DIRITTO DI DIFESA E TUTELA
DELL'UTENTE DEI SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ: UN'EQUAZIONE ANCORA IRREALIZZATA
di Sergio Palmieri - Via Tito Angelini n. 41 - 80129 Napoli - tel. (081) 5789370.
E-mail: rpalmieri@vesuvio.synapsis.it
Pubblicato in Corriere Giuridico, 1997, 10, pp. 1140 ss.
TESTO INTEGRALE DELLE SENTENZE
Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1997, n. 3686 - Pres. Nicastro
- Est. Cocco - P.M. Marinelli (conf.) - Moretto c. Telecom s.p.a.
massima ufficiale
L'abbonamento telefonico è un contratto di adesione (art. 1341 c.c.) non ad uno schema
negoziale predisposto dalla società concessionaria del servizio, bensì disciplinato
dalla legge, che prevede il sistema delle tariffe a contatore nella rete telefonica per la
contabilizzazione del traffico dell'utenza (art. 233 r.d. 645 del 1936) e poiché il
contatore centrale è sottoposto a controlli e collaudi della pubblica amministrazione, si
presume idoneo ad un'esatta contabilizzazione.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 18.10.1983 la S.I.P. (Società italiana per l'esercizio
telefonico), premesso che era creditrice nei confronti di Moretto Elisabetta dell'importo
di £. 9.339.300 relativo all'utenza telefonica intestata alla predetta, come risultava
dall'estratto conto, e che ogni richiesta di pagamento non aveva dato esito, chiedeva ed
otteneva dal Presidente del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi ingiunzione di pagamento
per la predetta somma. Proponeva opposizione la Moretto, deducendo che la società opposta
non aveva fornito la prova del credito e che, in ogni caso, essa opponente aveva versato
quanto dovuto in ragione di £. 5.615.560 mediante versamento su conto corrente postale in
data 9.11.1982. Con sentenza del 9.4.1991 il Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi
accoglieva 1'opposizione, dichiarando non dovuta la somma recata in decreto. A seguito di
gravame della S.I.P., con l'impugnata sentenza la corte di merito, in accoglimento
dell'appello, riformava la sentenza di prime cure e confermava il decreto ingiuntivo
opposto.
Ha proposto ricorso per cassazione. affidato ad un'unica censura Moretto Elisabetta;
resiste con controricorso la Telecom Italia (già S.I.P.) s.p.a.
Motivi della decisione
Deducendo violazione dell'art. 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2709 e 2710 c.c., la
ricorrente assume che erroneamente la corte di merito abbia ritenuto esaustiva la prova
fornita dalla resistente mediante la produzione in giudizio dell'estratto conto e delle
rilevazioni fotografiche mensili, autenticate da un notaio.
La censura è priva di fondamento. L'impugnata sentenza risulta correttamente ed
esaustivamente motivata con la considerazione che l'adozione ex lege (R.D. 27.2.1936 n.
645) del sistema generalizzato delle tariffe a contatore nelle reti telefoniche è stata
imposta alla società resistente con gli atti di concessione, in conformità delle
prescrizioni stabilite nel piano regolatore telefonico nazionale approvato con D.M.
11.12.1957. Ne risulta che l'abbonamento telefonico nel nostro ordinamento un contratto
d'adesione ad una specie negoziale regolata dalla legge, per cui il contatore centrale
imposto dallo schema normativo ed accettato con 1a stipula del contratto d'utenza,
costituisce un meccanismo probatorio assistito da una presunzione d idoneità all'esatta
contabilizzazione del traffico, in ragione dei collaudi e dei controlli sullo stesso
esercitati dalla pubblica amministrazione. Esattamente, pertanto, la corte di merito, non
essendo stato dalla ricorrente contestato il regolare funzionamento delle apparecchiatura
della Sip, ha ritenuto che con la produzione in giudizio dell'estratto conto relativo
all'utenza nel periodo e delle rilevazioni fotografiche mensili del contatore centrale,
autenticate da notaio, la società telefonica abbia assolto al suo onere probatorio.
Il ricorso non può, pertanto, che essere rigettato con conseguente condanna della
ricorrente alle spese, liquidate come in dispositivo.
P.t.m.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in £
85.400, oltre £ 2.000.000 per onorari di difesa.
Così deciso in Camera di consiglio in Roma il 28 Novembre 1996.
Commento a Cass. n. 3686/1997
1. I territori metafisici dell'onere della prova
In una motivazione estremamente succinta - per la precisione, contenuta in appena
trentasei righe - la Corte di cassazione ha ritenuto di poter adeguatamente chiarire le
ragioni che stanno alla base di una decisione che avalla, di fatto, una lettura dell'art.
24 Cost. in chiave meramente programmatica ( ), quantomeno nei confronti dell'utente di un
servizio pubblico (nella specie, quello telefonico).
Si potrebbe, invero, essere benevolmente portati a credere che i giudici di
legittimità si siano preoccupati - in un sia pure intempestivo guizzo di equità - di
contenere le spese del ricorrente, tenuto conto del maggiore aggravio degli oneri
economici che una sentenza di numerose pagine comporta per la parte soccombente. Resta il
fatto che la motivazione della sentenza costituisce pur sempre un indefettibile strumento
di "controllo democratico sull'esercizio del potere giurisdizionale" ( ),
sicché il cittadino meriterebbe forse maggiore considerazione, soprattutto quando si
tratti di decidere su questioni che così direttamente e diffusamente lo coinvolgono, come
quella che è oggetto del presente commento.
Prevedibili gli aspetti salienti della vicenda su cui si innesta la decisione in
esame. Nel lontano 1982, un'abbonata al servizio di utenza telefonica, vistasi recapitare
bollette d'importo sproporzionato rispetto al consumo effettivo, decide di adempiere solo
parzialmente il debito risultante dagli estratti conto della società concessionaria
(all'epoca, Sip). Quest'ultima chiede ed ottiene dal Presidente del Tribunale di
Sant'Angelo dei Lombardi un decreto ingiuntivo nei confronti dell'utente, per il pagamento
della differenza. Dopo alterne vicende (accoglimento dell'opposizione in primo grado;
riforma della sentenza in appello, con l'integrale conferma del decreto opposto), la
controversia viene portata all'esame dei giudici di legittimità, per la soluzione del
seguente quesito di diritto: ai fini della prova del credito da utenza telefonica,
costituisce un mezzo idoneo la semplice rilevazione degli scatti, effettuata dalla stessa
società concessionaria del servizio, sulla base di un sistema meramente interno di
contabilizzazione?
