CANTI DI CASTELVECCHIO di Giovanni Pascoli
La poesia I Io sono una lampada ch'arda soave! la lampada, forse, che guarda, pendendo alla fumida trave, la veglia che fila; e ascolta novelle e ragioni da bocche celate nell'ombra, ai cantoni, là dietro le soffici rócche che albeggiano in fila: ragioni, novelle, e saluti d'amore, all'orecchio, confusi: gli assidui bisbigli perduti nel sibilo assiduo dei fusi; le vecchie parole sentite da presso con palpiti nuovi, tra il sordo rimastico mite dei bovi: II la lampada, forse, che a cena raduna; che sboccia sul bianco, e serena su l'ampia tovaglia sta, luna su prato di neve; e arride al giocondo convito; poi cenna, d'un tratto, ad un piccolo dito, là, nero tuttor della penna che corre e che beve: ma lascia nell'ombra, alla mensa, la madre, nel tempo ch'esplora la figlia più grande che pensa guardando il mio raggio d'aurora: rapita nell'aurea mia fiamma non sente lo sguardo tuo vano; già fugge, è già, povera mamma, lontano! III Se già non la lampada io sia, che oscilla davanti a una dolce Maria, vivendo dell'umile stilla di cento capanne: raccolgo l'uguale tributo d'ulivo da tutta la villa, e il saluto del colle sassoso e del rivo sonante di canne: e incende, il mio raggio, di sera, tra l'ombra di mesta viola, nel ciglio che prega e dispera, la povera lagrima sola; e muore, nei lucidi albori, tremando, il mio pallido raggio, tra cori di vergini e fiori di maggio: IV o quella, velata, che al fianco t'addita la donna più bianca del bianco lenzuolo, che in grembo, assopita, matura il tuo seme; o quella che irraggia una cuna - la barca che, alzando il fanal di fortuna, nel mare dell'essere varca, si dondola, e geme -; o quella che illumina tacita tombe profonde - con visi scarniti di vecchi; tenaci di vergini bionde sorrisi; tua madre!... nell'ombra senz'ore, per te, dal suo triste riposo, congiunge le mani al suo cuore già róso! - V Io sono la lampada ch'arde soave! nell'ore più sole e più tarde, nell'ombra più mesta, più grave, più buona, o fratello! Ch'io penda sul capo a fanciulla che pensa, su madre che prega, su culla che piange, su garrula mensa, su tacito avello; lontano risplende l'ardore mio casto all'errante che trita notturno, piangendo nel cuore, la pallida via della vita: s'arresta; ma vede il mio raggio, che gli arde nell'anima blando: riprende l'oscuro viaggio cantando.
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2. La partenza del boscaiolo La scure prendi su, Lombardo, da Fiumalbo e Frassinoro! Il vento ha già spiumato il cardo, fruga la tua barba d'oro. Lombardo, prendi su la scure, da Civago e da Cerù: è tempo di passar l'alture: tient'a su! tient'a su! tient'a su! Più fondo scavano le talpe nelle prata in cui già brina. E` tempo che tu passi l'Alpe, ché la neve s'avvicina. Le talpe scavano più fondo. Vanno più alte le gru. Fa come queste, e va pel mondo: tient'a su! tient'a su! tient'a su! Per le faggete e l'abetine, dalle fratte e dal ruscello, quel canto suona senza fine, chiaro come un campanello. Per l'abetine e le faggete canta, ogni ora ogni dì più, la cinciallegra, e ti ripete: tient'a su! tient'a su! tient'a su! Di bosco è come te, la cincia: campa su la macchia anch'essa. Sa che, col verno che comincia, ti finisce la rimessa. La cincia è come te, di bosco: sa che pane non n'hai più. Va dove n'ha rimesso il Tosco: tient'a su! tient'a su! tient'a su! Le gemme qua e là col becco picchia: anch'essa è taglialegna. Nel bosco è un picchierellar secco della cincia che t'insegna. Col becco qua e là le gemme picchia al mo' che picchi tu. Va, taglialegna, alle maremme... tient'a su! tient'a su! tient'a su! Ha il nido qua e là nei buchi d'ischie o d'olmi, ove gli garba; e pensa forse a que' tuoi duchi, grandi, dalla lunga barba. Nei buchi erbiti dove ha il nido, pensa al gran tempo che fu; e getta ancora il vecchio grido: tient'a su! tient'a su! tient'a su! Un'azza è quella con cui squadri là, nel verno, il pino e il cerro; con cui picchiavano i tuoi padri sopra i grandi elmi di ferro. Tu squadri i tronchi, ora; con l'azza butti le foreste giù. Va ora senza più corazza... tient'a su! tient'a su! tient'a su! Rimane nella valle il canto. Sono ormai, le cincie, sole. La scure dei lombardi intanto lassù brilla contro al sole. E sempre il canto che rimane, giunge in alto alla tribù, che parte a guadagnarsi il pane: tient'a su! tient'a su! tient'a su!
