Venti o ventidue anni

 

 

Mi ricordo la prima volta che ti ho visto. Voglio dire, proprio visto. E ascoltato, non solo sentito. Eri in piedi accanto al letto di un malata e io chiedevo chi si occupava di lei. Hai detto: io, dottore. Avevi venti o ventidue anni, eri uno dei praticanti di quell'anno, eri alto, moro, taciturno, un po' curvo. Arrotolavi sempre le maniche del camice e avevi gli avambracci nudi. Ti ho guardato al di sopra degli occhiali e o detto: "Dimmi". Ti sei avvicinato a lei e hai detto: la signora Malincori è entrata qui tre giorni fa per non so più quali sintomi, hai riassunto la situazione molto in fretta, in modo molto asciutto, e poi ti sei fermato. Non avevo niente da chiedere. Avevi riassunto il problema in sei frasi, tutto qua. E la cosa mi ha irritato. Lo studente praticante sapeva meglio del capo cosa aveva la paziente, e questo non va bene. Ho detto: "E' tutto?" Hai risposto: E' tutto. Ho detto: "E' proprio tutto? Sei sicuro?" e la paziente si è messa a piangere. Ho detto: "Perché piange, signora?" Ti ho guardato, ho chiesto: "Perché piange?" Mi hai lanciato un'occhiata truce e hai incrociato le braccia tendendo il mento verso gli altri. Mi sono voltato verso la caposala, i due interni, il primario, i sei studenti, gli allievi infermieri e l'aiuto infermiera che entrava reggendo il vassoio del pasto.

...

Ho chiesto di nuovo: "Perché piange?" Nessuno ha risposto. Mi sono alzato, ti ho buttato lì: "Va bene, mi risponderai quando conoscerai il caso" e sono uscito dalla camera, con l'intenzione di sbattermi la porta alle spalle, ma tu sei passato davanti a tutti, mi hai seguito nel corridoio e sei stato tu a chiudere la porta sul naso agli altri.

Mi sono voltato, ti ho guardato da sopra i miei occhiali, nonostante il mio metro e novanta sembravi alto quanto me.

"Beh, allora cos'ha?"

E mi hai raccontato in modo asciutto, in poche frasi, la storia di quella donna che voleva tornare a casa due giorni dopo il ricovero, quando il suo medico l'aveva mandata lì per un edema polmonare acuto.

...

Ma i suoi problemi di lavoro, di marito, di suocera, di non so che altro, insomma la sua fottuta vita quotidiana, sembrano essere più importanti per lei dei suoi fottuti sintomi.

"D'accordo, d'accordo. Ma perché in camera non hai detto niente?"

"Eravamo in quindici, signore."

Allora ti ho guardato attraverso i miei occhiali e ti ho visto per la prima volta.

Avevi venti o ventidue anni ed eri già incazzato.

 

Da "La malattia di Sachs" di Martin Wincler

 

Grazie Novella

 

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