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CATULLO - CARMI 86-100
LXXXVI Quintia formosa est multis. mihi candida longa recta est. haec ego sic singula confiteor. totum illud formosa nego. nam nulla venustas nulla in tam magno est corpore mica salis. Lesbia formosa est quae cum pulcerrima tota est 5 tum omnibus una omnes surripuit Veneres. |
Quintia per molti è bella, per me è bianca, alta, dritta: questi pregi, così presi uno ad uno io li ammetto. Quel "bella" considerato nell'insieme, io lo nego: infatti non vi è grazia, né un granellino di sale in tanto grande corpo. Lesbia è bella, lei non solo è tutta bellissima, ma anche ha rubato lei sola a tutte le grazie. |
LXXXVII nulla potest mulier tantum se dicere amatam vere quantum a me Lesbia amata mea es. nulla fides ullo fuit umquam in foedere tanta quanta in amore tuo ex parte reperta mea est. |
Nessuna donna potrà dire 'sono stata amata' piú di quanto io ti ho amato, Lesbia mia. Nessun legame avrà mai quella fedeltà che nel mio amore io ti ho portato. |
LXXXVIII quid facit is Gelli. qui cum matre atque sorore prurit. et abiectis pervigilat tunicis. quid facit is. patruum qui non sinit esse maritum. ecquid scis quantum suscipiat sceleris. suscipit o Gelli quantum non ultima Tethys 5 nec genitor nympharum abluit Oceanus. nam nihil est quicquam sceleris quo prodeat ultra. non si demisso se ipse voret capite. |
Come chiamare, Gellio, chi passa le sue notti a chiavarsi, tutto nudo, madre e sorella? Come chiamare chi vieta allo zio d'essere marito? Senti l'enormità dell'infamia che commette? Un'infamia che nemmeno Teti ai confini del mondo o il padre delle ninfe Oceano potrebbe lavare. Non vi è infamia che vada oltre questa, nemmeno se piegato il capo divorassi te stesso. |
LXXXIX Gellius est tenuis. quid ni. cui tam bona mater tamque valens vivat. tamque venusta soror. tamque bonus patruus. tamque omnia plena puellis cognatis. quare is desinat esse macer. qui ut nihil attingat nisi quod fas tangere non est. 5 quantumuis quare sit macer iuvenies. |
Gellio è ridotto uno scheletro. Certo, con una madre cosí attraente e sfrenata, quell'incantevole sorella, con uno zio tanto accomodante e tutta quella schiera di ragazze sue parenti, che sia stremato è naturale. Anche se non toccasse niente oltre ciò che è proibito, vi son fin troppe ragioni perché sia cosí stremato. |
XC nascatur magus ex Gelli matrisque nefando coniugio. et discat Persicum aruspicium. nam magus ex matre et nato gignatur oportet. si vera est Versarum impia religio. gnatus ut accepto veneretur carmine divos 5 omentum in flamma pingue liquefaciens. |
Un mago nasca dall'unione nefanda di Gellio con la madre e apprenda l'arte persiana dei presagi. Se l'infame religione dei Persiani è vera, solo da madre e figlio potrà nascere un mago che con i suoi scongiuri ottenga il favore degli dei sciogliendo tra le fiamme il grasso delle viscere. |
XCI non ideo Gelli sperabam te mihi fidum in misero hoc nostro hoc perdito amore fore. quod te cognossem bene. constantemue putarem. aut posse a turpi mentem inhibere probro. sed neque quod matrem nec germanam esse videbam 5 hanc tibi cuius me magnus edebat amor. et quamuis tecum multo coniungerer usu. non satis id causae credideram esse tibi. tu satis id duxti. tantum tibi gaudium in omni culpa est. in quacumque est aliquid sceleris. 10 |
Nel mio infelice, nel disperato amore mio certo non speravo, Gellio, che tu mi fossi amico perché ti leggessi nel cuore o ti ritenessi fedele e incapace di tramare le infamie piú turpi, ma perché, pensavo, non ti è né madre né sorella questa donna che d'amore forsennato mi divora. E malgrado lunga consuetudine mi legasse a te, non credevo che ciò fosse per te sufficiente. Ma lo è stato: tanto è il piacere che tu provi in ogni colpa dove vi sia un margine d'orrore. |
XCII Lesbia mi dicit semper male. nec tacet umquam de me. Lesbia me dispeream nisi amat. quo signo. quia sunt totidem mea. deprecor illam assidue. verum dispeream nisi amo. |
Lesbia parla sempre male di me e non tace mai su di me: che io possa morire se Lesbia non mi ama. Da quale segno lo capisco? Perché sono uguali i miei segni: la insulto continuamente, ma che io possa morire se non la amo. |
XCIII nil nimium studeo Caesar tibi velle placere. nec scire utrum sis albus an ater homo. |
Non mi importa molto, o Cesare, di volerti picere, né mi interessa, se tu sia un uomo bianco o nero. |
XCIV Mentula moechatur. moechatur mentula. certe. hoc est quod dicunt ipsa olera olla legit. |
Cazzo chiava, chiava cazzo; cosí dev'essere: ad ogni erba la sua pentola. |
XCV Zmyrna mei Cinnae nonam post denique messem quam coepta est nonamque edita post hiemem. milia cum interea quingenta Hortensius uno versiculorum anno quolibet ediderit. Zmyrna cauas Satrachi penitus mittetur ad undas. 5 Zmyrnam cana diu saecula pervoluent. at Volusi annales Paduam morientur ad ipsam. et laxas scombris saepe dabunt tunicas. |
Dopo nove inverni e nove estati di lavoro finalmente la Zmyrna del mio Cinna è pubblicata, mentre Ortensio mezzo milione di versi scrive all'anno... La Zmyrna arriverà sino alle acque profonde del Sàtraco e ancora in secoli lontani sarà letta. Gli Annali di Volusio invece moriranno a Padova o forniranno cartaccia per avvolgere gli sgombri. |
XCVb parua mei mihi sint cordi monimenta sodalis. at populus tumido gaudeat Antimacho. |
Mi rimanga dunque in cuore il suo piccolo gioiello e i profani si godano pure l'enfasi di Antímaco. |
XCVI si quicquam mutis gratum acceptumque sepulcris accidere a nostro Calve dolore potest. quo desiderio veteres renovamus amores atque olim missas flemus amicitias. certe non tanto mors immatura dolore est 5 Quintiliae quantum gaudet amore tuo. |
Se mai la tenerezza di un conforto può giungere alle tombe silenziose, Calvo, dal nostro dolore, dal rimpianto che rivive l'amore passato e lamenta l'affetto perdutosi nel tempo, certo Quintilia tanto s'incanta al tuo amore, che piú non si dispera della sua vita breve. |
XCVII non ita me di ament quicquam referre putavi utrumne os an culum olfacerem Aemilio. nilo mundius hoc. niloque immundius illud. verum etiam culus mundior et melior. nam sine dentibus est. hic dentis sesquipedalis. 5 gingiuas vero ploxeni habet veteris. praeterea rictum. qualem diffissus in aestu meientis mulae cunnus habere solet. hic futuit multas. et se facit esse venustum. et non pistrino traditur atque asino. 10 quem siqua attingit non illam posse putemus aegroti culum lingere carnificis. |
Non immaginavo (che gli dei mi perdonino) di dover dire che sarei capace di annusare sia la bocca che il culo di Emilio. Molto pulito questo, ma immonda quella: cacchio è proprio vero che il culo è più pulito della bocca, infatti è senza nemmeno un dente. Mentre quella ha denti lunghi oltre misura, e le gengive malandate come una vecchia carcassa di carro, ed il sorriso (!) sembra una vagina di mula aperta, nell'atto di pisciare. Egli non fa altro che chiavare a destra e a manca con l'aspetto del gran signore; ma perché non lo aggiogano ad una mola come un asino? Quella che con lui se la gode non leccherebbe il culo nemmeno ad un carnefice malandato. |
XCVIII in te si in quemquam dici pote. putide Victi. id quod verbosis dicitur et fatuis. ista cum lingua si usus veniat tibi possis culos et crepidas lingere carpatinas. si nos omnino vis omnes perdere Victi 5 hiscas. omnino quod cupis efficies. |
A nessuno peggiore di te, Vezio schifoso, si può dire quel che si dice a ciarlatani e sciocchi: se mai ne avessi bisogno, potresti leccar culi e scarponi con questa tua linguaccia. E se in un colpo, Vezio, vorrai ammazzarci tutti, apri la bocca: otterrai in un colpo ciò che tu vuoi. |
XCIX surripui tibi dum ludis mellite Iuventi suaviolum dulci dulcius ambrosia. verum id non impune tuli. namque amplius horam suffixum in summa me memini esse cruce dum tibi me purgo. nec possum fletibus ullis 5 tantillum vestrae demere saevitiae. nam simul id factum est multis diluta labella guttis abstersisti omnibus articulis. ne quicquam nostro contractum ex ore maneret. tamquam commictae spurca saliva lupae. 10 praeterea infestum misero me tradere amore non cessavisti omni excruciarique modo. ut mi ex ambrosia mutatum iam foret illud suaviolum tristi tristius elleboro. quam quoniam poenam misero proponis amori 15 numquam iam posthac basia surripiam. |
Mentre tu giocavi, dolcissimo Giovenzio, io t'ho rubato un bacio piú dolce del miele. Ma l'ho pagato caro: crocifisso per piú di un'ora sono rimasto, ricordo, a scusarmi con te senza che le mie lacrime potessero spegnere la tua collera. Subito ti sei asciugato le labbra umide d'ogni goccia con tutte e due le mani, perché non restasse traccia della mia bocca quasi fosse la sborrata d'una puttana. E m'hai fatto subire tutte le torture d'amore, ogni supplizio possibile: quel bacio che m'era sembrato tanto dolce, si è rivelato piú amaro del fiele. Se questa è la pena a cui condanni un amore infelice, mai piú ti ruberò un bacio. |
C Caelius Aufilenum et Quintius Aufilenam flos Veronensum depereunt iuvenum. hic fratrem. ille sororem. hoc est quod dicitur illud. fraternum vere dulce sodalicium. cui faveam potius. Caeli tibi. nam tua nobis 5 perspecta ex igni est unica amicitia cum vesana meas torreret flamma medullas. sis felix Caeli. sis in amore potens. |
Per Aufileno e Aufilena, fratello e sorella, muoion d'amore i piú bei giovani di Verona, per lui Celio, per lei Quinzio: puoi dirlo, certo, un sodalizio dolcemente fraterno. Chi preferite? te, Celio, che senza riserve m'hai offerto la tua straordinaria amicizia quando una fiamma feroce mi bruciava il cuore: sii felice, Celio, e possa arriderti l'amore. |
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