La risposta, inopinatamente affermativa, della Cassazione è incentrata sul rilievo
secondo cui l'adozione del sistema delle tariffe a contatore non è riconducibile ad una
libera scelta della società erogatrice, bensì ad un meccanismo legale, imposto tanto
all'utente quanto allo stesso concessionario. Alla base di tale meccanismo sarebbe
individuabile "una presunzione di idoneità all'esatta contabilizzazione del
traffico", tenuto conto dei collaudi e dei controlli che la P.A. concedente ha
facoltà di eseguire sugli impianti utilizzati dalla Sip. Peraltro, sottolinea la Corte,
l'abbonamento telefonico costituisce un contratto di adesione, regolato dall'art. 1341
c.c.; con la conseguenza che, al momento della stipula del contratto, l'utente accetta
l'intero schema normativo stabilito nel piano regolatore nazionale, approvato con d.m. 11
dicembre 1957, ivi compreso il sistema di contabilizzazione a contatore centrale, la cui
validità non può quindi essere messa in discussione in un momento successivo a quello
della conclusione del contratto, salva sempre la possibilità, per l'utente, di
contestarne il regolare funzionamento.
L'inevitabile conclusione cui conduce il ragionamento riportato nella sentenza in
epigrafe è che "esattamente... la corte di merito, non essendo stato dalla
ricorrente contestato il regolare funzionamento delle apparecchiature della Sip, ha
ritenuto che con la produzione in giudizio dell'estratto conto relativo all'utenza nel
periodo e delle rilevazioni fotografiche mensili del contatore centrale, autenticate da
notaio, la società telefonica abbia assolto al suo onere probatorio". Così,
straordinariamente semplice è la soluzione.
È lecito, tuttavia, domandarsi cosa sarebbe accaduto se la ricorrente avesse
diligentemente contestato la regolarità della contabilizzazione. La risposta, non fornita
dai giudici di legittimità - anche perché non rientrante nel thema decidendum - è di
immediata evidenza: l'utente avrebbe dovuto provare il cattivo funzionamento dei contatori
centrali. L'ulteriore, prevedibile interrogativo circa le concrete possibilità, per un
privato, di fornire una simile prova, appartiene alla sfera del metagiuridico, o per
meglio dire, del metafisico.
È tuttavia proprio questo noumeno che vuol essere l'oggetto del presente commento.
E non è chi non veda come una verifica dei coefficienti di legalità e di
costituzionalità degli attuali standards di tutela del contraente debole nei confronti
dei poteri privati ( ) debba necessariamente involgere serie riflessioni sulle soluzioni
di volta in volta adottate dal legislatore e dalla stessa giurisprudenza.
2. Sip, un Leviathan ormai estinto?
A onor del vero, va osservato che dall'epoca cui si riferiscono i fatti di causa ad oggi i
rapporti tra società dei telefoni ed utenti hanno subito una radicale metamorfosi. Ciò
che costituisce il riflesso di un graduale rafforzamento, a livello sociale prima ancora
che giuridico, della categoria degli utenti dei servizi di pubblica utilità, oggi dotata
di un proprio, ben definito statuto normativo, la cui salvaguardia è peraltro affidata ad
Authorities appositamente istituite con l'art. 2 della oramai nota legge 14 novembre 1995,
n. 481 ( ).
Diverse le cause di questo mutato atteggiamento: dalla privatizzazione delle
imprese erogatrici, con il contestuale accentuarsi del carattere imprenditoriale della
gestione dei servizi di pubblica utilità, alla progressiva "moralizzazione" del
diritto dei contratti, oggi fermamente improntato alla tutela del contraente debole ( ). E
quanto inarrestabile sia questo processo, lo dimostra la frammentazione dell'unitarietà
della materia contrattuale ( ), operata anche al livello della disciplina generale
contenuta nel codice civile ( ); con la conseguenza che - sia pure con notevole ritardo
rispetto agli altri paesi dell'Unione europea ( ) - la tutela del consumatore è entrata a
pieno titolo anche nel "patrimonio genetico" del nostro ordinamento ( ).
In particolare, per quanto in questa sede rileva, la fatturazione del traffico
telefonico è assistita da appositi tabulati - visionabili, a richiesta, dall'interessato
- in cui sono riportati analiticamente i dati del traffico, comprensivi dei numeri
chiamati dall'apparecchio dell'utente (con l'omissione delle ultime cifre) per le
telefonate d'importo superiore ai quattro scatti, nonché del giorno e dell'ora, della
destinazione, della durata e del costo di ciascuna telefonata. Viene in tal modo
quantomeno soddisfatta l'esigenza, esplicitata dal legislatore all'art. 1 della richiamata
legge sui servizi di pubblica utilità, di assicurare "un sistema tariffario certo,
trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi degli
utenti e consumatori". Vero è che il problema del valore da attribuire alle
indicazioni fornite dalla società rimane sostanzialmente inalterato. Appare tuttavia
evidente come la sussistenza di dati specifici renda quantomeno meno evanescente la
pretesa creditoria, oltre a testimoniare la disponibilità, da parte della Telecom, a
procedere nella direzione di una più incisiva tutela dell'utente.
Ben diversa la situazione fino a qualche anno fa, quando le spiegazioni fornite
dalla società concessionaria del servizio telefonico - essendo secretata ogni altra
informazione - si limitavano alla mera indicazione del totale degli scatti, oltre alle
scontate rassicurazioni dei funzionari - talvolta date per iscritto, ma più spesso
verbalmente - circa il regolare funzionamento dei contatori centrali. Nel 1987, in
particolare, Torino e Venezia risultavano essere le sole città italiane nelle quali era
possibile ottenere dati più dettagliati, al pari degli altri paesi dell'area Cee;
tuttavia, il costo del servizio (all'epoca, 35 lire per ciascuna chiamata) era tale da
scoraggiarne qualunque forma di concreta utilizzazione ( ).
Disservizi e ritardi circa talune prestazioni accessorie - si pensi
all'installazione, a volte effettuata ad anni di distanza dalla richiesta, di un
"teletaxe" (o contatore di appartamento), peraltro ininfluente sotto il profilo
probatorio ( ) - completavano un quadro a dir poco sconfortante, tenuto conto della non
scarsa frequenza di errori nella contabilizzazione, ampiamente comprovata dalle numerose
inchieste assurte agli onori della cronaca, come quella giudiziaria del novembre 1987,
significativamente ricordata come la vicenda delle "bollette gonfiate" ( ). Ed
appare di non poco momento il fatto che già allora l'interrogativo più incalzante, cui
la magistratura inquirente fu chiamata a dare una risposta, riguardasse la conformità
alle leggi vigenti della pretesa del pagamento di un servizio pubblico "anche quando
il consumatore non è in grado di stabilire se la somma a lui richiesta corrisponde
all'effettivo uso della sua utenza telefonica" ( ).
Parimenti eloquenti i dati dell'epoca circa il numero e l'oggetto dei reclami
inoltrati alla società dei telefoni: delle centosettantamila lamentele annue, infatti,
circa la metà riguardava la bolletta del telefono "ed in particolare le
contestazioni sugli scatti addebitati" ( ). Una sia pur magra consolazione, per il
cittadino comune, derivava dalla consapevolezza che le anomalie potevano colpire chiunque,
come prova la bolletta di ottantacinque milioni e quattrocentosessantaduemila lire
recapitata al capo della Squadra Mobile di Napoli, nel 1989 ( ).
Così, ad un'indagine comparativa tra le società che gestivano il servizio
telefonico nell'area della Comunità europea - condotta, con riguardo a tutto il 1987, dal
Bureau Européen des consommateurs (Beuc) - la Sip fu classificata tra le ultime per
qualità dei servizi e per trasparenza delle fatturazioni. Non a caso, infatti, il punctum
dolens delle critiche risultò essere la sostanziale impossibilità di contestazione delle
bollette, a fronte della genericità della fatturazione e dell'inutilizzabilità ai fini
probatori del contascatti domestico, da parte dell'utente. In altri termini - fu
acutamente sottolineato - in caso di lite, "l'azienda è contemporaneamente dalla
parte dell'accusato e del giudice" ( ).
3. Il c.d. sistema a contatore centrale nella
normativa vigente e negli orientamenti giurisprudenziali
Se, dunque, la nuova gestione del servizio telefonico sembra garantire all'utente del
futuro sonni tranquilli, non altrettanto dicasi per coloro i quali - e non sono pochi,
considerata la durata del processo civile - sono ancora coinvolti in vertenze giudiziarie
con l'attuale Telecom, in relazione a fatti avvenuti pressappoco sino alla fine degli anni
ottanta. Tuttavia, ciò che preme ancora una volta di sottolineare è che l'aver
introdotto un sistema di fatturazione più certo e trasparente, pur comportando un
indubbio alleviamento della posizione dell'utente nei confronti della società erogatrice,
non modifica significativamente lo squilibrio, sul piano probatorio, tra le parti del
contratto di abbonamento telefonico.
Il problema principale, infatti, era e resta quello di stabilire se sia conforme
alla legge un meccanismo probatorio del credito da utenza telefonica - esclusa peraltro la
rilevanza delle bollette, secondo quanto la stessa giurisprudenza ha avuto modo di
chiarire ( ) - basato unicamente sul riscontro degli scatti effettuati dall'abbonato
mediante strumentazioni interne alla sede della società erogatrice, e se la stessa legge
prevede che l'utente sia sufficientemente garantito dalla predisposizione dai controlli
facoltativamente effettuati dalla P.A. concedente su tali impianti. Un'eventuale risposta
affermativa a questo primo quesito apre la strada ad un ulteriore problema, quello, cioè,
della compatibilità di un simile meccanismo con i principi costituzionali in tema di
diritto di difesa e di diritto alla prova, che del primo costituisce un logico corollario
( ), tenuto conto della posizione della società concessionaria del servizio di utenza
telefonica, la quale, com'è noto, opera in regime di monopolio ( ).
Sotto il primo profilo, occorre preliminarmente individuare le disposizioni
normative che regolano il rapporto che lega l'utente alla società concessionaria,
qualificato dalla giurisprudenza in termini di contratto per adesione, ed in particolare
come contratto di somministrazione ad esecuzione continuata ( ), soggetto come tale alle
norme di diritto privato.
Anteriormente all'approvazione del vigente codice postale e delle
telecomunicazioni, adottato con d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, la disciplina del contratto
di abbonamento telefonico era ricavabile, oltre che dal codice abrogato (r.d. 27 febbraio
1936 n. 645), dal relativo regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 19 luglio 1941,
n. 1198. Il quadro normativo si componeva inoltre del piano regolatore telefonico
nazionale, sviluppato in base ai programmi pluriennali, emanato con d.m. 11 dicembre 1957,
e sostituito dal d.m. 27 luglio 1970, nonché degli ulteriori provvedimenti di adeguamento
delle tariffe telefoniche. Da tale complesso di disposizioni risultava che le prestazioni
della società dei telefoni venivano misurate dai contatori installati nelle centrali - la
cui adozione era autorizzata dall'art. 233 del citato codice postale - ai quali peraltro
non era consentito l'accesso agli utenti.
Non dissimile l'attuale disciplina, incentrata, da un lato, sul codice del 1973, e
dall'altro sul regolamento di servizio - previsto in via generale dall'art. 283, comma 2,
codice citato, e dall'art. 28 della convenzione tra il Ministero delle poste e dalla
società Sip, allegata al d.p.r. 13 agosto 1984, n. 523 - approvato con decreto del
Ministro delle poste e delle telecomunicazioni 8 settembre 1988, n. 484, e successivamente
modificato con il d.m. 13 febbraio 1995, n. 191. Infine, il piano regolatore telefonico
nazionale ha subito ulteriori modifiche con i decreti ministeriali del 16 luglio 1982 e
del 6 aprile 1990. In particolare, il sistema delle tariffe a contatore è ora previsto
dall'art. 305 codice postale. L'art. 12, comma 4, del regolamento di servizio del 1988
sancisce, inoltre, "l'obbligo di effettuare gli addebiti per il traffico in base alle
indicazioni dei contatori di centrale".
Da questo tessuto normativo - che prevede, tra l'altro, la conformità dei
contatori ai prototipi e ne ammette l'agibilità; che disciplina i rapporti tra P.A.
concedente e società concessionaria; che regola la vigilanza della prima sull'attività
della Sip (ora Telecom Italia) s.p.a. - la giurisprudenza ha ricavato una presunzione di
esattezza delle rilevazioni dei contatori, chiarendo che le eventuali contestazioni da
parte degli utenti debbano essere suffragate dalla prova dell'errore tecnico, o di
quant'altro possa aver determinato una discrepanza tra i dati forniti dalla società
erogatrice e l'effettivo consumo, come ad esempio l'intromissione di terzi sulla propria
linea telefonica, ovvero la truffa ad opera di funzionari dell'azienda ( ).
È importante, a questo punto, sottolineare che la disposizione che espressamente
fa riferimento ad un obbligo di attenersi alle rilevazioni dei contatori centrali, il
citato art. 12, comma 4, d.m. 8 settembre 1988, n. 484, è contenuta, appunto, nel
regolamento di servizio, che, come la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di
chiarire ( ), non ha forza di legge, ma ha valore meramente regolamentare, ed è pertanto
direttamente disapplicabile dal giudice ordinario, ove in contrasto con la legge o con la
Costituzione ( ). Non sembra, per contro, fornire alcun elemento preciso in ordine al
regime probatorio, la generica formulazione dell'art. 305 codice postale, il quale si
limita a stabilire che "il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni è
autorizzato ad introdurre il sistema delle tariffe a contatore nelle reti telefoniche
urbane, quando le condizioni tecniche dei rispettivi impianti consentano l'applicazione di
tale sistema".
Alle larghe maglie interpretative lasciate dalla lex specialis fa da contraltare il
ben diverso tenore della normativa generale contenuta nel codice civile: in primo luogo,
infatti, l'art. 2697 fissa il criterio generale in tema di onere della prova, stabilendo
che incombe su chi vuol far valere un diritto in giudizio di provare i fatti che ne
costituiscono il fondamento, e subordinando in tal modo l'onere della prova contraria, da
parte di chi eccepisce l'estinzione o la modificazione di quel diritto, all'esito positivo
della prima. Ed in proposito, la Corte di legittimità ha in più occasioni avuto modo di
chiarire che l'onere probatorio - di contenuto contrario a quello dell'attore - sorge, a
carico del convenuto, solo quando sia stata fornita la prova dei fatti posti a fondamento
della domanda, e non si ha inversione dell'onere della prova neppure nel caso in cui lo
stesso convenuto assuma l'iniziativa di provare l'insussistenza dei fatti addotti
dall'attore: di conseguenza l'eventuale esito sfavorevole di tale prova da parte del
convenuto non importa per l'attore l'esonero dell'assolvimento del proprio onere
probatorio ( ).
Per quanto attiene all'efficacia probatoria dei contatori e, in generale, di ogni
rappresentazione meccanica di fatti e di cose, l'art. 2712 c.c. ne limita l'efficacia di
piena prova al caso in cui "colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la
conformità ai fatti o alle cose medesime", laddove, in caso di disconoscimento,
secondo la dottrina e la giurisprudenza unanimi, la riproduzione perde la qualità di
prova, così come avviene per la scrittura privata e come "risulta evidente
dall'onere dell'istanza di verifica imposto - art. 216 1° comma c.p.c. - alla "parte
che intende valersi della scrittura disconosciuta"" ( ). Con la conseguenza che,
in tal caso, la rappresentazione meccanica non può neppure essere valutata liberamente (
).
Inoltre, riguardo alla contabilità interna delle imprese soggette a registrazione
- qual è la società concessionaria del servizio telefonico - gli artt. 2709 e 2710 c.c.
pongono uno sbarramento invalicabile, chiarendo che essa può fare prova solo contro
l'imprenditore, salvo che si tratti di rapporti tra imprenditori, inerenti all'esercizio
dell'impresa. Ed è appena il caso di sottolineare, in proposito, che il contatore
centrale è lo strumento su cui si basa la contabilità relativa all'utenza telefonica,
riprodotta nei fogli di rilevazione del consumo.
Sicché, se in base all'impianto normativo codicistico i contatori centrali sono
del tutto inidonei a fornire un'adeguata prova del credito da utenza telefonica,
debitamente contestato nel suo ammontare da parte dell'utente, si potrebbe ritenere che
con il contratto di abbonamento sia implicitamente imposta un'inversione, o comunque una
modifica dell'onere della prova. In altri termini, l'adesione allo schema negoziale
implicherebbe accettazione di una clausola di esonero della società concessionaria
dall'obbligo di dimostrare l'esattezza della contabilizzazione, mentre resterebbe
addossato all'utente l'onere di provarne l'incongruità. Nemmeno questa strada appare
tuttavia perseguibile, considerato che l'art. 2698 c.c. dichiara nulli i patti con i quali
è invertito ovvero modificato l'onere della prova, "quando l'inversione o la
modificazione ha per effetto di rendere a una delle parti eccessivamente difficile
l'esercizio del diritto".
Seguendo l'interpretazione giurisprudenziale, il microsistema delineato dal
legislatore, in tema di contratto di abbonamento telefonico, configura dunque un corpus di
norme a sé stante, avulso dal contesto della normativa civilistica del 1942: una sorta di
statuto speciale per un'impresa che eroga un servizio di pubblica utilità, che viene a
trovarsi in tal modo in una posizione differenziata anche rispetto ad altre imprese che
operano in settori analoghi, quali le società erogatrici del gas, dell'energia elettrica
e dell'acqua. Per queste ultime, infatti, il regime probatorio è fondato sull'esistenza
di impianti collocati al domicilio dell'utente, i quali forniscono dati che assumono
valore per entrambe le parti del rapporto contrattuale.
Per giustificare gli effetti aberranti di una simile impostazione, si è così
sostenuto che i controlli effettuati dalla pubblica amministrazione concedente sugli
impianti del concessionario del servizio telefonico assicurano l'efficienza e la
precisione degli stessi, garantendone l'idoneità ai fini probatori.
Le norme che disciplinano i controlli da parte della P.A. sui contatori forniscono
però non pochi elementi in contrario: in primo luogo, l'art. 193 del vigente codice
postale e delle telecomunicazioni, nel prevedere la facoltà per l'amministrazione di
procedere a controlli e verifiche sull'esercizio della concessione, eventualmente presso
le sedi del concessionario, chiarisce che ciò avviene "allo scopo di accertare la
regolare osservanza degli obblighi assunti dal concessionario". In secondo luogo, da
un lato, l'art. 200 stabilisce, al primo comma, che "è in facoltà
dell'amministrazione di procedere, a spese del concessionario, al collaudo degli impianti
inerenti i servizi di telecomunicazioni"; dall'altro, il secondo comma chiarisce che
"il collaudo non esonera il concessionario da eventuali responsabilità".
Inoltre, l'art. 210 prevede, al comma 2, la facoltà di far eseguire verifiche sulla
contabilità dell'ente concessionario, solo "al fine dell'accertamento dei canoni che
l'ente stesso deve corrispondere a norma del precedente art. 188".
È chiaro, dunque, che il legislatore ha scisso nettamente il rapporto
pubblicistico tra concedente e concessionario, da quello tra concessionario ed utente, che
è un rapporto di diritto privato; ed in tale ottica ha posto il meccanismo dei controlli
della P.A. al di fuori del regolamento di interessi determinato nel contratto di utenza,
rapportandolo unicamente all'esigenza di regolare svolgimento dei rapporti tra P.A. e
società concessionaria, ferme restando le questioni relative a pretese contrattuali
avanzate dalla Sip-Telecom nei confronti degli utenti. Relativamente a queste ultime,
infatti, la società dei telefoni non può avvantaggiarsi dei controlli meramente
facoltativi predisposti dalla P.A., che costituiscono un onere imposto quale contropartita
dei benefici derivanti alla società per la notevole redditività del servizio di utenza,
e da cui non possono derivare altri e non previsti vantaggi sul diverso piano dei rapporti
privatistici.
4. Diritto di difesa e probatio diabolica
Come si è visto, l'ottica giurisprudenziale sembra superare d'un colpo ogni obiezione sul
semplice rilievo che laddove il legislatore ha previsto la possibilità di adozione del
sistema a contatore centrale non poteva non sancirne implicitamente l'idoneità anche sul
piano probatorio, onde evitare di cadere in una palese contraddizione. Sarebbe, infatti,
assurdo pensare di imporre alla società concessionaria un simile sistema di
contabilizzazione, se la si lasciasse in tal modo in balìa delle contestazioni degli
utenti, non consentendole di provare in alcun modo l'ammontare dei propri crediti.
È agevole, in altri termini, prevedere, come conseguenza di un ipotetico
revirement da parte della Cassazione, il dilagare di azioni volte a conseguire ingenti
risarcimenti, per ciò che è stato (più o meno indebitamente) versato in esecuzione del
contratto di abbonamento, ovvero di eccezioni da parte di schiere di utenti, convenuti in
giudizio dalla società erogatrice per il recupero di quei crediti rimasti ancora
insoluti.
La funzione nomofilattica ha qui un effetto paralizzante sull'attività della Corte
regolatrice. Significativamente, nonostante siano trascorsi quasi vent'anni dall'ultima
pronuncia sul punto da parte dei giudici di legittimità ( ), non vi è traccia, nella
decisione in esame, dei progressi realizzatisi medio tempore in tema di tutela del
consumatore. Né deve sorprendere che la giurisprudenza di merito, forte di una posizione
istituzionalmente meno "esposta", vanti, al contrario, un numero sempre più
cospicuo di precedenti in senso favorevole all'utente del servizio telefonico, peraltro
con motivazioni che danno ampiamente conto dei mutamenti in atto in questo delicato
settore della materia contrattuale ( ).
Anche in quest'ottica l'operato della Cassazione non appare condivisibile, e ciò
almeno per un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, il giudice di legittimità
non deve essere influenzato da valutazioni che esulino dall'ambito dello strictum ius, per
sconfinare nei territori della "ragion pratica". In altre occasioni la stessa
Suprema Corte non ha avuto dubbi sul fatto che l'obiettiva difficoltà in cui si trovi la
parte di fornire la prova del fatto costitutivo del diritto vantato non può condurre ad
una diversa ripartizione del relativo onere che grava, comunque, su di essa ( ).
Non senza aggiungere che la difficoltà, per la Telecom, di provare la consistenza
dei propri crediti, è in realtà riconducibile ad una precisa scelta di carattere
economico, operata dalla stessa società. L'adozione del sistema a contatore centrale non
esclude, infatti, la possibilità di fornire anche all'altra parte contraente un
indicatore di conteggio direttamente collegato con quello posto all'interno delle sedi
della società. In proposito, la Telecom si è premurata di informare, nell'elenco
abbonati, che "gli altri servizi pubblici, come il gas, l'acqua, l'elettricità,
collocano il contatore presso l'abbonato perché quello è il punto del consumo, e perché
distribuiscono un servizio sempre uguale che può variare soltanto per la quantità
prelevata.
Nel caso del telefono, invece, ogni abbonato ha una propria linea diretta che lo
collega alla centrale, e il servizio richiesto può cambiare di volta in volta... Per
applicare quindi ad ogni telefonata la giusta tariffa, occorrono apparecchiature molto
complesse, che in una centrale telefonica servono tutti gli abbonati collegati. Per questo
il punto di rilevazione dei consumi non può essere che la centrale telefonica".
Tuttavia, in passato, la stessa società non ha avuto difficoltà ad ammettere che
l'inidoneità, ai fini probatori, del contatore di appartamento, o teletaxe, dipende dal
fatto che tale strumento è tecnicamente impreciso, in quanto il conteggio degli scatti
"viaggia sui fili di conversazione, tramite impulsi elettrici, ed è quindi soggetto
a fenomeni esterni di carattere elettromagnetico che alterano la precisione del conteggio.
Nelle centrali, invece, questo conteggio viaggia su fili indipendenti da quelli della
conversazione" ( ). Significativo, peraltro, che alla domanda - posta nel corso della
medesima intervista - se esistesse un rimedio tecnico per tale inconveniente, la risposta
fu che sarebbe stata sufficiente l'aggiunta di un terzo filo per collegare la centrale con
il teletaxe, rimedio, questo, ritenuto tuttavia "troppo costoso per la Sip"
(sic!).
In secondo luogo, l'interpretazione adottata dalla Corte di legittimità presta il
fianco a non pochi dubbi di costituzionalità. Secondo la sentenza in esame, di fatto
l'adesione al contratto di utenza telefonica, unilateralmente predisposto dalla società
concessionaria, comporta l'accettazione - peraltro implicita, ai sensi dell'art. 283
codice postale ( ), in deroga all'art. 1341, comma 2 c.c. ( ) - di una clausola
sostanzialmente configurante un'inversione dell'onere della prova circa la regolarità
della contabilizzazione. Si viene in tal modo a determinare una totale compressione del
diritto di difesa ( ), in quanto la prova contraria, quella avente ad oggetto l'irregolare
funzionamento delle apparecchiature della Sip, fa impallidire la probatio diabolica
relativa al diritto di proprietà, data l'appartenenza dei contatori all'altro contraente,
nonché la loro fisica localizzazione all'interno della sede di quest'ultimo, ed infine
data l'impossibilità, per l'utente, di verificare l'andamento della contabilizzazione (
).
Ma ad essere irrimediabilmente pregiudicato è anche il diritto alla libertà
contrattuale, riconducibile, come è stato opportunamente sottolineato, agli artt. 2, 3 e
41 Cost. ( ). Il regime di monopolio in cui opera la società concessionaria priva infatti
l'utente di qualunque facoltà di scelta, considerato che la mancata adesione allo schema
contrattuale gli precluderebbe l'accesso ad un servizio collegato alla salvaguardia di
beni fondamentali dell'individuo, come il diritto alla salute e all'incolumità personale
(si pensi ai c.d. numeri di pubblica utilità).
Dubbi di costituzionalità sorgono, infine, per l'assoluta ed irragionevole
disuguaglianza tra la posizione del concessionario, libero di disporre a piacimento della
prova del proprio credito, e quella dell'utente, cui sarebbe sottratta la disponibilità
della prova liberatoria.
Occorre - ça va sans dire - un serio ripensamento dell'intera problematica. Nella
legislazione di questi ultimi anni il cittadino ha subito un processo di "giuridica
disgregazione", in considerazione delle molteplici attività contrattuali che la
società dei consumi gli impone di svolgere. Il "contraente debole" gode così
di uno status differenziato, a seconda che egli si trovi, in veste di consumatore,
all'interno ( ) o all'esterno dei locali commerciali ( ); che sia un utente dei servizi di
pubblica utilità ( ),
un risparmiatore ( ), un piccolo azionista ( ), un turista ( ) o solo un possibile
contraente, destinatario dei messaggi pubblicitari ( ). Le perplessità legate ad una
presunta morte del contratto, come conseguenza di quest'espansione dell'area della c.d.
public policy ( ), segnano il passo di fronte alla convinzione, maturata in seno alla
Comunità europea, che solo in tal modo la libertà contrattuale può essere efficacemente
tutelata dagli attacchi provenienti da una contrattazione di massa, gestita in maniera
sempre più spregiudicata dai poteri privati ( ).
La matrice sociale e culturale che è alla base di questo profondo rinnovamento
deve costituire uno stimolo, per il giudice, ad orientare costantemente la sua attività
ermeneutica verso la piena realizzazione degli obiettivi prefissati dal legislatore
comunitario in tema di tutela del contraente debole.
In altre occasioni i giudici di legittimità hanno saputo far propri i principi
posti dalla legislazione sopravvenuta, per operare decise inversioni di rotta anche per
fattispecie rientranti nel vigore della normativa pregressa. Così, ad esempio, in tema di
rapporti tra istituti di credito e consumatori, la Cassazione ha mutato un indirizzo
consolidato, ritenendo inidonea la clausola "interessi uso piazza" a soddisfare
il requisito della forma scritta, richiesto dall'art. 1284, comma 3, c.c., per la
validità degli interessi in misura superiore a quella legale, laddove manchi un parametro
centralizzato e vincolante cui far riferimento per la concreta determinazione del saggio
di interesse ( ), ed operando in tal modo una rilettura della norma codicistica alla luce
delle innovazioni introdotte con il testo unico in materia bancaria e creditizia del 1993
( ).
Al contrario, la sentenza in esame ha adottato una soluzione che proietta l'utente
telefonico al di fuori del quadro di tutela del contraente debole, rendendolo totalmente
inerme di fronte alle pretese della società erogatrice. Avviene così che le possibilità
di provare un diverso ammontare del credito siano legate ad una scelta discrezionale della
Telecom, quella, cioè, di fornire l'utente di un indicatore di conteggio direttamente
collegato alla centrale. Come dire che il diritto di difesa, per l'abbonato al servizio
telefonico, è inspiegabilmente solo un'aspirazione legata ad un tenue "filo".
Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1997, n. 8901 - Pres. Longo - Est. Boffa Tarlatta - P.M. Marinelli (diff.) - Sip s.p.a. c. Mura
massima ufficiale
Con riferimento al contratto di abbonamento telefonico, la registrazione del contatore,
posto all'esterno e a distanza dell'apparecchio dell'utente, se costituisce normale
misuratore del traffico telefonico riferibile all'utenza, non costituisce prova legale di
per sé, ma forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, solo se colui contro
il quale le risultanze sono indicate non ne disconosce la conformità ai fatti (art. 2712
c.c.), ancorché l'uso di tale mezzo di riproduzione meccanica sia consentito dal
regolamento contrattuale.
Svolgimento del processo
La SIP, Direzione regionale per la Sicilia, richiese ed ottenne dal Presidente del
Tribunale di Palermo, in data 19 luglio 1986, decreto ingiuntivo nei confronti di Mura
Gavino, già titolare di contratto di abbonamento telefonico per il pagamento della somma
di lire 17.728.000, oltre interessi, per bollette insolute relative ai bimestri 4, 5 e 6
del 1985 e l e 2 del 1986.
Con atto notificato il 25 agosto 1986 il Mura proponeva opposizione avverso
l'ingiunzione, affermando che il credito non era provato e lo stesso ammontare degli
scatti fatturati era indice di errore di conteggio.
La SIP assumeva l'infondatezza dell'opposizione; produceva estratto conto delle
fatture, e copia delle fotografie mensilmente operate in ordine alle risultanze registrate
dal contatore di centrale. Allegava inoltre che i controlli eseguiti, a seguito di reclamo
del Mura, avevano consentito di rilevare l'assenza di guasti del contatore; in data 28
agosto 1985 e sino all'11 settembre 1985 era stato disposto anche il controllo Zoller ed
erano stati registrati i numeri chiamati e la durata delle conversazioni, che indicavano
il tipo di utilizzo.
Nel periodo in cui il Mura aveva dichiarato di avere effettivamente abitato
nell'appartamento erano concentrati gli scatti contestati, fra cui, nel periodo di
controllo, numerose telefonate dirette in Argentina.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza 10 marzo 1989, respingeva l'opposizione, ritenuto
che a fronte della prova data dalla SIP mediante la produzione delle schede mensili
fotografiche delle risultanze di contatore non fosse stata data prova di elementi
contrari, che escludesse l'utilizzo.
Il Mura proponeva appello, insistendo nell'affermare che il contatore doveva
necessariamente avere registrato telefonate non eseguite dal suo apparecchio; chiedeva
fosse disposta consulenza tecnica per accertare a quali tempi corrispondessero gli scatti
relative alle telefonate in Argentina, il destinatario di tali comunicazioni, ed il
funzionamento del contatore.
Eseguito il richiesto incombente, ammesso con ordinanza 23.2.1995, la Corte di
Appello di Palermo con sentenza 23.2.1995, in parziale accoglimento del gravame, detraeva
dall'importo dovuto gli scatti registrati dal 30 luglio 1985 al 29.8.1985, e condannava
quindi il Mura al pagamento della minore somma di lire 6.118.581 oltre interessi, in luogo
di quella portata dal decreto ingiuntivo.
A fondamento della sua decisione, la Corte, pur osservando che la registrazione
degli scatti di contatore costituiva prova delle telefonate eseguite dall'utente, a sensi
dell'art. 233 R.D. 27 1.1936 n. 645, per cui era onere dello stesso utente dare prova di
eventi estranei o accidentali che informassero tali circostanze, affermava che comunque in
relazione alle contestazioni mosse dall'utente, doveva verificarsi la corrispondenza
all'effettivo, dei consumi registrati.
Rilevato che il Mura non poteva dare prova per testi di non avere effettuato
telefonate, trattandosi di fatto negativo, affermava essere possibile ricorrere ad
elementi di natura presuntiva.
In base a presunzione di non conformità del volume di traffico registrato in
agosto 1985, con la utilizzazione ad usi domestici dell'utenza da parte del Mura,
affermava quindi la non addebitabilità dei relativi importi, defalcandoli dal dovuto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la SIP (ora TELECOM ITALIA) sulla
base di unico motivo, illustrato da memoria.
La controparte non ha svolto difese in questa fase.
Motivi della decisione
Con il proposto motivo la società ricorrente denuncia omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione a sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c.
La ricorrente lamenta che la Corte territoriale, dopo aver correttamente affermato che le
registrazioni documentate del contatore costituivano di per sé prova del traffico
telefonico dell'utenza, e che era pertanto onere probatorio dell'utente provare
l'anormalità delle registrazioni, atteso il regolare funzionamento delle apparecchiatura,
abbia illogicamente motivato il convincimento di difformità dell'effettivo traffico in
base ad un distorto uso di presunzioni; la Corte sarebbe poi incorsa anche in una
contraddittoria applicazione della presunzione cui aveva fatto ricorso, così ad esempio
ritenendo addebitabili telefonate dirette in Argentina, pur nella contestazione in toto
dell'utente di aver effettuato telefonate verso tale paese, e negando in toto l'uso del
telefono nel mese di agosto.
Il motivo di ricorso deve ritenersi fondato; il ragionamento posto a base della
decisione appare in contrasto con i principi logici e giuridici che devono presiedere alla
valutazione degli elementi di prova, affidata al giudice di merito, e consentono quindi
una censura in sede di legittimità. Pur partendo da logiche premesse la Corte perviene a
conseguenze del tutto arbitrarie. Al riguardo si osserva che legittimamente il giudice di
merito ha ritenuto che, in presenza di contestazioni dell'utente in ordine alla entità
del traffico telefonico registrato dal contatore di centrale, esso giudice, investito
della questione, aveva il potere di controllare i dati forniti dalla società
concessionaria, e che poteva quindi avvalersi di tutte le risultanze processuali, e quindi
anche delle presunzioni, che a sensi dell'art. 2720 c.c. hanno dignità di prova, per
accertare se vi fosse stato effettivo utilizzo del servizio, di cui veniva richiesto il
pagamento, e per disattendere i dati del contatore.
La registrazione del contatore, posto all'esterno e a distanza dell'apparecchio
dell'utente, se è normale misuratore del traffico telefonico riferibile all'utenza, non
costituisce prova legale di per sé, ma forma piena prova dei fatti e delle cose
rappresentate, solo se colui contro il quale le risultanze sono indicate non ne disconosce
la conformità ai fatti (art. 2712 c.c.), ancorché l'uso di tale mezzo di riproduzione
meccanica sia consentito dal regolamento contrattuale.
Giustamente quindi la Corte territoriale ha affermato, facendone gravare l'onere
sull'utente, che erano valutabili elementi diversi che individuassero o facessero
presumere una non corrispondenza del traffico telefonico registrato con quello fruito
dall'utente.
Anormalità di funzionamento ed utilizzi illeciti della linea telefonica
all'esterno della abitazione, e quindi fuori del controllo e dei conseguenti obblighi di
custodia gravanti sull'utente potevano infatti astrattamente essere ipotizzati.
Dopo tali logiche e condivisibili premesse, la Corte territoriale ha ritenuto peraltro,
con un ragionamento che appare giuridicamente viziato, di poter affermare che nella
fattispecie era applicabile a favore dell'utente, una presunzione di non conformità delle
registrazioni di parte del traffico addebitatogli. Pur avendo la Corte territoriale
osservato che era onere dell'utente che eccepiva la incongruenza degli addebiti, al di
fuori dei guasti del contatore, esclusi nel caso, fornire elementi a favore del proprio
assunto, ha invece argomentato che non era però possibile per l'utente stesso dare prova
del fatto negativo di non aver eseguito le telefonate, cosi svuotando il significato del
principio enunciato.
Tale affermazione urta anche contro il consolidato principio giurisprudenziale per
cui la prova negativa può esser data attraverso la prova della sussistenza di circostanze
incompatibili con il fatto che si intende negare.
La Corte non ha così valutato che l'utente, al di fuori delle generiche lagnanze sulla
incongruità del traffico registrato, non risultava aver fornito prova alcuna circa la
custodia operata dell'impianto telefonico, e la non utilizzazione dello stesso da parte di
soggetti che anche per motivi di lavoro, avessero accesso alla casa; né ha ragionato su
altri possibili elementi in ipotesi idonei ad eventualmente informare le risultanze del
contatore, quali, per le comunicazioni di cui era stata documentata durata e destinatari,
l'incongruenza dei tempi corrispondenti, o la totale estraneità dei soggetti chiamati,
tale da far presumere un utilizzo esterno della linea.
Tali carenze, non superate dagli scarsi dati acquisiti mediante la consulenza
tecnica, non impedivano peraltro di per sé l'utilizzo di presunzioni, qualora
giuridicamente configurabili come fonte di convincimento del giudicante.
In una più ampia valutazione di tutti gli elementi di causa, che costituiscono l'oggetto
stesso di giudizio, il giudice di merito, in forza del principio del libero convincimento,
ben poteva utilizzare, secondo il proprio prudente apprezzamento, ed a preferenza di altre
prove anche delle presunzioni (art. 116 c.p.c.).
Tale libertà del giudice di attribuire valore probatorio prevalente ad uno piuttosto che
ad altro elemento acquisito al processo, è però soggetto alle regole di logica
valutativa, e presuppone pur sempre che l'elemento utilizzato sia idoneo oggettivamente,
per la sua corrispondenza al tipo legale di prova che si afferma sussistere, a verificare
il fatto da provarsi.
Nel caso la Corte territoriale non pare aver correttamente utilizzato il concetto di
presunzione.
È noto che perché una presunzione sia giuridicamente valida e consenta di
ritenere un fatto accaduto, non è necessario che il fatto ignoto appaia come l'unica
conseguenza possibile dei fatti noti, ma è sufficiente che sia da questi deducibile,
secondo un procedimento logico, basato sull'id quod plerumque accidit (Cass. n. 701/1995).
Ma perché la presunzione non si trasformi in una valutazione tautologica è assolutamente
necessario che i fatti noti utilizzati per risalire al fatto ignoto, non siano semplici
giudizi valutativi e acritici assunti indebitamente come notorio, così come nel caso
esaminato, in cui è stata considerata la condizione soggettiva di una persona, ed i
possibili comportamenti che ne conseguirebbero, come fatto noto.
Logicamente errata appare dunque l'affermazione che essendo titolare dell'utenza un
ufficiale della finanza e che lo stesso presumibilmente non svolgeva attività commerciale
o professionale non poteva ritenersi riferibile a tale tipo di utente il traffico
registrato nell'agosto 1985, che tale tipo di attività non svolgeva.
