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CATULLO - CARMI 1-17
I cui dono lepidum novum libellum arida modo pumice expolitum. Corneli tibi namque tu solebas meas esse aliquid putare nugas iam tum cum ausus es unus Italorum 5 omne aevum tribus explicare cartis doctis Iuppiter et laboriosis. quare habe tibi quidquid hoc libelli qualecumque quidem est. patroni et ergo plus uno maneat perenne saeclo. 10 |
A chi dono il nuovo piacevole libretto appena levigato dalla ruvida pomice? A te Cornelio: infatti eri solito ritenere che i miei componimenti valessero qualcosa, già allora quando osasti unico tra gli italici svolgere la storia di un secolo, o Giove? In tre libri dotti ed elaborati. Per questo, accetta questo libretto, qualunque cosa sia e per quello che è. E questo, o musa, possa sopravvivere per un secolo. |
II passer. deliciae meae puellae. quicum ludere. quem in sinu tenere. cui primum digitum dare appetenti. et acres solet incitare morsus. cum desiderio meo nitenti 5 carum nescio quid libet iocare et solaciolum sui doloris credo ut tum gravis acquiescet ardor. tecum ludere sicut ipsa possem et tristes animi levare curas. 10 |
Passero, delizia della mia ragazza, che ci gioca e lo tiene sul grembo, gli dà la punta del dito e stà a provocare i morsi acuti, quando il mio fulgido amore è in vena di scherzi che diano conforto al suo dolore, credo, riposo alla passione dura potessi anch'io giocare con te come fa lei, e alleviare le tristi angosce dell'animo. Ringrazio beba82 per la traduzione inviatami |
IIb tam gratum est mihi quam ferunt puellae pernici aureolum fuisse malum quod zonam solvit diu negatam. |
E come dicono piacesse a una fanciulla svelta il pomo dorato che le tolse l'impaccio della sua ritrosia, mi piace. |
III lugete o Veneres Cupidinesque et quantum est hominum venustiorum. passer mortuus est meae puellae. passer deliciae meae puellae. quem plus illa oculis suis amabat. 5 nam mellitus erat suamque norat ipsam tam bene quam puella matrem. nec sese a gremio illius movebat sed circumsiliens modo huc modo illuc ad solam dominam usque pipilabat. 10 qui tunc it per iter tenebricosum illuc unde negant redire quemquam. at vobis male sit malae tenebrae Orci. quae omnia bella devoratis. tam bellum mihi passerem abstulistis. 15 o factum male. o miselle passer. tua nunc opera meae puellae flendo turgiduli rubent ocelli. |
Piangete o veneri amori e tutti voi uomini un po’ gentili. E' morto il passero della mia fanciulla, il passero gioia della mia fanciulla, che ella amava più dei suoi occhi; infatti era dolce come il miele e conosceva la sua stessa padrona tanto bene quanto una fanciulla sua madre e non si allontanava dal suo grembo ma saltellando attorno ora qua e ora là pigolava sempre soltanto alla sua padrona. Ma ora esso va per un cammino buio, là dove dicono che nessuno ritorna, ma voi siate maledette crudeli tenebre dell’orco che divorate tutte le cose graziose; mi avete portato via un passero così grazioso. O che disgrazia! O povero passerotto! Per causa tua i begli occhi della mia fanciulla sono gonfi e rossi a furia di piangere. |
IV phaselus ille quem videtis hospites ait fuisse nauium celerrimus. neque ullius natantis impetum trabis nequisse praeterire. sive palmulis opus foret volare. sive linteo. 5 et hoc negat minacis Adriatici negare litus insulasue Cyclades Rhodumque nobilem horridamque Thraciam Propontidem trucemue Ponticum sinum ubi iste post phaselus antea fuit 10 comata silua. nam Cytorio in iugo loquente saepe sibilum edidit coma. Amastris Pontica. et Cytore buxifer. tibi haec fuisse et esse cognitissima ait phaselus. ultima ex origine 15 tuo stetisse dicit in cacumine. tuo imbuisse palmulas in aequore. et inde tot per impotentia freta erum tulisse. laeva sive dextera vocaret aura sive. utrumque Iuppiter 20 simul secundus incidisset in pedem. neque ulla vota litoralibus deis sibi esse facta cum veniret a mari novissimo hunc ad usque limpidum lacum. sed haec prius fuere. nunc recondita 25 senet quiete. seque dedicat tibi gemelle Castor et gemelle Castoris. |
