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Cesare
De Bello Gallico
libro V, cap 53-58
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Nello stesso tempo, i Remi recano a Labieno la notizia della
vittoria di Cesare, con incredibile rapidità. Infatti, sebbene
il campo di Cicerone, dove Cesare era giunto dopo le tre di
pomeriggio, distasse circa sessanta miglia dall'accampamento di
Labieno, qui, prima di mezzanotte, si levò clamore alle porte:
erano le grida dei Remi in segno di vittoria e di congratulazione.
Il fatto viene riferito anche ai Treveri; Induziomaro, che aveva
già fissato per l'indomani l'assedio al campo di Labieno, di
notte fugge e riconduce tutte le sue truppe nella regione dei
Treveri. Cesare ordina a Fabio di rientrare con la sua legione
all'accampamento invernale; dal canto suo, fissa tre quartieri d'inverno,
separati, tutt'intorno a Samarobriva e decide, date le numerose
sollevazioni verificatesi in Gallia, di rimanere personalmente
con l'esercito per tutto l'inverno. Infatti, una volta diffusasi
la notizia della sconfitta e della morte di Sabino, quasi tutti i
popoli della Gallia si consultavano sulla guerra, inviavano messi
in tutte le direzioni, s'informavano sulle decisioni degli altri
e da dove sarebbe partita l'insurrezione, tenevano concili
notturni in zone deserte. Per tutto l'inverno, non ci fu per
Cesare un momento tranquillo: riceveva di continuo notizie sui
progetti e la ribellione dei Galli. Tra l'altro, L. Roscio,
preposto alla tredicesima legione, lo informò che ingenti truppe
galliche delle popolazioni chiamate aremoriche, si erano radunate
con l'intenzione di assediarlo ed erano a non più di otto miglia
dal suo campo, ma, alla notizia della vittoria di Cesare, si
erano allontanate con una rapidità tale, che la loro partenza
era sembrata piuttosto una fuga.
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Cesare, allora, convocò i principi di ciascun popolo, e ora col
timore precisando di essere al corrente di quanto accadeva, ora
con la persuasione, indusse la maggior parte delle genti galliche
al rispetto degli impegni assunti. Tuttavia i Senoni, tra i più
forti e autorevoli in Gallia, a seguito di decisione pubblica,
tentarono di eliminare Cavarino, che Cesare aveva designato loro
sovrano (e già erano stati re suo fratello Moritasgo, all'epoca
dell'arrivo di Cesare in Gallia, e i suoi avi). Cavarino ne
presagì le intenzioni e fuggì; i suoi avversari gli diedero la
caccia sino al confine e lo bandirono dal trono e dal paese. In
seguito, inviarono a Cesare un'ambasceria per discolparsi: egli
comandò che tutti i senatori si presentassero da lui, ma il suo
ordine venne disatteso. A quegli uomini barbari bastò che ci
fossero dei fautori della guerra: in tutti si verificò un tale
mutamento di propositi, che quasi nessun popolo rimase al di
sopra dei nostri sospetti, se si eccettuano gli Edui e i Remi,
che Cesare tenne sempre in particolare onore - i primi per l'antica
e costante lealtà nei confronti del popolo romano, i secondi per
i recenti servizi durante la guerra in Gallia. Ma non so se la
cosa sia poi tanto strana, tenendo soprattutto presente che, tra
le molte altre cause, popoli considerati superiori a tutti, per
valore militare, adesso erano profondamente afflitti per aver
perso prestigio al punto da dover sottostare al dominio di Roma.
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I Treveri e Induziomaro, però, per tutto l'inverno non smisero
un attimo di inviare ambascerie oltre il Reno e di sobillare le
altre genti, di promettere denaro e di sostenere che, distrutto
ormai il grosso del nostro esercito, ne restava solo una minima
parte. Ma non gli riuscì di persuadere nessun popolo dei Germani
a varcare il Reno; affermavano di averne fatta già due volte
esperienza, con la guerra di Ariovisto e il passaggio dei Tenteri:
non avrebbero tentato ulteriormente la sorte. Caduta tale
speranza, Induziomaro cominciò lo stesso a radunare truppe e a
esercitarle, a fornirsi di cavalli dalle genti vicine e ad
attirare a sé, con grandi remunerazioni, gli esuli e le persone
condannate di tutta la Gallia. In tal modo si era già procurato
in Gallia tanta autorità, che da ogni regione accorrevano
ambascerie e gli chiedevano i suoi favori e la sua amicizia, per
l'interesse pubblico e privato.
