Giuseppe Caravita, giornalista de "Il Sole 24
Ore", risponde a un intervento di Marco Calvo, presidente di Liber Liber, nella
conferenza telematica del Gruppo Innovazione (http://www.innovazione.perlulivo.it/).
Giuseppe Caravita
Giornalista de "Il Sole 24 Ore"
27 settembre 1999
Marco Calvo scrive:
> Tutto molto giusto. Al solito, nessun cenno al fatto che la materia prima
> (le dorsali Internet) costa otto volte più che all'estero.
> Bene, avremo milioni di utenti desiderosi di connettersi, e solo una
> società che può accontentarli (la Telecom, che maggiora di OTTO VOLTE
> il costo di connessione ai suoi concorrenti).
> Ma si sa. Quei signori non vanno disturbati. Viva l'Italia.
Caro Marco,
E' da un paio di mesi, da quando ha sollevato questo tema su Innovazione, che ti devo, ti
dobbiamo una risposta argomentata.
La questione che poni è centrale. Lo sappiamo molto bene noi giornalisti del settore che,
di costi delle TLC in Italia comparate ad altri paesi, ce ne occupiamo ormai da più di un
decennio. Ho quindi preso queste settimane per raccogliere elementi freschi , e il più
possibile certi, sulla questione.
Ed è da un decennio che associazioni come Anuit e altre pubblicano periodicamente i dati.
In Italia il 2 megabit urbano, la dedicata chiave per lo sviluppo di imprenditoria su
Internet e nuovi servizi, continua a essere proibitiva. Il tuo differenziale di otto
volte, se riferito ai costi di una T1 Usa (un megabit e mezzo) è probabilmente
sottostimato. Meno se ci si riferisce ad altri paesi europei con assetti ex-monopolistici,
come Francia e Germania. ma questi sono confronti ormai obsoleti: quello che conta, ormai,
è il differenziale con gli Usa, il paese guida su Internet, quello che sta spiazzando
l'intera Europa sui servizi e la tecnologia.
E' da dieci anni e più che è in corso questa battaglia.
Telecom l'ha condotta, in difesa, molto bene. In attacco, molto male. In difesa: Telecom,
di fronte alle pressioni crescenti per la liberalizzazione ha sostanzialmente concesso (e
non poteva fare altrimenti) la concorrenza sulle interurbane e le internazionali. Ma ha
sempre difeso strenuamente il suo vero forziere: l'ultimo miglio, sia esso voce o dati.
Qui nessuno, almeno per ora, ha avuto la forza, politica, finanziaria, tecnologica,
per aprire la cassaforte. In attacco la Telecom ha avviato servizi internet
(Interbusiness, Tin) sostanzialmente scadenti, e non tali da assicurarle alcun serio
futuro di fronte a un mercato davvero competitivo. Non solo: i tanti decantati gestori
mobili, almeno finora, campano sui profitti dalle chiamate fisso-mobile. Risultato: una
Telecom che è in realtà una azienda in piena crisi, che si regge solo sulle sue residue
(ma maggioritarie) aree di monopolio.
Sbagli quando dici che le "dorsali dati" costano in Italia otto volte.
Una dedicata Milano-Roma, su fibra, è oggi una delle poche "commodity" in
concorrenza (tra Telecom, Snam, Ferrovie, Autostrade...) è rappresenta meno del 20% dei
costi di un ISP indipendente. Il vero costo sta nelle dedicate urbane, dove Telecom
appioppa letteralmente ciofeche (cavi in rame con modem simil-Xdl) a 56 o 128k e le fa
pagare appunto otto volte quanto negli Usa ti costa un megabit e mezzo.
D'altro canto sul traffico dati si stima (ma sono stime non ufficiali) che Telecom
ricavi 3000 miliardi (in pratica tutti puri profitti monopolistici, dato che i costi veri
sono mille volte inferiori) e altri 2500 dal traffico Internet, dagli scatti TUT pagati
dai poveri utenti finali fino ai servizi che, malamente, appioppa ai clienti.
Quindi si arriva a cifre grosse, che fanno i profitti di Telecom. E i profitti di
Telecom sono il perno, oggi, del riassetto del capitalismo nazionale, intorno a soggetti
molto ben introdotti presso l'attuale Governo (ma anche a un eventuale, futuro, governo di
destra guidato, mettiamo, da Cesare Romiti).
