homepage

copia copiabbus

"Se questo è un uomo"

Primo Levi 


INDICE LIBRI

Il libro "Se questo è un uomo", scritto da Primo Levi fra la fine del ’45 e il ’46 e pubblicato per la prima volta dalla casa editrice Silva nel 1947, narra le sue esperienze di deportato nel Lager nazista di Buna-Monowitz nei pressi di Auschwitz.

La guerra è finita da poco più di un anno, un tempo troppo breve perché le persone che ne hanno sofferto gli orrori possano dimenticare le esperienze passate. Tuttavia queste persone si rendono conto che il ricordo che loro avrebbero tramandato ai loro figli non sarebbe stato sufficiente a far conoscere a tutti le brutalità e il dolore provato nel peggior conflitto mai avuto sulla Terra. Sentono allora il bisogno, desiderio di sfogarsi, ma soprattutto di testimoniare, di lasciare alle generazioni future il loro ricordo in modo che la memoria dei terribili fatti non cessi mai. E’ da questi bisogni che molti scrittori danno vita ad opere fra le migliori per testimonianza e fedeltà ai fatti storici. Ma non sono solo scrittori che si dedicano a questa nuova letteratura, definita "memorialistica": sono tutte le persone che hanno vissuto di persona e sofferto gli episodi terribili del secondo conflitto mondiale. Sentono tutti il bisogno di raccontare testimoniare le persecuzioni razziali, le atrocità subite nei "campi di sterminio" tedeschi, le difficoltà patite durante le lotte partigiane, il terribile senso di impotenza di fronte ai bombardamenti sulle città, l’allontanamento dalle proprie abitudini, dalla propria vita e anche dalla propria casa natia per andare in guerra e trovarsi al fronte per combattere uomini contro altri uomini, la tremenda sensazione che provoca la perdita violenta di parenti e amici, il senso di solitudine e il desiderio di pace e di calore umano.

Il romanzo di Levi si inserisce in questo contesto storico-letterario, ma, assieme al "Diario" di Anna Frank e "La specie umana", come afferma il critico Antonicelli, si differenzia da altre opere aventi ugualmente per tema i campi di sterminio, perché va oltre la pura testimonianza. Lo stesso Levi afferma nella prefazione al suo libro: "Questo mio libro, in fatto di particolari atroci, non aggiunge nulla a quanto è ormai noto ai lettori di tutto il mondo sull’inquietante argomento dei campi di distruzione. Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi di accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano".

Antonicelli afferma che, a differenza di molte opere "memorialiste" che, sebbene preziosissime come documenti, lasciano poco alla validità letteraria, "Se questo è un uomo" "é un capolavoro anche dal punto, di vista letterario, o dirò più chiaramente è un capolavoro letterario proprio per 1'impulso e il freno meditatissimi che la pudica verità e il profondo sentire morale hanno impresso alla nuda cronaca. Ogni capitolo potrebbe stare a. se, compiuto, bellissimo, ma si comprende che la purificazione o il pathos non sono cercati neppure un istante fuori del ritmo spirituale del racconto".

Il tema dominante, come si può evincere dal titolo, è l’annientamento della personalità umana, sia in senso fisico che soprattutto, in senso morale che è il primo obiettivo dei campi di sterminio.

Il libro si apre con un racconto rapido e cronologico dei fatti che precedono il suo arrivo a Buna-Monowitz: la cattura da parte dei fascisti, il suo internamento nel campo di concentramento di Fossoli. Il tono cambia subito, diventando drammatico, quando deve descrivere l’annuncio della deportazione: nell’anima degli ebrei internati discende "il dolore antico del popolo che non ha terra, il dolore senza speranza dell’esodo ogni secolo rinnovato". Viene poi affrontata la descrizione del viaggio che porterà lui e i suoi compagni, con un convoglio dove si affollavano uomini donne e bambini, dalla stazione di Carpi ad Auschwitz, nell’Alta Slesia. In questo passaggio si può notare il sentimento di dolore per l’abbandono dei propri cari, l’attesa per un futuro incerto, la sensazione che stia per avvenire qualcosa di nuovo e non voluto. L’abbandono degli amici e dei famigliari, dei luoghi dove avevano vissuto, gli ebrei internati iniziano già ora quel processo di annullamento del ricordo e della memoria che fa rimanere gli uomini. Iniziano già a dimenticare che esisteva e tornerà ad esistere un mondo giusto o per lo meno dove si possa essere liberi.

Giunti a destinazione infatti il meccanismo dell’annientamento si mette subito in moto: ci viene presentato il primo episodio di una serie di eventi analoghi il cui unico scopo è quello di giungere, per gradi, alla totale eliminazione dei deportati. Gli "abili", cioè coloro utili come manodopera vengono inviati ai campi di lavoro, tutti gli altri: donne, vecchi e bambini vengono avviati alle camere a gas. Per la seconda volta separati dai propri cari, senza possibilità di salutarli, i deportati ebrei iniziano ad essere spogliati di ogni dignità umana. Durante il viaggio verso il campo di lavoro una grottesca scritta vivacemente illuminata reca la scritta "Arbeit Macht Frei" ("Il lavoro rende liberi") indica la porta di entrata per quel mondo dove i prigionieri iniziano progressivamente a perdere i loro caratteri che li rendono individuali e distinguibili dagli altri. Come un gregge umano vengono spogliati e rivestiti tutti uguali, rasati, tatuati con il loro nuovo nome: un numero composto da sei cifre.

Nell’esperienza di Levi e di tutti gli altri prigionieri si possono delineare due "fasi": i primi mesi e la maturazione. Nei primi tempi i "numeri alti", cioè i nuovi arrivati, sono ingenui, fanno continuamente domande, sono ancora attaccati ai ricordi, dei quali è meglio liberarsi nel campo: "accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo". Durante si inizia a comprendere la vita del Lager e i suoi componenti: i prigionieri ebrei, i Kapos e i Reichsdeutsche, cioè i comandanti del campo e i prigionieri tedeschi criminali e politici.

Ma l’aspetto più infernale del Lager non è costituito dalla lotta giornaliera per la sopravvivenza, è il fatto che la lotta per la sopravvivenza non è combattuta da tutti ad armi pari. Come dice Vincenti, questa parte del libro ci propone "con quella lucidità e profondità di giudizio che sempre sorregge la narrazione, lo spaccato di un mondo in cui la lotta per la vita […] si configura […] come uno spietato processo di selezione naturale dove tutte le sfumature si annullano […] evidenziando due sole categorie: i salvati e i sommersi, fra le quali non esistono gradazioni intermedie". Come dice lo stesso Levi questa divisione esiste anche nella vita quotidiana, ma normalmente l’uomo non è solo. Gli uomini nel Lager sono soli, legami di amicizia sopravvivono solamente per interesse e soggetti solamente alla "legge feroce, che suona: "a chi ha, sarà dato; a chi non ha, sarà tolto"."

In questo quadro di sommersi e salvati prendono forma diverse figure. Tra i salvati, cioè di coloro che un prepotente istinto di conservazione sorretto da qualità individuali predispone di necessità alla sopravvivenza, compare l’ebreo galiziano Schepschel, che si presta a fare il buffone per procacciarsi qualche avanzo di zuppa, che ha un aspetto bonario ma che non esita a far condannare alla fustigazione un suo compagno di prigionia, complice con lui in un furto, nella speranza di acquistarsi qualche merito agli occhi di un superiore. Viene presentata l’ambigua figura dell’ingegner Alfred L. che attraverso una laboriosa ostentazione di prosperità riesce a conquistarsi una posizione di preminenza. Un altro personaggio descritto da Levi è l’energumeno Elias Lindzin, che possiede una forza straordinaria che lo rende fisicamente indistruttibile e quindi adatto a sopravvivere. Segue Henri, che ha elaborato una teoria di sopravvivenza basata su tre metodi: organizzazione, furto e pietà. È la pietà uno dei pochi sentimenti presente ancora nel campo perché, come osserva Levi: "essendo un sentimento primario e irriflesso, alligna assai bene, se abilmente instillata, proprio negli animi primitivi dei bruti".

Accanto alla difforme schiera dei salvati esiste, assai più estesa, quella dei sommersi: una figura esemplare è Null-Achtzehn, il cui nome deriva dalle ultime tre cifre del suo numero di matricola. Ha ormai perso le caratteristiche umane, viene definito un "involucro", vuoto interiormente. Un’agghiacciante esempio di metamorfosi attuata sugli uomini dal Lager.

Levi, poco dopo il suo arrivo si ferisce, entrando così in infermeria o Ka-Be, dove ha la possibilità di vedere con che sbrigativa procedura le SS prescelgono coloro da inviare alle camere a gas. Dopo la guarigione viene assegnato ad un'altra baracca, dove incontra l’amico Alberto, con il quale condividerà il privilegio di essere assegnato al Kommando chimico. L’assegnazione al Kommando chimico è una delle fortunate coincidenze grazie alle quali l’autore riuscirà a sopravvivere, entrando nella schiera dei salvati, perché gli permetterà di lavorare senza carichi di lavoro troppo pesanti per la sua fragile persona e al caldo di un laboratorio durante il terribile inverno polacco. Un’altra felice coincidenza è per Levi l’amicizia con Lorenzo, un operaio civile italiano che lavorava alla fabbrica di gomma non come prigioniero e che mosso a compassione della sorte di Levi, e senza pretendere alcun compenso, cercò di alleviarne le sofferenze dandogli i suoi avanzi del rancio e un pezzo di pane. Levi dice che non fu tanto l’aiuto materiale di Lorenzo a tenerlo in vita, quanto piuttosto l’avergli costantemente ricordato con la sua presenza che al di fuori di quello del Lager c’era ancora un mondo giusto, "qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all’odio e alla paura".

