L’operetta inizia con
una breve introduzione, in cui si spiega l’esistenza di un enorme
gallo, che viveva con la zampe sulla terra e la cresta in cielo, che
aveva imparato a parlare. L’autore è venuto in possesso di un
cantico che il gallo era solito pronunciare, non si sa se ogni giorno
o se in alcune occasioni speciali. L’autore lo traduce per intero.
Il canto inizia con un’esortazione all’umanità a svegliarsi di
prima mattina e ad interrompere il periodo del sonno, seppur così
piacevole. Infatti se il sonno fosse eterno, l’universo sarebbe più
felice, seppur inutile. Poi chiede direttamente al sole se ha mai
avesse visto, durante tutto il tempo in cui è sorto e tramontato,
alcun uomo essere felice; se abbia mai visto la felicità e se si,
dive si nasconde; se lui stesso sia felice o meno. Esorta ancora gli
uomini a svegliarli, visto che ancora non è concessa loro la morto,
se non brevi intervalli simili ad essa, ovvero le notti, il sonno, che
permette di rinfrancarsi e sopportare il dolore che è la vita. Allora
forse il vero desiderio dell’uomo, vista l’assoluta mancanza di
felicità, è la morte. Inoltre il gallo paragona la vita alla
giornata, quindi la mattina alla giovinezza, che però è troppo
breve, e la sera alla vecchiaia, che è il resto della vita, un
appassire.