Atteso anche che rapporti familiari o affettivi possono frequentemente indurre ad
uno smodato utilizzo temporale del telefono, la opinabilità e relatività dei fatti
assunti dalla Corte territoriale a base della valutazione probabilistica eseguita esclude
che gli stessi costituiscano fatti noti e che possano quindi essere utilizzati per
risalire logicamente al fatto ignoto; svuotata così di significato la presunzione di cui
la Corte si è avvalsa, ovviamente carente risulta la mancata valutazione comparativa di
tutte le risultanze probatorie raccolte.
Se infatti il criterio di ragionevolezza che pare ispirare il giudice di merito
nella valutazione della possibile erroneità delle registrazioni per causa non imputabile
all'utente, e nella necessaria riconduzione a parametri normali per la tutela dell'utente
in altro modo non tutelabile, può essere posto a base del convincimento del giudice di
merito, esso deve peraltro fondarsi su elementi presuntivi dotati delle caratteristiche di
univocità e convergenza che, come detto, non sussistono nella presunzione affermata
tautologicamente.
La ulteriore censura con la quale la ricorrente deduce che appare comunque del
tutto illogico avere defalcato l'intero traffico registrato nel mese di agosto, in cui
pure l'utenza era attiva, appare assorbita dall'accoglimento del motivo relativo alla
inutilizzabilità della presunzione che porta di per sé all'annullamento della impugnata
decisione.
Il ricorso deve quindi trovare accoglimento e per il rilevato vizio motivazionale la
sentenza deve essere annullata e rinviata per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte
di Appello di Palermo, cui stimasi demandare anche la statuizione sulle spese della fase
di cassazione.
P.q.m.
La Corte, accoglie il ricorso; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le
spese ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo.
Roma, 6 febbraio 1997.
Commento a Cass. n. 8901/1997
1. La sentenza 10 settembre 1997, n. 8901: una "massima mentitoria"?
Nelle more della pubblicazione del presente commento è intervenuto il deposito della
sentenza 10 settembre 1997, n. 8901, con cui la Cassazione torna ad occuparsi
esplicitamente del problema dell'efficacia probatoria dei contatori appartenenti alla Sip.
Si tratta di una decisione di estrema rilevanza, in quanto, pur essendo in concreto
favorevole alla società dei telefoni, essa "esporta" un principio di diritto
esattamente di segno contrario.
La spiegazione dell'apparente arcano è data dalla palese contraddittorietà del
ragionamento seguito, in motivazione, dalla Corte: quest'ultima, infatti, una volta
individuata correttamente la normativa applicabile al caso di specie, non ha poi saputo,
altrettanto correttamente, farne applicazione nel decidere la controversia.
Nell'alternativa - cui si è fatto cenno in precedenza - tra ritenere che il contratto di
abbonamento telefonico sia regolato, anche quanto ai profili probatori, dalla lex
specialis, ovvero considerarlo, alla stregua di qualsiasi contratto di diritto privato,
soggetto ai limiti posti dal legislatore agli artt. 2697 ss. c.c., la sentenza che si
segnala opta per questa seconda soluzione. La massima fa così esplicito riferimento a
quell'art. 2712 c.c. sopra richiamato, allorché si è sostenuta l'equiparabilità dei
contatori centrali a qualunque altra rappresentazione meccanica di fatti o di cose.
In sintesi, il principio di diritto è incentrato sul rilievo secondo cui la
registrazione del contatore forma piena prova (c.d. prova legale) "solo se colui
contro il quale le risultanze sono indicate non ne disconosce la conformità ai fatti
(art. 2712 c.c.), ancorché l'uso di tale mezzo di riproduzione meccanica sia consentito
dal regolamento contrattuale". Da tale, pienamente condivisibile, enunciato, la Corte
non trae tuttavia le dovute conseguenze sul piano concreto, ai fini della soluzione della
controversia. Essa ha infatti ritenuto che, una volta esclusa l'efficacia di piena prova -
in presenza delle contestazioni dell'utente - delle rilevazioni effettuate dalla Sip, a
queste ultime dovesse attribuirsi il valore di prova liberamente apprezzabile ( ). Con la
conseguenza che spettava all'utente di fornire "elementi diversi che individuassero o
facessero presumere una non corrispondenza del traffico telefonico registrato con quello
fruito".
Si è tuttavia chiarito come, secondo un insegnamento costante in dottrina e in
giurisprudenza, alla rappresentazione meccanica disconosciuta non possa attribuirsi alcun
valore di prova, né legale né libera ( ). Sicché l'ulteriore iter argomentativo,
incentrato sull'esame dell'operato della Corte di appello - la quale aveva ritenuto, sulla
base di presunzioni, che l'utente non avesse mai fatto le telefonate addebitategli - e
sfociato nella cassazione della sentenza impugnata, risulta irrimediabilmente inficiato
dall'errore commesso.
In questo sconfortante scenario non mancano segnali di segno positivo. In primo
luogo deve registrarsi il mutamento di rotta operato dal Sostituto Procuratore Generale
presso la Corte di cassazione - lo stesso sia per la sentenza n. 3686/1997 che per la n.
8901/1997 - il quale, mentre in occasione della prima delle due decisioni aveva concluso
per il rigetto del ricorso dell'utente, conformemente alla statuizione successivamente
emessa, nel secondo caso mostra di "ravvedersi", chiedendo il rigetto del
ricorso, proposto, questa volta, dalla Sip.
Ancora con riferimento alla controversia da ultimo esaminata, pure di un certo
rilievo è il fatto che, sebbene la Corte di appello avesse, in via di principio, aderito
alla tesi per cui la registrazioni effettuate dalla Sip spostano sull'utente l'onere di
provare l'anormalità delle stesse, ciò nonostante abbia ritenuto, sulla base di
presunzioni, che nel caso concreto i dati forniti dalla società erogatrice non
corrispondessero all'effettivo utilizzo dell'apparecchio da parte dell'utente,
concludendo, pertanto, per l'infondatezza delle pretese della creditrice.
Di diverso avviso i giudici di legittimità che cassano la sentenza di secondo
grado per vizio di motivazione, in quanto le circostanze addotte dalla Corte territoriale,
a sostegno dell'operata presunzione, non erano incompatibili con il fatto che si intendeva
negare: perché, in altre parole, non se ne poteva inferire con ragionevole certezza che
l'utente non aveva mai fatto quelle telefonate che gli si addebitavano.
Si deve tuttavia esser grati ai giudici di legittimità, per aver fornito, con
quest'ultima decisione, la prova evidente del vizio logico su cui si fonda il criterio di
ripartizione dell'onere probatorio, appositamente costruito per il credito da utenza
telefonica. Ci auguriamo che il principio di diritto espresso in tale occasione viva di
vita propria, e che questa sentenza sia in futuro ricordata, malgrado le intenzioni dei
suoi autori, come il leading case di una svolta sintonica con i dettami di una cultura
giuridica definitivamente affrancata dalla schiavitù dei poteri privati.
Sergio Palmieri