SARETE TUTTI RIDOTTI IN POLVERE

 

 

Figlio e nipote di giornalisti, l’indù Rajkumar Keswani,di trentaquattro anni, apparteneva a una famiglia originaria della provincia del Sindh, arrivata a Bhopal dopo la partizione dell’India nel 1947.

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Keswani aveva dato fondo a tutte le sue economie per creare un piccolo settimanale al servizio dei veri interessi dei suoi concittadini. Per quell’uomo appassionato di poesia, botanica e musica, le minacce che le nuove industrie facevano pesare sulla sicurezza della città erano un pericolo quanto mai reale. La scoperta di concessioni irregolari di licenze industriali lo aveva spinto ad indagare sulle complicità esistenti tra le Carbide e le autorità locali.

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Nel maggio 1982, tre ingegneri americani appartenenti al centro tecnico della divisione dei prodotti chimici e delle materie plastiche di South Charleston sbarcarono a Bhopal. Dovevano accertare il buon funzionamento della fabbrica, allo scopo di confermare che tutto vi si svolgeva in conformità alle norme stabilite dalla Carbide per quel tipo di azienda. Si trattava di una semplice procedura di routine, da cui nessuno si aspettava la minima rivelazione.

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Grazie a qualche complicità all’interno della fabbrica, Keswani riuscì a mettere le mani sul testo della relazione. Non poté credere ai propri occhi. Nel documento si diceva che le immediate vicinanze dello stabilimento erano “ disseminati di vecchi bidoni sporchi di grasso, di tubi fuori uso, di pozzanghere di olio lubrificante e di scorie chimiche suscettibili di provocare incendi”.

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L’aspetto più sorprendente del rapporto riguardava tuttavia l’ambito umano. Esso denunciava infatti l’allarmante rotazione di personale insufficientemente preparato, i metodi di istruzione insoddisfacenti e la mancanza di rigore nei verbali delle operazioni di manutenzione.

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“Per favore risparmiate la nostra città!”scrisse Rajkumar Keswani titolando il primo articolo che pubblicò il 17 settembre 1982. Dimostrando con numerosi esempi i rischi che si correvano in fabbrica, il giornalista si rivolgeva in primo luogo ai suoi dirigenti. “Voi metterete in pericolo tutta la zona, a cominciare dal quartiere dell’Orya basti,di Chola e di Jai Prakash stretti a ridosso dei muri del vostro stabilimento”. Rivolgendosi poi ai suoi concittadini, Keswani li scongiurava di prendere coscienza della minaccia che la Union Carbide faceva pesare sulle loro vite. “ Se un giorno capiterà una disgrazia” li avvertiva” non dite che non lo sapevate”.

Povero Keswani ! come Cassandra, aveva ricevuto il dono di predire le catastrofi, ma non quello di convincere. Il suo primo articolo passò quasi inosservato. La Carbide era troppo salda sul suo piedistallo perché qualche maldicenza su un giornale scandalistico potesse scardinarla.

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Tanta indifferenza,tanta cecità finirono per disgustare il giornalista. Dal momento che la popolazione di Bhopal preferiva credere alle menzogne distillate dalla propaganda della Carbide, l’avrebbe abbandonata alla sua sorte. Chiuse il giornale, mise la sua collezione di dischi e di cassette in due valige e prese un biglietto ferroviario per Indore, dove un grande quotidiano gli offriva un impiego prestigioso. Ma,prima di lasciare Bhopal, volle rispondere al ministro del Lavoro dello Stato di  Madhya Pradesh,il quale aveva dichiarato dai banchi del governo locale:”Non c’è motivo di preoccuparsi della presenza della fabbrica della Carbide, perché il fosgene che produce non è un gas tossico”. In due lunghe lettere,Keswani riassunse le conclusioni della sua inchiesta personale. Indirizzò la prima alla più alta autorità dello Stato,il primo ministro Arjun Singh,di cui nessuno ignorava i legami con i dirigenti della Carbide,e la seconda, sotto forma di petizione  al presidente della Corte suprema,al quale chiedeva la chiusura della fabbrica. Nessuno dei due destinatari si prenderà la briga di rispondere al mittente.

 

Da "Mezzanotte e cinque a Bhopal" di D. Lapierre

 

 

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