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3. L'uccellino del freddo Viene il freddo. Giri per dirlo tu, sgricciolo, intorno le siepi; e sentire fai nel tuo zirlo lo strido di gelo che crepi. Il tuo trillo sembra la brina che sgrigiola, il vetro che incrina... trr trr trr terit tirit... Viene il verno. Nella tua voce c'è il verno tutt'arido e tecco. Tu somigli un guscio di noce, che ruzzola con rumor secco. T'ha insegnato il breve tuo trillo con l'elitre tremule il grillo... trr trr trr terit tirit... Nel tuo verso suona scrio scrio, con piccoli crepiti e stiocchi, il segreto scricchiolettio di quella catasta di ciocchi. Uno scricchiolettio ti parve d'udirvi cercando le larve... trr trr trr terit tirit... Tutto, intorno, screpola rotto. Tu frulli ad un tetto, ad un vetro. Così rompere odi lì sotto, così screpolare lì dietro. Oh! lì dentro vedi una vecchia che fiacca la stipa e la grecchia... trr trr trr terit tirit... Vedi il lume, vedi la vampa. Tu frulli dal vetro alla fratta. Ecco un tizzo soffia, una stiampa già croscia, una scorza già scatta. Ecco nella grigia casetta l'allegra fiammata scoppietta... trr trr trr terit tirit... Fuori, in terra, frusciano foglie cadute. Nell'Alpe lontana ce n'è un mucchio grande che accoglie la verde tua palla di lana. Nido verde tra foglie morte, che fanno, ad un soffio più forte... trr trr trr terit tirit...
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4. Il compagno dei taglialegna I Nel bosco, qua e là, lombardi sono taciti al lavoro. Dall'alba s'ode sino a tardi sci e sci e sci e sci... E` oltre mare l'Alpe loro, mare, donde nasce il dì. II A due a due: l'uno tra il vento, l'altro, inginocchiato in faccia. Da basso il vecchio bianco e scento, in alto la gioventù. E forza con le forti braccia! Su e giù, e su e giù. III Con loro c'è il pittiere solo, ora in terra, ora sul ramo. Fa un salto, un frullo, un giro, un volo; molleggia, più qui, più lì: e fa sentire il suo richiamo tra quel sci e sci e sci... IV Il Santo aveva da piombare un bel toppo di cipresso. Maria restava al focolare che dava latte a Gesù. Ora il pittiere era li presso. Disse il Santo: - Vien qui tu! - V Tuffò la spugna il Santo, ed ecco tinse di sinopia il filo. - Un capo tieni tu col becco - disse al pittiere: - costì! - Maria non più dal dolce asilo ora udiva sci... sci... sci... VI E' sdipanava col girello, zitto, il filo per la trave. L'aveva teso già bel bello, stava per batterlo su... Ma ecco si sentì: AVE! Era Maria con Gesù. VII Il pittiere si voltò netto... Torto venne il segno rosso. La spugna gli gettò nel petto San Giuseppe; e fu così che, diventato pettirosso, quando sente sci... sci... sci... VIII vien sempre, gira intorno al toppo, guarda e frulla, guarda e vola; ma ora non s'accosta troppo, ch'ora non si fida più: e col suo canto ti consola, povera esule tribù!
