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CATULLO - CARMI 1-17

I
cui dono lepidum novum libellum 
arida modo pumice expolitum. 
Corneli tibi namque tu solebas 
meas esse aliquid putare nugas 
iam tum cum ausus es unus Italorum 5 
omne aevum tribus explicare cartis 
doctis Iuppiter et laboriosis. 
quare habe tibi quidquid hoc libelli 
qualecumque quidem est. patroni et ergo 
plus uno maneat perenne saeclo. 10 

A chi dono il nuovo piacevole libretto
appena levigato dalla ruvida pomice?
A te Cornelio: infatti eri solito ritenere
che i miei componimenti valessero qualcosa,
già allora quando osasti unico tra gli italici
svolgere la storia di un secolo, o Giove?
In tre libri dotti ed elaborati. Per questo,
accetta questo libretto, qualunque cosa sia
e per quello che è. E questo, o musa,
possa sopravvivere per un secolo.
II
passer. deliciae meae puellae.
quicum ludere. quem in sinu tenere.
cui primum digitum dare appetenti.
et acres solet incitare morsus.
cum desiderio meo nitenti 5
carum nescio quid libet iocare
et solaciolum sui doloris
credo ut tum gravis acquiescet ardor.
tecum ludere sicut ipsa possem
et tristes animi levare curas. 10
 
 

Passero, delizia della mia ragazza,
che ci gioca e lo tiene sul grembo,
gli dà  la punta del dito
e stà  a provocare i morsi
acuti, quando il mio fulgido amore
è in vena di scherzi che diano
conforto al suo dolore,
credo, riposo alla passione dura
potessi anch'io giocare con te come fa lei,
e alleviare le tristi angosce dell'animo.
 
Ringrazio beba82 per la traduzione inviatami
IIb
tam gratum est mihi quam ferunt puellae
pernici aureolum fuisse malum
quod zonam solvit diu negatam.

E come dicono piacesse a una fanciulla
svelta il pomo dorato che le tolse
l'impaccio della sua ritrosia, mi piace.
III
lugete o Veneres Cupidinesque
et quantum est hominum venustiorum.
passer mortuus est meae puellae.
passer deliciae meae puellae.
quem plus illa oculis suis amabat. 5
nam mellitus erat suamque norat
ipsam tam bene quam puella matrem.
nec sese a gremio illius movebat
sed circumsiliens modo huc modo illuc
ad solam dominam usque pipilabat. 10
qui tunc it per iter tenebricosum
illuc unde negant redire quemquam.
at vobis male sit malae tenebrae
Orci. quae omnia bella devoratis.
tam bellum mihi passerem abstulistis. 15
o factum male. o miselle passer.
tua nunc opera meae puellae
flendo turgiduli rubent ocelli.

