1919: L'IMPRESA DI FIUME

I trattati di pace di Parigi avevano stabilito il passaggio di Trentino, Venezia Giulia e Istria all'Italia. Vane erano state invece le preteste avanzate sulla Dalmazia e sulla città di FIUME.

La Dalmazia era stata promessa all'Italia con il patto di Londra del 1915, ma, essendo abitata prevelentemente da slavi, fu assegnata alla Jugoslavia, secondo il principio di autodeterminazione dei popoli sostenuto dal presidente statunitense Wilson. Anche le insistenze per l'annessione di Fiume, dove pure era assai folta la cittadinanza Italiana, vennero ignorate. Nel paese cominciò a diffondersi la convinzione di aver ottenuto una "vittoria mutilata": si riteneva cioè che il successo conseguito sui campi di battaglia non avesse portato ad adeguati guadagni territoriali.

I sostenitori del Nazionalismo alimentarono un'accesa campagna contro le decisioni prese a Parigi, attaccando anche il governo, ritenuto incapace di far rispettare le proprie posizioni. Di lì a poco i nazionalisti passarono decisamente all'azione: il 12 settembre 1919 una spedizione guidata da Gabriele D'annunzio, formata da ex combattenti ma anche da soldati dell'esercito regolare, occupò militarmente la città di Fiume.

Il governo presieduto da Francesco Saverio Nitti, non intervenne di fronte a questo atto di etrema gravità, che avrebbe potuto dar vita a un nuovo conflitto. L'occupazione di Fiume aveva peraltro suscitato nel Paese il consenso degli ambienti militari e di parte dell'opinione pubblica. La questione fu poi risolta nel 1920 dal nuovo governo di Giolitti. Egli firmò infatti con la Jugoslavia il trattato di rapallo (12 novembre 1920), in virtù del quale la città di Fiume venne dichiarata "Stato indipendente" e le truppe d'annunziane furono allontanate.

In seguito di un accordo, Fiume sarebbe poi passata nel 1924, allo Stato Italiano.

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