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5. "The hammerless gun" To the children Percy and Valente de Bosis Dunque un hammerless! un... hammerless! (dono del vostro babbo, o Percy, o Valentino; del nostro Adolfo, il sapiente, il buono simposiarco)... O montanine belle, lo vedrete il maestro di latino! sì, lo vedrete il pedagogo imbelle! E lungamente mi sorriderete, quando venite ai Vespri a questa Cura di San Nicola. Un hammerless! Sapete? che non ha cani: a triplice chiusura. «Bello, ma dica: quello del Fusari...» «Questo è un hammerless!» «Quello non ha cani». «Questo è inglese!» Ah! inghilese! «Di Field, cari!» Tacciono: io regno indifferente e cupo. «Codeste selve batterò domani...» tra me dico, a voce alta. «In bocca al lupo!» Ecco l'alba (tra selve aride i fossi vanno col fumo di vaporiere), piena d'un tintinnìo di pettirossi, cui risponde un tac tac di capinere... Su la nebbia che fuma dal sonoro Serchio, leva la Pania alto la fronte nel sereno: un aguzzo blocco d'oro, su cui piovano petali di rose appassite. Io che l'amo, il vecchio monte, gli parlo ogni alba, e molte dolci cose gli dico: LA PANIA O monte, che regni tra il fumo del nembo, e tra il lume degli astri, tu nutri nei poggi il profumo di timi, di mente e mentastri. Tu pascoli le api, o gigante: tu meni nei borri profondi la piccola greggia ronzante. Sei grande, sei forte: e dai cavi tuoi massi tu gemi, tu grondi del limpido flutto dei favi. Sei buono tu, grande tra i grandi: né spregi la nera capanna. Al pio boscaiolo tu mandi sovente la ricca tua manna. Gli mandi un tuo sciame, che scende giù giù per la valle remota, qual tremulo nuvolo, e splende. Lo segue un tumulto canoro; ché timpani, cembali, crotali chiamano il nuvolo d'oro. - Dico: egli ride roseo, ma scorso il suo minuto, ridoventa azzurro e grave. Io scendo lungo il Rio dell'Orso, ne seguo un poco il fievole sussurro. E me segue un tac tac di capinere, e me segue un tin tin di pettirossi, un zisteretetet di cincie, un rererere di cardellini. Giungo dove il greto s'allarga, pieno di cespugli rossi di vetrici: il mio luogo alto e segreto. Giungo: e ne suona qualche frullo, un misto di gridii, pigolii, scampanellii, che cessa a un tratto. L'hammerless m'ha visto un fringuello, che fa: Zitti! sii sii (sii sii è nella lingua dei fringuelli quello che hush o still, o Percy, in quella di mamma: zitti! tacciano i monelli)... E sento tellterelltelltelltelltell (sai? tellterelltelltelltell nella favella dei passeri vuol dire come out! fly! scappa, boy, c'è il babau!)... Dunque più nulla. Silenzio. Odo il ruscello che gorgoglia, e non altro. Il fringuello agile frulla e, lontano, finc finc... Cade una foglia... Proprio l'ultima (guardo) d'un querciolo secco! E` bastato il soffio di quell'ala, è bastata la molla di quel volo: eccola giù. Mi siedo sopra il greppo. Era come una spoglia di cicala (penso), rimasta a quel non più che un ceppo: era gialla, era gracile; ma era l'ultima; che più dì, pendula, tenne... Come il povero vecchio ora dispera, vicino al Rio che mormora perenne! Sono mesto. Perché? Non lo so dire. Intanto, tra le canne, tra la stipa, sento un brusire ed uno squittinire, che dico? un parlottare piano piano. Ma sì, parlano a me, che dalla ripa tacito ascolto, il mento su la mano. Sento: IL PITTIERE - Tin tin! anche te? che c'invidi due pippoli e due gremignoli? tin tin, te che piangi sui nidi che pìano pìano soli? Si viene, tu vedi, da bianche montagne, da boschi d'abeti, con l'ale, puoi credere, stanche. Si fa questi bruci, che sono nei bussoli e negli scopeti... Sapessi che fame!... Sii buono! - E poi: LA CAPINERA - Tac tac! anche te? non rammenti le sere di quella tua mesta città? le tue lagrime ardenti? quel canto d'ignota foresta tra l'onda di tante campane, tanti urli di folla, e tra il sordo fragore di ruote lontane? Piangevi: e saliva il mio canto, con l'eco d'antico ricordo, col suono di nuovo rimpianto. - E poi: L'ALLODOLA - Uid uid! anche tu ci fai guerra? tu che ci assomigli pur tanto, col nido tra il grano, per terra, ma sopra le nubi, col canto? Te rode una cura segreta; tu cerchi l'oblìo de' tuoi mali. Ma sei come tutti, o poeta? Tu piangi il tuo povero nido per terra... Ma vieni, ma sali, ma lancia nel sole il tuo grido! - Cara allodola! - E dopo? - Dopo? Impugno l'hammerless e... ritorno via. Si rischia d'infreddare: gennaio non è giugno. Tra i ginepri c'è un merlo che mi fischia. E un forasiepe: - Eh! tu torni... so dove. Oh! il tuo bel nido, che nemmen ci piove!
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6. Nebbia Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e scialba, tu fumo che ancora rampolli, su l'alba, da' lampi notturni e da' crolli d'aeree frane! Nascondi le cose lontane, nascondimi quello ch'è morto! Ch'io veda soltanto la siepe dell'orto, la mura ch'ha piene le crepe di valeriane. Nascondi le cose lontane: le cose son ebbre di pianto! Ch'io veda i due peschi, i due meli, soltanto, che dànno i soavi lor mieli pel nero mio pane. Nascondi le cose lontane che vogliono ch'ami e che vada! Ch'io veda là solo quel bianco di strada, che un giorno ho da fare tra stanco don don di campane... Nascondi le cose lontane, nascondile, involale al volo del cuore! Ch'io veda il cipresso là, solo, qui, solo quest'orto, cui presso sonnecchia il mio cane.
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7. I due girovaghi Siamo soli. Bianca l'aria vola come in un mulino. Nella terra solitaria siamo in due, sempre in cammino. Soli i miei, soli i tuoi stracci per le vie. Non altro suono che due gridi: - Oggi ci sono e doman me ne vo... - Stacci! stacci! Stacci! Io di qua, battendo i denti, tu di là, pestando i piedi: non ti vedo e tu mi senti; io ti sento, e non mi vedi. Noi gettiamo i nostri urlacci, come cani in abbandono fuor dell'uscio: - Oggi ci sono e doman me ne vo... - Stacci! stacci! stacci! Questa terra ha certe porte, che ci s'entra e non se n'esce. E` il castello della morte. S'ode qui l'erba che cresce: crescer l'erba e i rosolacci qui, di notte, al tempo buono: ma nient'altro... - Oggi ci sono e doman me ne vo... - Stacci! stacci! stacci! C'incontriamo... Io ti derido?! No, compagno nello stento! No, fratello! E` un vano grido che gettiamo al freddo vento. Né c'è un viso che s'affacci per dire, Eh! spazzacamino!... per dire, Oh! quel vecchiettino degli stacci... degli stacci!... - stacci! stacci!
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8. Il brivido Mi scosse, e mi corse le vene il ribrezzo. Passata m'è forse rasente, col rezzo dell'ombra sua nera la morte... Com'era? Veduta vanita, com'ombra di mosca: una ombra infinita, di nuvola fosca che tutto fa sera: la morte... Com'era? Tremenda e veloce come un uragano che senza una voce dilegua via vano: silenzio e bufera: la morte... Com'era? Chi vede lei, serra né apre più gli occhi. Lo metton sotterra che niuno lo tocchi, gli chieda - Com'era? rispondi... com'era? -
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9. L'or di notte Nelle case, dove ancora si ragiona coi vicini presso al fuoco, e già la nuora porta a nanna i suoi bambini, uno in collo e due per mano; pel camino nero il vento, tra lo scoppiettar dei ciocchi, porta un suono lungo e lento, tre, poi cinque, sette tocchi, da un paese assai lontano: tre, poi cinque e sette voci, lente e languide, di gente: voci dal borgo alle croci, gente che non ha più niente: - Fate piano! piano! piano! Non vogliamo saper nulla: notte? giorno? verno? state? Piano, voi, con quella culla! che non pianga il bimbo... Fate piano! piano! piano! piano! Non vogliamo ricordare vino e grano, monte e piano, la capanna, il focolare, mamma, bimbi... Fate piano! piano! piano! piano! piano!
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10. Notte d'inverno Il Tempo chiamò dalla torre lontana... Che strepito! E` un treno là, se non è il fiume che corre. O notte! Né prima io l'udiva, lo strepito rapido, il pieno fragore di treno che arriva; sì, quando la voce straniera, di bronzo, me chiese; sì, quando mi venne a trovare ov'io era, squillando squillando nell'oscurità. Il treno s'appressa... Già sento la querula tromba che geme, là, se non è l'urlo del vento. E il vento rintrona rimbomba, rimbomba rintrona, ed insieme risuona una querula tromba. E un'altra, ed un'altra. - Non essa m'annunzia che giunge? - io domando. - Quest'altra! - Ed il treno s'appressa tremando tremando nell'oscurità. Sei tu che ritorni. Tra poco ritorni, tu, piccola dama, sul mostro dagli occhi di fuoco. Hai freddo? paura? C'è un tetto, c'è un cuore, c'è il cuore che t'ama qui! Riameremo. T'aspetto. Già il treno rallenta, trabalza, sta... Mia giovinezza, t'attendo! Già l'ultimo squillo s'inalza gemendo gemendo nell'oscurità... E il Tempo lassù dalla torre mi grida ch'è giorno. Risento la tromba e la romba che corre. Il giorno è coperto di brume. Quel flebile suono è del vento, quel labile tuono è del fiume. E` il fiume ed è il vento, so bene, che vengono vengono, intendo, così come all'anima viene, piangendo piangendo, ciò che se ne va.