IV Questo battello che vedete, amici, si vanta d'essere stato una nave cosí veloce che mai nessun legno poté superarlo in gara, volando con le ali dei remi o delle vele. Certo ne possono far fede i porti dell'Adriatico infido o le Cicladi, la luminosa Rodi, il mar di Marmara agitato o l'orribile mar Nero dove fu, prima d'essere battello, foresta oscura: sul monte Citoro la sua voce fischiava tra le foglie. Questo, Amastri, questo tu lo sapevi, dice a battello, e i bossi del Citoro lo sanno ancora, sin dal tempo in cui si alzava sopra la tua cima o quando immerse i remi dentro le tue acque e poi di là per mari tempestosi condusse il suo padrone sulla rotta dove spirava il vento col favore che nelle vele v'imprimeva Giove: nessun voto agli dei dovette rendere nei porti, navigando da quel mare del diavolo a questo limpido lago. Acqua passata: ora solitario invecchia in pace e si dedica a voi, a te Castore e al gemello tuo. |
V vivamus mea Lesbia. atque amemus. rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus assis. soles occidere et redire possunt. nobis cum semel occidit breuis lux 5 nox est perpetua una dormienda. da mi basia mille. deinde centum. dein mille altera. dein secunda centum. deinde usque altera mille. deinde centum. dein cum milia multa fecerimus 10 conturbabimus illa ne sciamus aut ne quis malus invidere possit cum tantum sciat esse basiorum. |
Godiamoci la vita mia Lesbia, e amiamoci e non teniamo in alcun conto le critiche dei vecchi più severi. I giorni possono tramontare e rinascere: noi, non appena è tramontata la nostra breve vita, dobbiamo dormire un'unica notte senza fine. Dammi 1000 baci poi 100 poi di nuovo 1000 poi ancora altri 100, poi ancora altri 1000, poi altri 100, poi quando ne avremo accumulati molte migliaia li confonderemo per non sapere la somma o perché nessun maligno possa gettarci il malocchio, sapendo che è cosi grande il numero dei nostri baci. |
VI Flavi delicias tuas Catullo ni sint illepidae atque inelegantes velles dicere. nec tacere posses. verum nescio quid febriculosi scorti diligis. hoc pudet fateri. 5 nam te non viduas iacere noctes nequiquam. tacitum cubile clamat sertis ac Syrio fragrans olivo. puluinusque. peraeque. et hic et ille attritus. tremulique quassa lecti. 10 argutatio. inambulatioque. nam ibi stat. pudet nihil tacere. cur non tam latera ecfututa pandas ni tu quid facias ineptiarum. quare quidquid habes boni malique 15 dic nobis. volo te ac tuos amores ad caelum lepido vocare versu. |
Flavio, se l'amor tuo non fosse privo di grazia e di finezza lo vorresti dire a Catullo, non sapresti tacere. Ma certo tu ami qualche puttana malandata: per questo ti vergogni. Che tu non giaccia in solitudine la notte, anche se tace, lo rivela la tua camera fragrante di ghirlande e di profumi assiri, il cuscino gualcito da ogni parte, lo scricchiolare agitato del letto che trema tutto e non trova pace. Inutile tacere: non ti serve. Non mostreresti fianchi cosí smunti se non facessi un monte di sciocchezze. E allora quello che hai, bello o brutto, dimmelo. Voglio con un gioco di parole portare te e il tuo amore alle stelle. |
VII quaeris quot mihi basiationes tuae Lesbia sint satis superque. quam magnus numerus Libyssae harenae lasarpiciferis iacet Cyrenis oraclum Iovis inter aestuosi 5 et Batti veteris sacrum sepulcrum. aut quam sidera multa cum tacet nox furtivos hominum vident amores. tam te basia multa basiare vesano satis et super Catullo est 10 quae nec pernumerare curiosi possint nec mala fascinare lingua. |
