitori non gli danno un’ educazione religiosa. Il giovane Italo, oltre a leggere opere letterarie, legge con interesse riviste umoristiche (Bertoldo, Marc’Aurelio, Settebello), di cui lo attrae lo spirito d’ ironia.

La sua gioventù viene stroncata dalla guerra, dove la sua posizione ideologica rimane incerta.

Nel 1944 si arruola nella divisione partigiana che operava sulle Alpi Marittime, iscrivendosi al PCI e diventando comunista.

Attivista del PCI nella provincia di Imperia, scrive su vari periodici.

Diviene molto amico di Cesare Pavese: <<Finivo un racconto e correvo da lui a farlo leggere. Quando morì mi pareva che non sarei più stato buono a scrivere, senza il punto di riferimento di quel lettore ideale>>.

Visse a lungo a Torino, dove lavorava come giornalista per la casa editrice Einaudi.

Dopo circa un anno (1948-49) come redattore della terza pagina dell’ Unità, capisce di non avere la doti del giornalista e neanche del politico professionale, e non era neppure certo della vocazione letteraria, infatti, dopo il primo romanzo pubblicato, Il sentiero dei nidi di ragno (1947), tentò per anni di scriverne altri sulla stessa linea realistico-sociale, che venivano stroncati o cestinati dai suoi maestri e consiglieri. Decise così di scrivere un romanzo che lui disse di "divertimento", che cioè doveva piacere a lui e non agli altri, Il visconte dimezzato (1952). Con gran stupore di Calvino, tra i critici ci furono consensi quasi unanimi, tanto che uscì anche un bel articolo di Emilio Cecchi, il che allora significava la consacrazione dello scrittore nella letteratura italiana ufficiale.

Da quella affermazione prese slancio la produzione del Calvino "fiabesco".

Nel 1956 Giulio Einaudi gli commissionò il volume delle fiabe italiane della tradizione popolare, che Calvino scelse e tradusse dai dialetti delle raccolte folcloristiche dell’ Ottocento. Un lavoro anche erudito che risvegliò in lui la passione per gli studi di novellistica comparata.

Un altro polo d’ interesse costante di Calvino era il Settecento. E’ naturale quindi che il più vasto romanzo che egli ha scritto sia una trasfigurazione di miti personali e contemporanei in allegorie settecentesche: Il barone rampante (1957). Nel 1957 prende una sofferta decisione: abbandona il PCI, a causa delle lotte interne del 1956.

I suoi libri più recenti testimoniano un ritorno ad una sua passione giovanile: l’ astronomia e la cosmologia (Le cosmicomiche, 1965).

Calvino muore a Siena nel 1985.

 

da Il cavaliere inesistente, Oscar Mondadori,

Gli amori difficili, Arnoldo Mondadori.