Ora capisci la delicatezza della tua domanda, e il tempo preso per la risposta.
Sulla questione TLC, il cui nocciolo vero sta nel differenziale di prezzo, si gioca il
destino di un Governo e forse di una esperienza politica. A conti fatti, come sta
succedendo, che sta vendendo il futuro e lo sviluppo di questo paese in cambio di una
ristrutturazione del suo Palazzo Economico. In cui però i nomi sono in gran parte gli
stessi e, soprattutto, le strategie sono ancora quelle della "spremitura" del
mercato (italiano) a partire da posizioni monopolistiche.
Non altrimenti si può interpretare questo apparentemente "strano"
silenzio intorno alla questione tariffaria. Dopo anni di battaglie, con tanti articoli
scritti anche sul Sole-24 Ore, l'Anuit tace. Ufficialmente sostiene che siamo alla soglia
dell'apertura generale della concorrenza, con reti alternative che potranno contendersi i
clienti (affari) fino all'ultimo miglio. Ma le cose non stanno così: i cablaggi
alternativi che davvero contano (quelli di Milano e Roma) vanno a rilento, ostacolati da
vincoli amministrativi, poteri palesi e occulti che li frenano. Secondo le previsioni di
un anno fa questa primavera 1999 avrebbe dovuto vedere la partenza piena della
competizione sulle dedicate, urbane e non...invece nulla.
Almeno un anno (se non due) di ritardo "programmato" mentre però gli Usa
corrono alla grande, e stanno letteralmente risucchiando centinaia di migliaia di nuovi
posti di lavoro che alternativamente avrebbero potuto nascere qui o in Europa.
I nostri politici, tutto il Regime che ci governa, non ha capito che un circolo vizioso si
è ormai instaurato. Il capitalismo Usa, sull'innovazione e l'alta tecnologia, sta
letteralmente facendo a pezzi quello europeo (salvo casi circoscritti come il Gsm).
Questo si indebolisce sempre più e chiede aiuto, nei fatti, agli stati. Con il
ricatto dell'invasione estera oppure di migliaia di posti di lavoro garantiti da
necessariamente tagliare.
Alcuni governi europei, tra cui quello italiano, ci stanno cascando. Bloccano e
ritardano, nei fatti, le riforme economiche necessarie (come la liberalizzazione TLC) per
"dar tempo" ai propri grandi imprenditori di prepararsi, di ristrutturare, e di
rafforzarsi con gli usuali extra-profitti monopolistici. Solo che questa è una pia
illusione. Più i monopoli permangono, nei fatti, è più le economie europee, nel loro
complesso, si indeboliscono. E così i loro "supposti" campioni nazionali, che
quindi ritornano al palazzo per un altro "giro" di protezioni, travestite da
ricambio di gruppi dirigenti o grandi annunci di salvifiche ristrutturazioni.
Questo, dai primi giorni di questo 1999, è a mio avviso ciò che è avvenuto, e
sta avvenendo in Italia. A fine anni 80 si chiuse con un disastro la stagione dei
cosiddetti "capitani di ventura". Berlusconi dovette ritirarsi rovinosamente
dalla Francia, Gardini crollò (insieme alla Montedison, oggi un fantasma), De Benedetti
tentò di vendere all'At&T una Olivetti ormai alla frutta e poi, di fatto, la chiuse.
Con questa stagione si chiuse anche la prima repubblica. A inizio 1999 il panorama della
grande industria italiana era ancora disastroso: Olivetti entro pochi mesi costretta a
vendere tutto a Mannesman, Fiat incapace di divenire autentico "nocciolo duro"
dell'azienda ritenuta chiave, ovvero Telecom, perché isolata nelle grandi manovre
mondiali dell'auto, ecc. ecc.
Di qui l'operazione Colaninno, appoggiata da Bersani. Di qui la (apparente)
rocambolesca scalata, di qui l'affidamento (di fatto) da parte del Governo di Telecom alla
nuova cordata. E di qui il silenzio sulla "tassa" che viene e verrà fatta
pagare all'Italia in nome della ristrutturazione del capitalismo italiano.