Piangete o veneri amori e tutti voi
uomini un po’ gentili.
E' morto il passero della mia fanciulla,
il passero gioia della mia fanciulla,
che ella amava più dei suoi occhi;
infatti era dolce come il miele e conosceva la sua
stessa padrona tanto bene quanto una fanciulla sua madre
e non si allontanava dal suo grembo
ma saltellando attorno ora qua e ora là
pigolava sempre soltanto alla sua padrona.
Ma ora esso va per un cammino buio,
là dove dicono che nessuno ritorna,
ma voi siate maledette crudeli tenebre
dell’orco che divorate tutte le cose graziose;
mi avete portato via un passero così grazioso.
O che disgrazia! O povero passerotto!
Per causa tua i begli occhi della mia fanciulla
sono gonfi e rossi a furia di piangere.
IV
phaselus ille quem videtis hospites
ait fuisse nauium celerrimus.
neque ullius natantis impetum trabis
nequisse praeterire. sive palmulis
opus foret volare. sive linteo. 5
et hoc negat minacis Adriatici
negare litus insulasue Cyclades
Rhodumque nobilem horridamque Thraciam
Propontidem trucemue Ponticum sinum
ubi iste post phaselus antea fuit 10
comata silua. nam Cytorio in iugo
loquente saepe sibilum edidit coma.
Amastris Pontica. et Cytore buxifer.
tibi haec fuisse et esse cognitissima
ait phaselus. ultima ex origine 15
tuo stetisse dicit in cacumine.
tuo imbuisse palmulas in aequore.
et inde tot per impotentia freta
erum tulisse. laeva sive dextera
vocaret aura sive. utrumque Iuppiter 20
simul secundus incidisset in pedem.
neque ulla vota litoralibus deis
sibi esse facta cum veniret a mari
novissimo hunc ad usque limpidum lacum.
sed haec prius fuere. nunc recondita 25
senet quiete. seque dedicat tibi
gemelle Castor et gemelle Castoris.
IV
Questo battello che vedete, amici,
si vanta d'essere stato una nave
cosí veloce che mai nessun legno
poté superarlo in gara, volando
con le ali dei remi o delle vele.
Certo ne possono far fede i porti
dell'Adriatico infido o le Cicladi,
la luminosa Rodi, il mar di Marmara
agitato o l'orribile mar Nero
dove fu, prima d'essere battello,
foresta oscura: sul monte Citoro
la sua voce fischiava tra le foglie.
Questo, Amastri, questo tu lo sapevi,
dice a battello, e i bossi del Citoro
lo sanno ancora, sin dal tempo in cui
si alzava sopra la tua cima o quando
immerse i remi dentro le tue acque
e poi di là per mari tempestosi
condusse il suo padrone sulla rotta
dove spirava il vento col favore
che nelle vele v'imprimeva Giove:
nessun voto agli dei dovette rendere
nei porti, navigando da quel mare
del diavolo a questo limpido lago.
Acqua passata: ora solitario
invecchia in pace e si dedica a voi,
a te Castore e al gemello tuo.  
V
vivamus mea Lesbia. atque amemus.
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
soles occidere et redire possunt.
nobis cum semel occidit breuis lux 5
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille. deinde centum.
dein mille altera. dein secunda centum.
deinde usque altera mille. deinde centum.
dein cum milia multa fecerimus 10
conturbabimus illa ne sciamus
aut ne quis malus invidere possit
cum tantum sciat esse basiorum.

Godiamoci la vita mia Lesbia, e amiamoci
e non teniamo in alcun conto
le critiche dei vecchi più severi.
I giorni possono tramontare e rinascere:
noi, non appena è tramontata la nostra breve vita,
dobbiamo dormire un'unica notte senza fine.
Dammi 1000 baci poi 100
poi di nuovo 1000 poi ancora altri 100,
poi ancora altri 1000, poi altri 100,
poi quando ne avremo accumulati molte migliaia
li confonderemo per non sapere la somma
o perché nessun maligno possa gettarci il malocchio,
sapendo che è cosi grande il numero dei nostri baci.
VI
Flavi delicias tuas Catullo
ni sint illepidae atque inelegantes
velles dicere. nec tacere posses.
verum nescio quid febriculosi
scorti diligis. hoc pudet fateri. 5
nam te non viduas iacere noctes
nequiquam. tacitum cubile clamat
sertis ac Syrio fragrans olivo.
puluinusque. peraeque. et hic et ille
attritus. tremulique quassa lecti. 10
argutatio. inambulatioque.
nam ibi stat. pudet nihil tacere.
cur non tam latera ecfututa pandas
ni tu quid facias ineptiarum.
quare quidquid habes boni malique 15
dic nobis. volo te ac tuos amores
ad caelum lepido vocare versu.