Tu mi domandi,Lesbia, quanti baci, di quelli tuoi,potrebbero bastarmi. Tanti,quanti sono i granelli di sabbia dei deserti nelle distese della Cirenaica, ricca di silfio, tra l'oracolo torrido di Giove e la venerabile tomba dell'antichissimo Batto; o quante sono le stelle che nei silenzi della notte vedono i furtivi amori degli uomini. Il numero è questo, dei baci con cui devi baciare il tuo pazzo Catullo perché ne abbia abbastanza. I curiosi non possano contarli, né stregarci una lingua incantatrice. |
VIII miser Catulle. desinas ineptire. et quod vides perisse perditum ducas. fulsere quondam candidi tibi soles. cum ventitabas quo puella ducebat amata nobis quantum amabitur nulla. 5 ibi illa multa cum iocosa fiebant quae tu volebas nec puella nolebat fulsere vere candidi tibi soles. nunc iam illa non vult. tu quoque impotens noli nec quae fugit sectare. nec miser vive. 10 sed obstinata mente perfer. obdura. vale puella. iam Catullus obdurat. nec te requiret. nec rogabit inuitam. at tu dolebis cum rogaberis nulla. scelesta. vae te. quae tibi manet vita. 15 quis nunc te adibit. cui videberis bella. quem nunc amabis. cuius esse diceris. quem basiabis. cui labella mordebis. at tu Catulle desinatus obdura. |
Disgraziato Catullo, smetti di essere folle E ritieni perso ciò che vedi andato perduto un giorno per te brillarono giorni luminosi, quando eri solito andare dove la fanciulla ti conduceva amata da noi quanto nessun altra sarà mai amata. Là allora si facevano molti giochi d'amore, che tu volevi e la fanciulla non rifiutava veramente brillarono per te giornate luminose ora ella non vuole più: anche tu, per quanto a fatica, non volere e non inseguire lei che fugge, e non vivere da infelice, ma con animo fermo resisti, sopporta. Addio, fanciulla, ormai Catullo resiste, non ti cercherà più ne ti supplicherà se tu non vuoi; ma tu soffrirai quando non sarai più supplicata, sciagurata, guai a te, quale vita ti aspetta? Chi ora si avvicinerà a te? A chi sembrerai attraente? Chi ora amerai? Di chi si dirà che sei? Chi bacerai? A chi morderai le labbra? Ma tu, Catullo, ostinato resisti. |
IX Verani omnibus e meis amicis antistans mihi milibus trecentis. venistine domum ad tuos penates. fratresque unanimos. anumque matrem. venisti. o mihi nuntii beati. 5 visam te incolumem audiamque Hiberum narrantem loca facta nationes ut mos est tuus. applicansque collum iucundum os oculosque suaviabor. o quantum est hominum beatiorum. 10 quid me laetius est beatiusve. |
O Veranio, che tra tutti i miei amici tu stai davanti di trecento miglia, sei tornato a casa, ai tuoi penati e ai fratelli concordi alla vecchia madre? Sei tornato. O notizia a me lieta! Ti vedrò incolume, ti ascolterò narrare dei luoghi visitati, delle tue avventure, dei costumi dei popoli, come è tua abitudine, e con le braccia intorno al tuo collo ti bacerò il volto giocondo e gli occhi. O quanto c'è di uomini felici, chi è più gioioso e beato di me? |
X Varus me meus ad suos amores visum duxerat e foro otiosum. scortillum ut mihi tunc repente visum est non sane illepidum neque invenustum. huc ut venimus incidere nobis 5 sermones varii. in quibus. quid esset iam Bithynia. quo modo se haberet. ecquonam mihi profuisset aere. respondi id quod erat. nihil neque ipsis nec praetoribus esse nec cohorti. 10 cur quisquam caput unctius referret praesertim quibus esset irrumator. praetor nec faceret pili cohortem. at certe tamen inquiunt. quod illic natum dicitur esse. comparasti 15 ad lecticam homines. ego ut puellae unum me facerem beatiorem non inquam mihi tam fuit maligne ut provincia quod mala incidisset non possem octo homines parare rectos. 20 at mi nullus erat neque hic neque illic fractum qui ueteris pedem grabati in collo sibi collocare posset. hic illa ut decuit cinaediorem quaeso inquit mihi mi Catulle paulum. 25 istos commoda nam volo ad serapim deferri. mane inquii puellae. istud quod modo dixeram me habere. fugit me ratio. meus sodalis. Cinna est Gaius. is sibi parauit. 30 verum utrum illius an mei quid ad me. utor tam bene quam mihi pararim. sed tu insulsa male et molesta viuis. per quam non licet esse neglegentem. |
Dal Foro dove ciondolavo il mio buon Varo mi porta a casa di una sua ragazza, una fichina che a prima vista mi parve non priva di qualche grazia, quasi carina. Giunti da lei ci si mise a parlare di tante cose e fra queste della Bitinia, il suo stato, le sue condizioni politiche, i guadagni che mi avrebbe fruttato. Risposi la verità: a nessuno di noi, pretori o gente del seguito, era toccato di tornarsene col capo piú profumato, vedi poi se ti capita in sorte un fottuto di pretore che del seguito se ne infischia. 'Ma almeno' m'interrompono 'avrai comprato ciò che dicono la specialità del luogo, dei portatori di lettiga.' Io per farmi con la donna un po' piú fortunato degli altri: 'Non mi è andata poi cosí male,' le rispondo 'considerata quella terra maledetta: ne ho cavato otto uomini robusti.' In realtà non ne avevo neppure uno, qui a Roma o laggiù, in grado di reggere sul collo una vecchia brandina sgangherata. E quella con la sua facciatosta mi fa: 'Catullo mio, dovresti prestarmeli un attimo, te ne prego, voglio farmi portare al tempio di Seràpide.' 'Un momento, dico, ragazza, ciò che poco fa ho detto di possedere, m'ero distratto: è un amico mio, Gaio Cinna, che se l'è procurato. D'altra parte, suoi o miei, che importa? Me ne servo come fossero miei. Ma tu sei proprio sciocca e impertinente se non ammetti che ci si possa distrarre.' |
XI Furi et Aureli comites Catulli. sive in extremos penetrabit Indos litus ut longe resonante Eoa tunditur unda. sive in Hyrcanos Arabesve molles 5 seu Sacas sagittiferosve Parthos sive quae septemgeminus colorat aequora Nilus. siue trans altas gradietur Alpes Caesaris visens monumenta magni 10 Gallicum Rhenum horribilesque ulti mosque Britannos. omnia haec quaecumque feret voluntas caelitum temptare simul parati. pauca nuntiate meae puellae 15 non bona dicta. cum suis viuat valeatque moechis quos simul complexa tenet trecentos nullum amans vere sed identidem omnium ilia rumpens. 20 nec meum respectet ut ante amorem. qui illius culpa cecidit velut prati ultimi flos praetereunte postquam tactus aratro est. |
Furio e Aurelio, voi che siete disposti ad accompagnare Catullo, sia che voglia giungere fra gli Indiani ai confini del mondo, dove il lido è battuto dalle onde orientali che risuonano di lontano, sia tra gli Ircani o fra gli Arabi effemminati o presso i Saggi e i Parti armati di frecce, sia (presso) le acque che il Nilo dalle sette bocche colora, sia che voglia valicare le alte Alpi, per visitare le testimonianze del grande Cesare, o il Reno dei Galli, l'oceano spaventoso e i Britanni posti ai confini del mondo, pronti ad affrontare tutti questi rischi insieme a me, tutti quelli che porterà la volontà dei celesti: annunciate alla mia ragazza poche non buone parole. Con i suoi amanti viva e stia bene, che, abbracciandoli insieme, tiene nel numero di trecento, senza amarne davvero nessuno, ma rompendo i lombi di ognuno senza tregua; e non guardi, come prima, il mio amore, che è caduto per colpa sua, come un fiore posto al margine di un prato, che è toccato dall'aratro che passa. |
XII Marrucine Asini. manu sinistra non belle uteris in ioco atque vino. tollis lintea neglegentiorum. hoc salsum esse putas. fugit te inepte. quamvis sordida res et invenusta est. 5 non credis mihi. crede Pollioni fratri. qui tua furta vel talento mutari velit. est enim leporum disertus puer ac facetiarum. quare aut hendecasyllabos trecentos 10 exspecta aut mihi linteum remitte. quod me non movuet aestimatione. verum est mnemosynum mei sodalis. nam sudaria Saetaba ex Hiberis miserunt mihi muneri Fabullus 15 et Veranius. haec amem necesse est ut Veraniolum meum et Fabullum. |
Asinio Marrucino, tu non usi bene la mano sinistra nello scherzo e nel vino: rubi il fazzoletto ai distratti. Pensi che questo sia spiritoso? Ti inganni, sciocco, quanto vuoi è cosa ignobile e inelegante. Non mi credi? Credi a tuo fratello Pollione che vorrebbe scambiare i tuoi furti con un talento; è infatti un ragazzo dotato di garbo e buongusto. Perciò aspettati trecento endecasillabi o rendimi il fazzoletto, il quale non mi muove per il suo valore, ma è un ricordo di miei amici. Infatti Fabullo e Veranio mi inviarono fazzoletti Setabi in dono dall'Iberia; devo quindi amarli come amo il mio Veraniolo e il mio Fabullo. |
XIII cenabis bene mi Fabulle apud me paucis si tibi di favent diebus. si tecum attuleris bonam atque magnam cenam. non sine candida puella. et vino. et sale. et omnibus cachinnis. 5 haec si inquam attuleris venuste noster cenabis bene. nam tui Catulli plenus sacculus est aranearum. sed contra accipies meros amores seu quid suavius elegantiusve est. 10 nam unguentum dabo quod meae puellae donarunt Veneres Cupidinesque. quod tu cum olfacies deos rogabis totum ut te faciant Fabulle nasum. |
Cenerai bene mio caro Fabullo, da me tra pochi giorni, se gli dei ti sono favorevoli, se porterai con te una cena gustosa e abbondante non senza una splendida fanciulla e vino e sale e ogni genere di allegria. Se porterai ciò io dico, bello mio cenerai bene; infatti il borsellino del tuo Catullo è pieno di ragnatele, ma in cambio riceverai affetto sincero e quello che vi è più soave e raffinato: infatti ti darò un unguento che alla mia fanciulla donarono le veneri e gli amori. Quando tu lo annuserai, o Fabullo, pregherai gli dei che ti facciano diventare tutto naso. |
XIV ni te plus oculis meis amarem iucundissime Calve munere isto odissem te odio Vatiniano. nam quid feci ego. quidve sum locutus. cur me tot male perderes poetis. 5 isti di mala multa dent clienti qui tantum tibi misit impiorum. quod si ut suspicor hoc novum ac repertum munus dat tibi Sulla litterator non est mi male sed bene ac beate 10 quod non dispereunt tui labores. di magni. horribilem et sacrum libellum quem tu scilicet ad tuum Catullum misti continuo ut die periret saturnalibus optimo dierum. 15 non. non hoc tibi salse sic abibit. nam si luxerit ad librariorum curram scrinia. Caesios Aquinos Suffenum omnia colligam venena. ac te his suppliciis remunerabor. 20 vos hinc interea valete abite. illuc unde malum pedem attulistis saecli incommoda pessimi poëtae. |
Se non ti amassi più dei miei occhi, amabilissimo Calvo, per questo dono ti dovrei odiare di un odio Vatiniano; infatti che cosa ho fatto o che cosa ho detto, perché tu mi dovessi far male con tanti poeti? Gli dei mandino molte sciagure a quel tuo cliente, che ti ha mandato tanti empi. Se poi, come sospetto, questo regalo insolito e bizzarro te l'ha fatto Silla il maestro di scuola, non mi dispiace, ma ne sono lieto e felice, poiché la tua fatica non va perduta. O grandi dei, l'orribile e esecrabile libretto! Che mandasti naturalmente al tuo Catullo perché morisse di colpo nel giorno più bello, nei giorni dei Saturnali. No, non la farai franca, spiritoso; infatti, se verrà giorno, correrò alle cassette dei librai, raccoglierò i Cesi, gli Aquini, i Suffeni, tutta questa robaccia, e ti ricompenserò con questi supplizi. Intanto voi, state bene e di qui andate là dove avete mosso i vostri piedi esecrabili, sventura della nostra età, pessimi poeti. |
XIVb si qui forte mearum ineptiarum lectores eritis. manusque vestras non horrebitis admovere nobis. |
Se per caso lettori voi sarete di queste mie sciocchezze e non avrete orrore d'avvicinarmi con le vostre mani |
XV commendo tibi me ac meos amores Aureli. veniam peto pudentem. ut si quicquam animo tuo cupisti quem castum expeteres et integellum conserues puerum mihi pudice. 5 non dico a populo. nihil veremur istos qui in platea modo huc modo illuc in re praetereunt sua occupati. verum a te metuo tuoque pene infesto pueris bonis malisque. 10 quem tu qua libet ut libet moveto quantum vis ubi erit foris paratum. hunc unum excipio ut puto pudenter. quod si te mala mens furorque vecors in tantam impulerit sceleste culpam 15 ut nostrum insidiis caput lacessas. ah. tum te miserum malique fati. quem attractis pedibus patente porta percurrent raphanique mugilesque. |