Questa tassa è appunto costituita dalle "otto volte". Un anno fa si dava
per sicuro che la (cosiddetta) Authority delle TLC avrebbe varato entro giugno di
quest'anno un decreto per imporre a Telecom il cosiddetto "unbundling", ovvero
la possibilità per ogni gestore alternativo di poter affittare al Telecom linee di ultimo
miglio (a prezzi di costo) per poi canalizzarvi propri servizi. Ebbene, questo decreto non
solo non è stato fatto, ma è scomparso nel nulla. Significativo di un clima in cui passa
sottovoce la parola d'ordine di "non disturbare il manovratore" e lasciare che
Colaninno possa risanare Telecom (a spese dell'Italia).
Spero proprio di essere smentito nei prossimi giorni, di fronte ai "grandi
annunci" che lo stesso Colaninno si appresta a fare. Ma i segnali, almeno negli
ultimi giorni, non sono affatto incoraggianti, anzi.
Ne cito alcuni: la decisione di Telecom di offrire 11 lire sullo scatto urbano a
favore di altri gestori che vogliano praticare la cosiddetta Free-Internet (che free non
è, anzi il contrario). Questo significa che, invece di imboccare la strada maestra della
tariffa internet flat, che ha generato milioni di utenti Usa e incalcolabili start-up
(vedi la mia intervista al padre di Internet, Vinton Cerf, comparsa sul sole 24 ore
informatica di due settimane fa) si avvia la "furbizia" di un servizio ancora
pagato a tempo, e di bassa qualità (orientato dai gestori, tutti, a che l'utente passi il
maggiore tempo possibile in rete, quindi con banda scarsa e schifezze perditempo come i
chat oppure le cosiddette "comunità" (C6) fatte per far fare un po' di
acchiappanza telematica a qualche ragazzotto).
Beppe Attardi, giustamente, parla ora di un concreto rischio in Italia di una
"internet spazzatura". In cui la norma è tentare di venderti pubblicità, e
altre porcherie, in cambio di un modesto e illusorio sconto su tariffe volutamente
astronomiche.
Non a caso Fininvest annuncia il progetto di un suo "mega-portale" da 300
miliardi. In questo ambiente l'ineffabile Berlusca ci andrà a nozze. Altro che reti
civiche e "learning communities". Tutto l'opposto.
Non solo: quasi tutte le indagini e le previsioni concordano con l'enorme rischio
che l'intero sistema industriale italiano sta correndo, causa l'asfissia della nostra
internet e gli alti costi di investimento. La Databank di Milano, per esempio, stima che
da qui a quattro anni potrebbe emergere uno sbilancio commerciale sull'estero di ben
20mila miliardi, fondato su importazioni di beni e (soprattutto) servizi via commercio
elettronico.
Di fronte a questo scenario Bersani e i suoi non trovano di meglio che progettare una
legge con i soliti sussidi a pioggia per incentivare i progetti di commercio elettronico.
Dimenticandosi che così facendo, in realtà, stanno costruendo una legge che
finanzia surrettiziamente il monopolio Telecom, dato che il grosso dell'asfissia, dei
costi e della mancanza di nuove imprese si concentra lì. Insomma lo stato, con i nostri
soldi di contribuenti, concorre a alleggerire la "tassa Telecom" alle imprese.
Una partita di giro che, se non fosse fatta sulla nostra pelle, avrebbe del ridicolo.
Credo di aver esposto i punti essenziali delle questione. Il Governo, via alleanza
con Colaninno (e quelli che ci stanno dietro) ci sta facendo pagare la "tassa".
E quindi, almeno, creiamo un rapporto di forze per contrattarla e alleggerirla. Al di là
del fatto di un esecutivo che si voleva diverso e che invece, sotto i ricatti dei potenti,
sta ripercorrendo gli stessi errori, e le stesse mancanze di coraggio, dei suoi
infausti predecessori.
Per questo mi pare appropriato (e anche gli altri membri fondatori di Innovazione
condividono) lanciare una iniziativa a tutto campo chiamata "otto a uno". Ovvero
una campagna, dentro e fuori la rete, per porre la questione, far convergere forze,
arrivare quantomeno a un confronto e a una trattativa.
Anche altri sono su questa esatta lunghezza d'onda. Per esempio molti ISP italiani,
ormai minacciati di morte rapida, che stanno coalizzandosi su un obiettivo analogo. Il
terreno è quindi fertile: l'Italia del resto sta pagando con il suo futuro una situazione
insostenibile e, anche qui, per molti aspetti ridicola. Tornerò a breve sull'argomento.
Intanto saluto te e tutti
Beppe Caravita