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"La tregua"

Primo Levi


INDICE LIBRI

Subito dopo la pubblicazione del suo primo libro, "Se questo è un uomo", Levi pensa a scrivere un secondo libro che serva come continuazione e completamento del primo. Nasce così "La tregua", pubblicato nel 1963, con il quale l’autore vinse il Premio Campiello dello stesso anno. In questo libro Levi racconta le avventure vissute durante il viaggio di ritorno verso casa, a Torino, dal campo di Auschwitz, in Polonia. Il motivo ispiratore è lo stesso del libro precedente, anche se i temi trattati sono in parte differenti: il bisogno di testimoniare, per aiutare la sua "liberazione interiore", narrando le peripezie del viaggio di ritorno che, per come si svolsero, sembrano assurde e allo stesso tempo drammatiche.

Il racconto comincia da dove era finito "Se questo è un uomo": i tedeschi hanno abbandonato il campo di Buna-Monowitz e arrivano i russi. Quattro giovani ufficiali a cavallo osservano il campo: vedono Levi e un suo compagno portare un cadavere ad una fossa comune, e non riescono a capire quello che è stato il Lager, provano pietà mista a ribrezzo, voglia di aiutare insieme a paura di farlo. E sono questi primi i sentimenti umani, percepiti dagli ex-prigionieri attraverso i primi soccorsi e le ragazze polacche, che iniziano negli uomini quel processo di rinascita, di riscoperta delle emozioni continua che accompagnerà tutto il viaggio.

Dopo lo spostamento al Campo Grande di Auschwitz, Levi si ammala. Qui ha l’occasione di osservare molte figure tragiche e quasi spettrali, i figli di Auschwitz, che non hanno "mai visto un albero", come il piccolo Hurbinek che non riesce a parlare; Henek, rimasto orfano dopo la morte di tutta la sua famiglia e che era al comando della selezione dei bambini; Kleine Kiepura, sopravvissuto grazie a rapporti ambigui con il più alto Kapo in carica. Inoltre le infermiere polacche: donne, di fronte alle quali Levi, così come i suoi compagni, si sentirà sempre a disagio perché sporco, mal nutrito e poco curato nell’aspetto.

Dopo la guarigione Levi si unisce al gruppo di coloro che sono in grado di intraprendere il viaggio verso i propri paesi di origine. Inizia qui quella odissea di cinque mesi, durante la quale la casa natia sembrerà sempre più un miraggio, che avviene in un clima surreale, in un Europa non ancora ripresasi dalle ferite lasciate dalla guerra e nella quale figure umane disordinatamente perché ugualmente provate dalla recente tragedia. Levi annota questa confusione paragonandola al Caos primogenito dove "esemplari umani scaleni, difettivi, abnormi" si muovevano disordinatamente "in ricerca affannosa della propria sede, della propria sfera, come poeticamente si narra delle particelle dei quattro elementi nelle cosmogonie degli antichi".

L’autore, così come in "Se questo è un uomo", non è mai coinvolto, è distaccato dagli eventi e lucidamente riesce a presentarli individuando, al di là dei fatti, i meccanismi che li governano. Scrive così il critico Paolo Milano: "Il narratore compare in queste pagine come un occhio che vede, un corpo che soffre, una mente che ironizza e giudica, ma non è mai protagonista, perché sa che la vicenda sovrasta tutti egualmente". Anche Pedullà commenta questa lucidità dello scrittore: "La chiarezza di visione di Levi ha dietro di sé la fede nella ragione, la tensione a una verità di cui conosce il limite storico, il laico rifiuto del "mistero", che sono patrimonio tipico dell’uomo di scienza. [...] Lo scrittore perciò aspira a risolvere le contraddizioni, a illuminare il lati oscuri, investiga le cause di certi fenomeni "assurdi", le quali sa difficili a trovarsi ma non inesistenti, cerca le leggi segrete di un mondo che pare affidato al caso". Levi ritrae i personaggi per il loro diverso atteggiarsi di fronte alla realtà e per la loro fisionomia psichica, analizzandoli con l’occhio dello scienziato, lasciando solamente qualche cenno dell’aspetto fisico, utile per meglio delineare la figura. Questo tipo di descrizione è giustificata dal fatto che i personaggi in Levi sono dei ricordi e il ricordo tende ad annullare o smorzare le caratteristiche superflue, come quelle fisiche, per far risaltare quelle più incisive: il carattere. Sempre Milano riguardo a ciò scrive: "Si potrebbe facilmente trarre dalla Tregua una piccola antologia di commenti sul carattere umano".

E’ così che ci viene presentato il Greco, Mordo Nahum, ebreo di Salonicco, dalla barba e capelli rossi. La filosofia di vita mercantile di questo personaggio, che sarà per Levi come un maestro e un fratello maggiore, si ispira al detto "Homo homini lupus", ed è improntata sul lavoro, perché chi si fa mantenere diventa schiavo di chi lo mantiene.

