Quando uno finisce di parlare di questo confuso tempo, o di
scriverne, c'è sempre qualcuno che alza la manina e dice con sussiego:«D'accordo, lei
vede ciò che non va, ma perché non fa delle proposte in positivo?». Come dire a uno che
sta al volante di una macchina impazzita: scusi, ma perché non si ferma?
Ho percorso in questi giorni le autostrade padane, che il signor Kinnock dell'Unione
europea ci esorta ad allargare. Sono decine di'anni che le allarghiamo, e il risultato è
che da Milano a Bergamo o a Como si va spesso a passo d'uomo, in file ininterrotte di
fabbriche e fabbrichette che fumano caligine come nel giorno della fine del mondo.
Proposte in positivo? La buona volontà non manca, ma vediamo che cosa davvero si può
fare.
Abbiamo un sistema finanziario che presta il denaro a chi ce l'ha perché ne faccia ancora
di più e lo nega a chi non ce l'ha; e che progetta in continuazione opere sicuramente
dannose al vivere civile, altre autostrade, ferrovie ad alta velocità, trafori che
ammorberanno l'aria e la riempiranno di fragori. Dalle mie parti, nel Cuneese, vogliono
costruire un'autostrada che per trafori alpini dovrebbe raggiungere Nizza. A farci che
cosa non si capisce.
Una regola aurea del capitalismo è di non lasciare fermo il denaro; per questo i
banchieri del Rinascimento inventarono le cambiali. Ma il gigantesco movimento di denaro
attuale, con le megafusioni di banche, le Opa, le privatizzazioni, sfugge a spiegazioni
chiare. Forse agli uomini del capitale piace il gioco di Monopoli che si fa scambiando
sulla carta montagne di miliardi, ma restando, alla fine del gioco, al punto di prima; o
forse, ipotesi più probabile, quelli che hanno le mani in pasta nel denaro sanno che in
questi suoi andirivieni, in questi suoi accoppiamenti e separazioni un po' ne rimane
attaccato alle mani di chi ci sa fare.
La speculazione nell'immobilità è un non senso, e aiutare le cose a muoversi può
tornare utile. Sarà per questo che il Comune di Milano e altri stanno vendendo ai privati
tutto ciò che avevano messo assieme nel secolo: farmacie, trasporti, cooperative,
acquedotti. Proprio nel tempo in cui un calmiere pubblico, un pubblico controllo di un
mercato spesso irresponsabile sarebbero augurabili.
Si parla spesso a vanvera di "pensiero unico"
capitalistico, comE Se fosse lo Spirito Santo. Il baronetto Ralf Dahrendorf ha
opportunamente ricordato che il padre di questo pensiero unico, il capitalismo globale,
non è un monolito come il comunismo sovietico: resta un sistema snodato, dialettico.
Ma che sia dominante l'invito a diminuire i costi e ad aumentare i profitti pare
evidente, e che da esso nascano retoriche ambigue, propagande interessate e
disinformazioni pare accertato. Ogni giorno i liberisti ci fanno sapere che con il privato
i costi saranno più bassi e la qualità migliore. Ma spesso sono trucchi. Si diminuiscono
di poco le tariffe, ma si aumentano i consumi.
Gli italiani non hanno mai speso tanto per telefonare come oggi. E mai i servizi
telefonici automatizzati sono stati più confusionari e petulanti: non fai in tempo ad
alzare la cornetta che già una voce registrata ti intima di fare quello che hai appena
fatto. Forse non sono un buon contabile, ma i mutamenti di gestione privata, pubblica, di
nuovo privata non hanno impedito alle bollette di essere sempre più care e sempre più
ermetiche.
Aveva ragione l'abate Le Muisis a dire nel suo volgare rude: «En monnaie est le
cose moult obscure, elles s'en vont haut e bas e ne sent on que faire». C'è chi fa le
Opa e chi ne legge sui giornali senza capire chi c'è dietro e chi alla fine ne trarrà
vantaggio. Che servano a farci su un po' di miliardi pare assodato, ma il resto rimane
"moult obscure".