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Induziomaro, quando si rese conto della spontaneità di tali
ambascerie e che, da un lato, i Senoni e i Carnuti erano spinti
dalla consapevolezza della propria colpa, dall'altro i Nervi e
gli Atuatuci preparavano guerra ai Romani, e, inoltre, che non
gli sarebbero mancate bande di volontari, se si fosse mosso dai
suoi territori, convoca un'assemblea armata. È il modo con cui
di solito i Galli iniziano una guerra: per una legge comune,
tutti i giovani sono costretti a venirvi in armi; chi giunge
ultimo, al cospetto di tutti viene sottoposto a torture d'ogni
sorta e ucciso. In tale assemblea Induziomaro dichiara
Cingetorige, capo della fazione avversa e suo genero - abbiamo già
ricordato che si era messo sotto la protezione di Cesare e gli
era rimasto fedele - nemico pubblico e ne confisca le sostanze.
Dopo tali risoluzioni, nel concilio Induziomaro annuncia
solennemente di aver accolto le sollecitazioni dei Senoni, dei
Carnuti e di molte altre genti della Gallia; intende attraversare
i territori dei Remi e devastarne i campi, ma, prima, vuole porre
l'assedio al campo di Labieno. Impartisce gli ordini da eseguire.
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Labieno, al riparo in un accampamento ben munito per
conformazione naturale e numero di soldati, non nutriva timori
per sé o per la legione. Tuttavia, meditava di non lasciarsi
sfuggire nessuna occasione per una bella impresa. Così, non
appena informato da Cingetorige e dai suoi parenti del discorso
di Induziomaro al concilio, Labieno invia messi alle genti
limitrofe e fa venire a sé da ogni parte cavalieri: fissa la
data in cui avrebbero dovuto presentarsi. Frattanto, quasi ogni
giorno Induziomaro, con la cavalleria al completo, incrociava nei
pressi dell'accampamento, vuoi per prender visione di com'era
disposto il campo, vuoi per intavolare discorsi o suscitar timori;
i suoi cavalieri, generalmente, scagliavano frecce all'interno
del vallo. Labieno teneva i suoi entro le fortificazioni e
cercava, con ogni mezzo, di dar l'impressione di aver paura.
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Mentre Induziomaro, di giorno in giorno, si avvicinava al campo
con maggior sicurezza, Labieno una notte fece entrare i cavalieri
richiesti a tutte le genti limitrofe; grazie alle sentinelle,
riuscì a trattenere tutti i suoi all'interno del campo così
bene, che in nessun modo la notizia poté trapelare o giungere ai
Treveri. Nel frattempo Induziomaro, come ogni giorno, si avvicina
all'accampamento e qui trascorre la maggior parte del giorno: i
suoi cavalieri scagliano frecce e provocano i nostri a battaglia
con ingiurie d'ogni sorta. I nostri non rispondono e gli
avversari, quando lo ritengono opportuno, al calar della sera, si
allontanano a piccoli gruppi, disunendosi. All'improvviso Labieno,
da due porte, lancia alla carica tutta la cavalleria: dà ordine
e disposizione che, dopo aver spaventato e messo in fuga i nemici
(prevedeva che sarebbe successo, come in effetti capitò), tutti
puntino solo su Induziomaro e non colpiscano nessun altro prima
di averlo visto morto: non voleva che, mentre si attardavano a
inseguire gli altri, il Gallo trovasse una via di scampo.
Promette grandi ricompense a chi l'avesse ucciso; invia le coorti
in appoggio ai cavalieri. La Fortuna asseconda il piano dell'uomo:
tutti si lanciano su Induziomaro, lo catturano proprio sul guado
del fiume e lo uccidono; la sua testa viene portata all'accampamento;
i cavalieri, nel rientrare, inseguono e massacrano quanti più
nemici possono. Avute queste notizie, tutte le truppe degli
Eburoni e dei Nervi, che si erano lì concentrate, si disperdono:
dopo questa battaglia Cesare riuscì a tenere un po' più
tranquilla la Gallia.
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