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XVI pedicabo ego vos et irrumabo Aureli pathice et cinaede Furi. qui me ex versiculis meis putastis quod sunt molliculi parum pudicum. nam castum esse decet pium poetam 5 ipsum. versiculos nihil necesse est. qui tum denique habent salem ac leporem. si sint molliculi ac parum pudici. et quod pruriat incitare possint. non dico pueris sed his pilosos 10 qui duros nequeunt movere lumbos. vos quod milia multa basiorum legistis male me marem putatis. pedicabo ego vos et irrumabo. |
In bocca e in culo ve lo ficcherò, Furio ed Aurelio, checché bocchinare che per due poesiole libertine quasi un degenerato mi considerate. Che debba esser pudico il poeta è giusto, ma perché lo dovrebbero i suoi versi? Hanno una loro grazia ed eleganza solo se son lascivi, spudorati e riescono a svegliare un poco di prurito, non dico nei fanciulli, ma in qualche caprone con le reni inchiodate dall'artrite. E voi, perché leggete nei miei versi baci su baci, mi ritenete un effeminato? In bocca e in culo ve lo ficcherò. |
XVII o Colonia. quae cupis ponte ludere longo. et salire paratum habes. sed vereris inepta crura ponticuli axulis stantis in redivivis ne supinus eat. cavaque in palude recumbat. sic tibi bonus ex tua pons libidine fiat 5 in quo vel Salisubsali sacra suscipiantur. munus hoc mihi maximi da Colonia risus. quendam municipem meum de tuo volo ponte ire praecipitem in lutum per caputque pedesque. verum totius ut lacus putidaeque paludis 10 lividissima maximeque est profunda vorago. insulsissimus est homo. nec sapit pueri instar bimuli tremula patris dormientis in ulna. cui cum sit viridissimo nupta flore puella. et puella tenellulo delicatior haedo 15 asseruanda nigerrimis diligentius uvis. ludere hanc sinit ut libet. nec pili facit uni. nec se sublevat ex sua parte. sed velut alnus in fossa Liguri iacet suppernata securi. tantundem omnia sentiens quam si nulla sit usquam. 20 talis iste meus stupor. nil videt. nihil audit. ipse qui sit. utrum sit an non sit. id quoque nescit. nunc eum volo de tuo ponte mittere pronum si pote stolidum repente excitare veternum. et supinum animum in gravi derelinquere caeno 25 ferream ut soleam tenaci in voragine mula. |
Tu desideri far festa, Verona, sul tuo Pontelungo e già sei pronta a ballare, ma le gambe fragili di un ponticello che si regge su tavolette riparate ti fan temere che crolli e precipiti in fondo alla palude. Sia pure esaudita questa voglia e tu abbia un ponte cosí solido da sostenere anche i Salii nelle loro sarabande sacre, ma in cambio voglio da te, Verona, un regalo che mi diverta da morire: buttami giú da quel tuo ponte un certo mio concittadino capofitto nel fango dalla testa ai piedi là dove l'abisso delle acque è piú profondo, il piú livido di tutta questa fetida palude. È un uomo d'una stupidità tale che non ha piú giudizio del bambino cullato tra le braccia di suo padre. Sposata una fanciulla in tutto il fiore dei suoi anni, una fanciulla delicata e tenera piú d'un agnellino d'averne tanta cura come dell'uva che è matura, lascia che lei si diverta nel modo preferito e non gliene importa nulla, non inalbera il suo diritto, ma come un ontano, abbattuto dalla scure di un Ligure, giace in fondo ad un fossato, questo mio incredibile stupido, sensibile a tutto come se non esistesse, non vede, non sente nulla, non sa nemmeno chi egli sia o se per caso sia o non sia. Ora io voglio scaraventarlo giú da quel tuo ponte, se mai è possibile che d'un colpo si riscuota dal suo torpore assurdo e nelle profondità del fango smarrisca la sua apatia, come una mula lo zoccolo di ferro in un pantano scivoloso. |
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