Una scena interessante avviene durante l’esame di chimica, sostenuto da Primo Levi di fronte al dottor Pannwitz, definito "tipico esemplare di ariano puro di razza tedesca". Levi sostiene e passa l’esame in tedesco e in condizioni disastrose per la permanenza ormai lunga nel campo. Nel dottore Levi osserva quella follia tedesca che è stata all’origine dell’odio razziale e del conflitto mondiale:"quello sguardo non corse fra due uomini; e se io sapessi spiegare a fondo la natura di quello sguardo, scambiato come attraverso la parete di vetro di un acquario tra due esseri che abitano mezzi diversi, avrei anche spiegato l’essenza della grande follia della terza Germania."

Un altro episodio importante è quello della "selezione", avvenuta nell’ottobre del 1944, alle soglie dell’inverno per affrontare il problema dell’elevato numero dei prigionieri. La soluzione adottata è ovviamente quella dello sterminio attraverso le camere a gas. Si può osservare lo spietato criterio di selezione che non prevede l’eliminazione dei meno adatti, ma a seguito di sviste è casuale e il trovarsi nella fila destra o sinistra, cioè morto in vita nel campo o bruciato vivo nelle camere a gas. Commenta Levi:"L’importante non è tanto che vengano eliminati proprio i più inutili, quanto che si rendano speditamente liberi posti".

Dopo l’inizio dei bombardamenti inizia una nuova fatica per i prigionieri: tutti i giorni ricostruiscono quello che poi viene distrutto, ma adesso si sente la speranza di liberazione, i tedeschi hanno paura e iniziano a scappare. Nel frattempo Levi si ammala di scarlattina e viene ricoverato nella Ka-Be. Grazie a questa ennesima fortunata coincidenza evita il massacro subito ai suoi ventimila compagni, tra cui Alberto, partiti per un’interminabile marcia attraverso la Germania durante la quale, come nei piani, moriranno tutti.

Il 27 gennaio arrivano i russi e trovano davanti a loro uno spettacolo terrificante di cadaveri ammucchiati sulla neve e superstiti che come ombre si aggirano per il campo in cerca di qualcosa da mangiare o con cui scaldarsi.

Si può notare come il libro non cada mai al livello della cronaca, ma esprime sempre il suo giudizio. La sua analisi dei fatti e delle persone si può dire aiutata dai suoi studi di biologia e scienza dell’evoluzione.

Io ritengo che il tema principale è l’uomo e il tentativo da parte del sistema del Lager di uccidere la sua dignità di essere umano. Infatti né alle SS né ai Kapos interessa che i prigionieri muoiano, almeno non prima che sia morta in loro la dignità e non resti loro più nulla di umano, in un terribile e cruento gioco, perché il Lager non sembra realtà, piuttosto uno scherzo, da quanto è irreale, o ancora peggio un incubo.

Lo scopo del sistema del Lager è rendere bestie e il primo atto della privazione dell’identità dei prigionieri è il nome, sostituito con un numero, a cui segue quella delle caratteristiche fisiche: ad ogni prigioniero vengono tagliati i capelli, vengono tolti vestiti e oggetti personali e a tutti i prigionieri viene assegnata una uguale divisa. Quello che si era fuori dal lager non è più importante: dentro al Lager inizia una nuova vita, più difficile, più animale, dove non esistono più sentimenti come la solidarietà e l’amicizia, tipici degli uomini, a cui viene graduatamente tolta la speranza della salvezza e tutta l’esistenza si riduce ad una lotta per la sopravvivenza, tipico delle bestie. Chi riesce a distinguersi per aspetto dalla massa è ritenuto potente ed allora assume potere. Per non diventare delle vere e proprie bestie bisogna cercare di attaccarsi anche alle più piccole ed inutili cose, come ad esempio dare il nero alle scarpe o lavarsi, cose che non aiutano a vivere di più, ma che salvano la dignità e aiutano l’animo a non morire.

Il tempo e il suo inesorabile procedere sono fondamentali nel libro, così come la simbologia e i continui confronti con la Bibbia: nei prigionieri vi è la consapevolezza che qualcosa in futuro accadrà e, come nei racconti biblici, il male alla fine verrà sconfitto e il popolo di Dio verrà salvato.

by Chepe Chepe