Flavio, se l'amor tuo non fosse privo
di grazia e di finezza lo vorresti dire
a Catullo, non sapresti tacere.
Ma certo tu ami qualche puttana
malandata: per questo ti vergogni.
Che tu non giaccia in solitudine la notte,
anche se tace, lo rivela la tua camera
fragrante di ghirlande e di profumi assiri,
il cuscino gualcito da ogni parte,
lo scricchiolare agitato del letto
che trema tutto e non trova pace.
Inutile tacere: non ti serve.
Non mostreresti fianchi cosí smunti
se non facessi un monte di sciocchezze.
E allora quello che hai, bello o brutto,
dimmelo. Voglio con un gioco di parole
portare te e il tuo amore alle stelle.  
VII
quaeris quot mihi basiationes
tuae Lesbia sint satis superque.
quam magnus numerus Libyssae harenae
lasarpiciferis iacet Cyrenis
oraclum Iovis inter aestuosi 5
et Batti veteris sacrum sepulcrum.
aut quam sidera multa cum tacet nox
furtivos hominum vident amores.
tam te basia multa basiare
vesano satis et super Catullo est 10
quae nec pernumerare curiosi
possint nec mala fascinare lingua. 

Tu mi domandi,Lesbia, quanti baci,
di quelli tuoi,potrebbero bastarmi.
Tanti,quanti sono i granelli di sabbia dei deserti
nelle distese della Cirenaica, ricca di silfio,
tra l'oracolo torrido di Giove
e la venerabile tomba dell'antichissimo Batto;
o quante sono le stelle che nei silenzi
della notte vedono i furtivi amori degli uomini.
Il numero è questo, dei baci con cui devi baciare
il tuo pazzo Catullo perché ne abbia abbastanza.
I curiosi non possano contarli, né stregarci
una lingua incantatrice.
VIII
miser Catulle. desinas ineptire.
et quod vides perisse perditum ducas.
fulsere quondam candidi tibi soles.
cum ventitabas quo puella ducebat
amata nobis quantum amabitur nulla. 5
ibi illa multa cum iocosa fiebant
quae tu volebas nec puella nolebat
fulsere vere candidi tibi soles.
nunc iam illa non vult. tu quoque impotens noli
nec quae fugit sectare. nec miser vive. 10
sed obstinata mente perfer. obdura.
vale puella. iam Catullus obdurat.
nec te requiret. nec rogabit inuitam.
at tu dolebis cum rogaberis nulla.
scelesta. vae te. quae tibi manet vita. 15
quis nunc te adibit. cui videberis bella.
quem nunc amabis. cuius esse diceris.
quem basiabis. cui labella mordebis.
at tu Catulle desinatus obdura.

Disgraziato Catullo, smetti di essere folle
E ritieni perso ciò che vedi andato perduto
un giorno per te brillarono giorni luminosi,
quando eri solito andare dove la fanciulla ti conduceva
amata da noi quanto nessun altra sarà mai amata.
Là allora si facevano molti giochi d'amore, che
tu volevi e la fanciulla non rifiutava
veramente brillarono per te giornate luminose
ora ella non vuole più: anche tu, per quanto
a fatica, non volere e non inseguire lei che fugge, e non vivere
da infelice, ma con animo fermo resisti, sopporta.
Addio, fanciulla, ormai Catullo resiste,
non ti cercherà più ne ti supplicherà se tu non vuoi;
ma tu soffrirai quando non sarai più supplicata,
sciagurata, guai a te, quale vita ti aspetta?
Chi ora si avvicinerà a te? A chi sembrerai attraente?
Chi ora amerai? Di chi si dirà che sei?
Chi bacerai? A chi morderai le labbra?
Ma tu, Catullo, ostinato resisti.
IX
Verani omnibus e meis amicis
antistans mihi milibus trecentis.
venistine domum ad tuos penates.
fratresque unanimos. anumque matrem.
venisti. o mihi nuntii beati. 5
visam te incolumem audiamque Hiberum
narrantem loca facta nationes
ut mos est tuus. applicansque collum
iucundum os oculosque suaviabor.
o quantum est hominum beatiorum. 10
quid me laetius est beatiusve.

O Veranio, che tra tutti i miei amici
tu stai davanti di trecento miglia,
sei tornato a casa, ai tuoi penati
e ai fratelli concordi alla vecchia madre?
Sei tornato. O notizia a me lieta!
Ti vedrò incolume, ti ascolterò narrare dei luoghi visitati,
delle tue avventure, dei costumi dei popoli,
come è tua abitudine, e con le braccia intorno al tuo collo
ti bacerò il volto giocondo e gli occhi.
O quanto c'è di uomini felici,
chi è più gioioso e beato di me?
X
Varus me meus ad suos amores
visum duxerat e foro otiosum.
scortillum ut mihi tunc repente visum est
non sane illepidum neque invenustum.
huc ut venimus incidere nobis 5
sermones varii. in quibus. quid esset
iam Bithynia. quo modo se haberet.
ecquonam mihi profuisset aere.
respondi id quod erat. nihil neque ipsis
nec praetoribus esse nec cohorti. 10
cur quisquam caput unctius referret
praesertim quibus esset irrumator.
praetor nec faceret pili cohortem.
at certe tamen inquiunt. quod illic
natum dicitur esse. comparasti 15
ad lecticam homines. ego ut puellae
unum me facerem beatiorem
non inquam mihi tam fuit maligne
ut provincia quod mala incidisset
non possem octo homines parare rectos. 20
at mi nullus erat neque hic neque illic
fractum qui ueteris pedem grabati
in collo sibi collocare posset.
hic illa ut decuit cinaediorem
quaeso inquit mihi mi Catulle paulum. 25
istos commoda nam volo ad serapim
deferri. mane inquii puellae.
istud quod modo dixeram me habere.
fugit me ratio. meus sodalis.
Cinna est Gaius. is sibi parauit. 30
verum utrum illius an mei quid ad me.
utor tam bene quam mihi pararim.
sed tu insulsa male et molesta viuis.
per quam non licet esse neglegentem.

Dal Foro dove ciondolavo il mio buon Varo
mi porta a casa di una sua ragazza,
una fichina che a prima vista mi parve
non priva di qualche grazia, quasi carina.
Giunti da lei ci si mise a parlare
di tante cose e fra queste della Bitinia,
il suo stato, le sue condizioni politiche,
i guadagni che mi avrebbe fruttato.
Risposi la verità: a nessuno di noi,
pretori o gente del seguito, era toccato
di tornarsene col capo piú profumato,
vedi poi se ti capita in sorte un fottuto
di pretore che del seguito se ne infischia.
'Ma almeno' m'interrompono 'avrai comprato
ciò che dicono la specialità del luogo,
dei portatori di lettiga.' Io per farmi
con la donna un po' piú fortunato degli altri:
'Non mi è andata poi cosí male,' le rispondo
'considerata quella terra maledetta:
ne ho cavato otto uomini robusti.'
In realtà non ne avevo neppure uno,
qui a Roma o laggiù, in grado di reggere
sul collo una vecchia brandina sgangherata.
E quella con la sua facciatosta mi fa:
'Catullo mio, dovresti prestarmeli un attimo,
te ne prego, voglio farmi portare al tempio
di Seràpide.' 'Un momento, dico, ragazza,
ciò che poco fa ho detto di possedere,
m'ero distratto: è un amico mio,
Gaio Cinna, che se l'è procurato.
D'altra parte, suoi o miei, che importa?
Me ne servo come fossero miei.
Ma tu sei proprio sciocca e impertinente
se non ammetti che ci si possa distrarre.'  
XI
Furi et Aureli comites Catulli.
sive in extremos penetrabit Indos
litus ut longe resonante Eoa
tunditur unda.
sive in Hyrcanos Arabesve molles 5
seu Sacas sagittiferosve Parthos
sive quae septemgeminus colorat
aequora Nilus.
siue trans altas gradietur Alpes
Caesaris visens monumenta magni 10
Gallicum Rhenum horribilesque ulti
mosque Britannos.
omnia haec quaecumque feret voluntas
caelitum temptare simul parati.
pauca nuntiate meae puellae 15
non bona dicta.
cum suis viuat valeatque moechis
quos simul complexa tenet trecentos
nullum amans vere sed identidem omnium
ilia rumpens. 20
nec meum respectet ut ante amorem.
qui illius culpa cecidit velut prati
ultimi flos praetereunte postquam
tactus aratro est.

Furio e Aurelio, voi che siete disposti ad accompagnare
Catullo, sia che voglia giungere fra gli Indiani
ai confini del mondo, dove il lido è battuto dalle onde
orientali che risuonano di lontano,
sia tra gli Ircani o fra gli Arabi effemminati
o presso i Saggi e i Parti armati di frecce,
sia (presso) le acque che il Nilo dalle sette bocche
colora,
sia che voglia valicare le alte Alpi,
per visitare le testimonianze del grande Cesare,
o il Reno dei Galli, l'oceano spaventoso e i Britanni
posti ai confini del mondo,
pronti ad affrontare tutti questi rischi insieme a me,
tutti quelli che porterà la volontà dei celesti:
annunciate alla mia ragazza poche
non buone parole.
Con i suoi amanti viva e stia bene,
che, abbracciandoli insieme, tiene nel numero di trecento,
senza amarne davvero nessuno, ma rompendo i lombi
di ognuno senza tregua;
e non guardi, come prima, il mio amore,
che è caduto per colpa sua, come un fiore posto
al margine di un prato, che è toccato dall'aratro
che passa.
XII
Marrucine Asini. manu sinistra
non belle uteris in ioco atque vino.
tollis lintea neglegentiorum.
hoc salsum esse putas. fugit te inepte.
quamvis sordida res et invenusta est. 5
non credis mihi. crede Pollioni
fratri. qui tua furta vel talento
mutari velit. est enim leporum
disertus puer ac facetiarum.
quare aut hendecasyllabos trecentos 10
exspecta aut mihi linteum remitte.
quod me non movuet aestimatione.
verum est mnemosynum mei sodalis.
nam sudaria Saetaba ex Hiberis
miserunt mihi muneri Fabullus 15
et Veranius. haec amem necesse est
ut Veraniolum meum et Fabullum. 

Asinio Marrucino, tu non usi bene
la mano sinistra nello scherzo e nel vino:
rubi il fazzoletto ai distratti.
Pensi che questo sia spiritoso? Ti inganni, sciocco,
quanto vuoi è cosa ignobile e inelegante.
Non mi credi? Credi a tuo fratello Pollione
che vorrebbe scambiare i tuoi furti con un talento;
è infatti un ragazzo
dotato di garbo e buongusto.
Perciò aspettati trecento endecasillabi
o rendimi il fazzoletto,
il quale non mi muove per il suo valore,
ma è un ricordo di miei amici.
Infatti Fabullo e Veranio mi inviarono
fazzoletti Setabi in dono dall'Iberia;
devo quindi amarli come amo
il mio Veraniolo e il mio Fabullo.
XIII
cenabis bene mi Fabulle apud me
paucis si tibi di favent diebus.
si tecum attuleris bonam atque magnam
cenam. non sine candida puella.
et vino. et sale. et omnibus cachinnis. 5
haec si inquam attuleris venuste noster
cenabis bene. nam tui Catulli
plenus sacculus est aranearum.
sed contra accipies meros amores
seu quid suavius elegantiusve est. 10
nam unguentum dabo quod meae puellae
donarunt Veneres Cupidinesque.
quod tu cum olfacies deos rogabis
totum ut te faciant Fabulle nasum.

Cenerai bene mio caro Fabullo, da me
tra pochi giorni, se gli dei ti sono favorevoli,
se porterai con te una cena gustosa e abbondante
non senza una splendida fanciulla e vino
e sale e ogni genere di allegria.
Se porterai ciò io dico, bello mio
cenerai bene; infatti il borsellino
del tuo Catullo è pieno di ragnatele,
ma in cambio riceverai affetto sincero e
quello che vi è più soave e raffinato:
infatti ti darò un unguento che alla mia
fanciulla donarono le veneri e gli amori.
Quando tu lo annuserai, o Fabullo, pregherai
gli dei che ti facciano diventare tutto naso.
XIV
ni te plus oculis meis amarem
iucundissime Calve munere isto
odissem te odio Vatiniano.
nam quid feci ego. quidve sum locutus.
cur me tot male perderes poetis. 5
isti di mala multa dent clienti
qui tantum tibi misit impiorum.
quod si ut suspicor hoc novum ac repertum
munus dat tibi Sulla litterator
non est mi male sed bene ac beate 10
quod non dispereunt tui labores.
di magni. horribilem et sacrum libellum
quem tu scilicet ad tuum Catullum
misti continuo ut die periret
saturnalibus optimo dierum. 15
non. non hoc tibi salse sic abibit.
nam si luxerit ad librariorum
curram scrinia. Caesios Aquinos
Suffenum omnia colligam venena.
ac te his suppliciis remunerabor. 20
vos hinc interea valete abite.
illuc unde malum pedem attulistis
saecli incommoda pessimi poëtae.

Se non ti amassi più dei miei occhi,
amabilissimo Calvo, per questo dono
ti dovrei odiare di un odio Vatiniano;
infatti che cosa ho fatto o che cosa ho detto,
perché tu mi dovessi far male con tanti poeti?
Gli dei mandino molte sciagure a quel tuo cliente,
che ti ha mandato tanti empi.
Se poi, come sospetto, questo regalo insolito
e bizzarro te l'ha fatto Silla il maestro di scuola,
non mi dispiace, ma ne sono lieto e felice,
poiché la tua fatica non va perduta.
O grandi dei, l'orribile e esecrabile libretto!
Che mandasti naturalmente al tuo Catullo
perché morisse di colpo nel giorno più bello,
nei giorni dei Saturnali.
No, non la farai franca, spiritoso;
infatti, se verrà giorno, correrò
alle cassette dei librai, raccoglierò i Cesi, gli Aquini,
i Suffeni, tutta questa robaccia,
e ti ricompenserò con questi supplizi.
Intanto voi, state bene e di qui
andate là dove avete mosso i vostri piedi esecrabili,
sventura della nostra età, pessimi poeti.
XIVb
si qui forte mearum ineptiarum
lectores eritis. manusque vestras
non horrebitis admovere nobis.

Se per caso lettori voi sarete
di queste mie sciocchezze e non avrete orrore
d'avvicinarmi con le vostre mani
XV
commendo tibi me ac meos amores
Aureli. veniam peto pudentem.
ut si quicquam animo tuo cupisti
quem castum expeteres et integellum
conserues puerum mihi pudice. 5
non dico a populo. nihil veremur
istos qui in platea modo huc modo illuc
in re praetereunt sua occupati.
verum a te metuo tuoque pene
infesto pueris bonis malisque. 10
quem tu qua libet ut libet moveto
quantum vis ubi erit foris paratum.
hunc unum excipio ut puto pudenter.
quod si te mala mens furorque vecors
in tantam impulerit sceleste culpam 15
ut nostrum insidiis caput lacessas.
ah. tum te miserum malique fati.
quem attractis pedibus patente porta
percurrent raphanique mugilesque.


A te come me stesso affido il mio amore,
Aurelio. Un piccolo favore che ti chiedo:
se mai qualcuno amasti in cuore tuo
che tu desiderassi casto e puro,
conservami pulito questo mio ragazzo.
Non dico dalla gente, ché non ho pensiero
di chi corre su e giú per la via
tutto occupato nelle sue faccende;
ma di te ho timore e del tuo cazzo
nemico d'ogni ragazzo, buono o cattivo
che sia. Quando comanda ficcalo dove
e come vuoi, se è ritto e sguainato.
Ti proibisco lui solo, non credo molto.
Ma se la tua pazzia, una passione insana
ti spingesse, scellerato, tanto nel crimine
da insidiare la stessa mia persona,
povero te, la sorte che ti viene:
divaricate le gambe, per quella porta
radici e pesci ti ficcherò dentro. 