Con il Greco giunge a Katowice dove trova alloggio in un campo di sosta. Qui lavora nell’infermeria e viene a contatto con il gruppo degli italiani in attesa di rimpatrio. Vengono presentati alcuni personaggi, come l’infermiera siberiana Maria Fjodorovna, ritenuta da Galina, la seducente e giovane collaboratrice di Levi, vecchia e matta. Personaggio importante per tutto il romanzo è l’italiano Cesare, suo amico fin dai tempi di Auschwitz, romano, descritto come "figlio del sole, un amico di tutto il mondo, non conosceva né l’odio né il disprezzo". Cesare lo istruisce sulle leggi del mercato nero di Katowice, destreggiandosi in modo buffo ma efficace in un ambiente e in una lingua non sua. E’ questa una parte del libro che rallenta il ritmo e distende la narrazione grazie ai numerosi tratti umoristici.

La fine della guerra, nel maggio 1945, viene accolta da parte dei russi con estrema gioia e dalle descrizioni di Levi si può cogliere il calore di questo popolo, sempre descritto come freddo e insensibile. Alla fine della primavera giunge, attesa ma ugualmente accolta con "fragorosa allegria" tipicamente italiana, la notizia del rimpatrio.

Il treno parte diretto ad Odessa ma, dopo sei giorni di viaggio si ferma nella Russia Bianca perché non può proseguire. Su Levi e i suoi compagni pesa la mano della burocrazia russa e un senso di impotenza di fronte a questa fa assumere alla narrazione un tono angoscioso, poi mantenuto per tutto il resto del libro.

Nuove emozioni vengono riscoperte a Staryje Doroghi, il paese "Vecchie Strade" che raggiungono a piedi dopo aver sostato per alcuni giorni al campo di smistamento di Sluzk. Qui gli italiani, insieme ai compagni di viaggio rumeni, vengono alloggiati in una vecchia caserma, la Casa Rossa, situata in un luogo selvaggio ai margini della foresta. La riscoperta della natura incontaminata della foresta, descritta in modo vivissimo, restituisce agli uomini un altro sentimento che era perso da tempo: la solitudine. La riscoperta della natura è importante e si accompagna a quella dell’amore, quando cita Flora, la donna che lui e Alberto sognavano nelle fredde notti di Auschwitz. Ma questa pace porta nuovamente nuovi dolori: i ricordi e la nostalgia: "una sofferenza fragile e gentile, essenzialmente diversa, più intima, più umana delle altre pene che avevamo sostenuto fino a quel tempo.[...]E’ un dolore limpido e pulito, ma urgente: pervade tutti i minuti della giornata, non concede altri pensieri, e spinge alle evasioni".

Nuovamente arriva l’annuncio della partenza ma questa volta gli uomini si rendono subito conto che il viaggio di ritorno si sarebbe rivelato ancora lungo. Ci vogliono ancora venti giorni infatti attraverso Russia, Romania, Ungheria, Austria e Germania per poi poter rimpatriare.

Qui il racconto procede velocemente ed è intervallato e rallentato solo da alcuni momenti di riflessione causati da ricordi, come quello della vista dei monti che segnavano l’orizzonte di Auschwitz, l’incontro con Galina, l’entrata in Romania che presenta incredibili somiglianze, non solo linguistiche, con l’Italia, l’arrivo a Vienna, la stazione di Monaco. Il critico Antonicelli cerca di dare una spiegazione a questa parte diversa dalle altre del libro per ritmo: "la fine, forse troppo minuta e aggrovigliata di particolari, come capita a chi arriva a casa con la memoria troppo eccitata e perciò senza capacità di selezione."

Con l’arrivo nei paesi di lingua tedesca entra negli ex-prigionieri di Auschwitz l’indignazione per quello che hanno dovuto subire e il desiderio di raccontare ad ogni singolo tedesco le atrocità, le ingiustizie patite: "Mi sembrava che ognuno avrebbe dovuto interrogarci, leggerci in viso chi eravamo, e ascoltare in umiltà il nostro racconto."

L’arrivo tanto atteso in Italia pone nuovi dubbi nei cuori di Levi e dei suoi compagni: si chiedono soprattutto se fossero ancora vivi i propri cari, se li aspettassero ancora le loro compagne. Nell’ottobre 1945 Levi torna a Torino, ritrova gli affetti famigliari, ma il ricordo del Lager è ancora vivo nella sua memoria e il ritorno alla civiltà sarà ancora lungo: le abitudini di un anno di prigionia dovranno aspettare alcuni mesi per poter essere cancellate.

Un incubo lo tormenta: che tutto questo sia solo un sogno, che la vita sia un sogno e che la realtà sia solo il Lager e che tra poco sarà risvegliato dal sonno dal "comando all’alba di Auschwitz, una parola straniera, temuta e attesa: alzarsi, "Wstawac"".

 

BIBLIOGRAFIA:

Primo Levi, La tregua, Einaudi

Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia