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- ORATORIA -

STORIA DELL’ORATORIA FINO ALLA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO

 

L’oratoria era già presente presso l’antica Grecia e si sviluppò presto nelle libere assemblee e nei tribunali popolari grazie alla struttura democratica delle poleis. L’oratoria si sviluppò principalmente ad Atene, grazie ad uomini politici come Temistocle e Pericle. Sotto l’influsso dei sofisti venne poi teorizzata e perfezionata, diventando un’arte completa.

Anche a Roma l’oratoria comparve presto: veniva utilizzata durante le discussioni in Senato e nell’eloquenza giudiziaria nel Foro. All’inizio l’oratoria comparve spontaneamente per necessità politiche e giudiziarie, più tardi diventò un fatto di cultura. Sotto la Repubblica giunse al suo massimo splendore ma con l’avvento del potere imperiale iniziò la sua decadenza.

Nella vita politica di Roma repubblicana l’oratoria era uno strumento essenziale per la conquista di prestigio e potere: tutti i maggiori uomini politici furono oratori. La prima orazione pubblicata sembra sia stata quella di Appio Claudio il Cieco, nel 280 a.C., contro le proposte di Pirro al Senato. Appio Claudio, Fabio Massimo e Cecilio Metello furono i precursori del primo periodo dell’oratoria latina, quello catoniano. Seguendo l’esempio di Catone molti uomini politici romani pubblicarono le loro orazioni, ma, a differenza dell’oratoria greca, quella latina repubblicana è quasi totalmente andata perduta e di queste orazioni ci rimane ben poco. Nel secondo periodo dell’oratoria si assiste all’intensificarsi dell’influenza greca: con l’influsso ellenistico e più in particolare della retorica greca, l’oratoria si arricchì di nuovi elementi che la portarono a diventare una vera e propria arte. Con Gaio Gracco quest’influenza si afferma decisamente. Un terzo periodo è quello di Lucio Licinio Crasso, che insieme a Marco Antonio rappresenta il vertice dell’oratoria romana tra I e II secolo a.C. L’età successiva va sotto al nome di Cicerone. Dopo di lui ci sono i suoi seguaci, della scuola attica, ritenuti dagli antichi i più grandi di tutti: Licinio Calvo, Giulio Cesare, Celio Rufo, Bruto. Altro importante oratore di questo periodo è Ortensio Ortalo, che appartiene però alla scuola asiana.

La nuova oratoria dell’età imperiale, fiorita nelle scuole di retorica, ha caratteri diversissimi da quella repubblicana. Iniziatore della nuova oratoria è considerato Cassio Severo, fiorito sotto Augusto. Vengono poi Gneo Domizio, Giulio Africano e, sotto i Flavi, Marco Fabio Quintiliano. Sotto Nerva e Traiano ci sono Plinio il Giovane e lo storico Tacito.

Negli ultimi secoli dell’Impero e nei secoli successivi alla sua caduta si assiste, grazie al Cristianesimo, al fiorire dell’oratoria sacra.

 

SCUOLE ATTICA E ASIANA

L’atticismo è l’imitazione nell’eloquenza di alcuni oratori attici, come Lisia, che sembravano meglio rappresentare la finezza e l’eleganza attica. Tale tendenza sorse al tempo di Cicerone, che la combatté, ed ebbe il suo massimo rappresentante latino in Bruto, che proponeva come modello di eloquenza latina Catone il Censore. Echi della polemica sono ancora in Quintiliano.

Il termine asianismo fu dapprima utilizzato dagli oratori atticisti romani del I sec a.C. a indicare l’eloquenza degli avversari, definita come quella esuberante, ligia al ritmo, che spezza i periodi in membri assonanti e predilige le arguzie e i neologismi. Ma l’asianismo era veramente sorto prima in Atene. Nel I sec a.C. l’asianismo ebbe un altro indirizzo: si ricercavano le parole poetiche e gli ornamenti e, poiché asiatici erano i princiapli oratori di questo nuovo tipo di eloquenza, come Eschilo di Cnido e Menecle e Ierocle di Alabanda, e asiatico era stato Egesia, i cantemporanei di Cicerone e lui stesso parlarono appunto di stile asiano e asiatico. Dei Romani il più illustre rappresentante dell’asianismo fu Ortensio Ortalo.

COS’È L’ORATORIA

 

L’oratoria è l’arte del dire, cioè del parlare in pubblico, a un’adunanza, a un’assemblea. Essa veniva sfruttata dai politici per suscitare emozioni negli animi degli ascoltatori. Cicerone nelle opere retoriche ("De oratore", "Brutus", "Orator") ci descrive il suo stile oratorio come il più originale che Roma avesse mai conosciuto per la mirabile varietà dei toni, la capacità di mettere in luce le implicazioni generali delle cause in questione, l’abbondante uso dell’umorismo, il ricorso alla filosofia e alla storia, la sovrana abilità nel pilotare le emozioni dell’uditorio. Sempre secondo Cicerone il valore dell’eloquenza si misura sulla capacità di persuadere larghe masse di persone. L’oratore veramente grande sa eccellere in tutti i registri dello stile, e in particolar modo in quello "grandioso" e commovente, capace di smuovere con violenza gli animi degli ascoltatori.

 

BIBLIOGRAFIA

"Dizionario Enciclopedico Italiano", ed. Treccani, 1970

"Storia della letteratura latina", Perelli, ed. Paravia, 1994

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