XVI
pedicabo ego vos et irrumabo
Aureli pathice et cinaede Furi.
qui me ex versiculis meis putastis
quod sunt molliculi parum pudicum.
nam castum esse decet pium poetam 5
ipsum. versiculos nihil necesse est.
qui tum denique habent salem ac leporem.
si sint molliculi ac parum pudici.
et quod pruriat incitare possint.
non dico pueris sed his pilosos 10
qui duros nequeunt movere lumbos.
vos quod milia multa basiorum
legistis male me marem putatis.
pedicabo ego vos et irrumabo.

In bocca e in culo ve lo ficcherò,
Furio ed Aurelio, checché bocchinare
che per due poesiole libertine
quasi un degenerato mi considerate.
Che debba esser pudico il poeta è giusto,
ma perché lo dovrebbero i suoi versi?
Hanno una loro grazia ed eleganza
solo se son lascivi, spudorati
e riescono a svegliare un poco di prurito,
non dico nei fanciulli, ma in qualche caprone
con le reni inchiodate dall'artrite.
E voi, perché leggete nei miei versi baci
su baci, mi ritenete un effeminato?
In bocca e in culo ve lo ficcherò.
XVII
o Colonia. quae cupis ponte ludere longo.
et salire paratum habes. sed vereris inepta
crura ponticuli axulis stantis in redivivis
ne supinus eat. cavaque in palude recumbat.
sic tibi bonus ex tua pons libidine fiat 5
in quo vel Salisubsali sacra suscipiantur.
munus hoc mihi maximi da Colonia risus.
quendam municipem meum de tuo volo ponte
ire praecipitem in lutum per caputque pedesque.
verum totius ut lacus putidaeque paludis 10
lividissima maximeque est profunda vorago.
insulsissimus est homo. nec sapit pueri instar
bimuli tremula patris dormientis in ulna.
cui cum sit viridissimo nupta flore puella.
et puella tenellulo delicatior haedo 15
asseruanda nigerrimis diligentius uvis.
ludere hanc sinit ut libet. nec pili facit uni.
nec se sublevat ex sua parte. sed velut alnus
in fossa Liguri iacet suppernata securi.
tantundem omnia sentiens quam si nulla sit usquam. 20
talis iste meus stupor. nil videt. nihil audit.
ipse qui sit. utrum sit an non sit. id quoque nescit.
nunc eum volo de tuo ponte mittere pronum
si pote stolidum repente excitare veternum.
et supinum animum in gravi derelinquere caeno 25
ferream ut soleam tenaci in voragine mula.

Tu desideri far festa, Verona,
sul tuo Pontelungo
e già sei pronta a ballare,
ma le gambe fragili di un ponticello
che si regge su tavolette riparate
ti fan temere che crolli
e precipiti in fondo alla palude.
Sia pure esaudita questa voglia
e tu abbia un ponte cosí solido
da sostenere anche i Salii
nelle loro sarabande sacre,
ma in cambio voglio da te, Verona,
un regalo che mi diverta da morire:
buttami giú da quel tuo ponte
un certo mio concittadino
capofitto nel fango dalla testa ai piedi
là dove l'abisso delle acque
è piú profondo, il piú livido
di tutta questa fetida palude.
È un uomo d'una stupidità tale
che non ha piú giudizio del bambino
cullato tra le braccia di suo padre.
Sposata una fanciulla
in tutto il fiore dei suoi anni,
una fanciulla delicata
e tenera piú d'un agnellino
d'averne tanta cura
come dell'uva che è matura,
lascia che lei si diverta
nel modo preferito
e non gliene importa nulla,
non inalbera il suo diritto,
ma come un ontano, abbattuto
dalla scure di un Ligure,
giace in fondo ad un fossato,
questo mio incredibile stupido,
sensibile a tutto come se non esistesse,
non vede, non sente nulla,
non sa nemmeno chi egli sia
o se per caso sia o non sia.
Ora io voglio scaraventarlo
giú da quel tuo ponte,
se mai è possibile che d'un colpo
si riscuota dal suo torpore assurdo
e nelle profondità del fango
smarrisca la sua apatia,
come una mula lo zoccolo di ferro
in un pantano scivoloso. 

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