Storia della Scienza - Dott. Luciano Benassi - 4
Questi appunti sono la rielaborazione riassuntiva dell'ultima,
la quarta, delle lezioni tenute
dal dott. Luciano Benassi alla Scuola di Educazione Civile
sul tema Storia della Scienza
il 7 marzo, l'11 aprile, il 16 maggio e il 6 giugno 1996.
dott. Luciano Benassi
Fede e scienza: alle origini di un rapporto
Quarta lezione
3.2. La fisica dell'impetus
Come ho detto, a fronte di queste contraddizioni, si sviluppano nel '300 diverse correnti
di pensiero, tutte accomunate dall'intenzione di risolvere il problema del moto dei proietti
senza ricorrere a "motori" in contatto con essi. La linea concettualmente più vicina alla
formulazione di un principio inerziale è quella espressa da Giovanni Buridano.
"Giovanni era nato con ogni probabilità a Béthune, nella diocesi di Arras, forse attorno
al 1300. Egli è menzionato per la prima volta in un documento universitario del febbraio
1328, come rettore dell'università. L'anno successivo egli compare in un altro documento,
in cui viene indicato come celeber philosophus. Nel 1340 fu ancora rettore dell'università,
e nel 1342 è menzionato come assegnatario di un beneficio ad Arras, 'al tempo delle sue
lezioni a Parigi sui libri di filosofia naturale, metafisica e morale.' Dopo questa data
abbiamo menzioni continue del suo nome fino a un documento del 1358 in cui egli appare come
firmatario insieme al suo altrettanto celebre successore Alberto di Sassonia.[...] Un
tardo accenno a Buridano nel 1366 [...] è senza dubbio erroneo. È stato suggerito che
Buridano sia morto di peste nel 1358, ma non c'è alcun documento a sostegno di questa
tesi" [M. Clagett, La scienza della meccanica nel Medioevo, Feltrinelli, Milano 1972,
pp. 548-549].
Le opere principali di Buridano, per quanto riguarda la meccanica, sono le Questiones
sul De caelo di Aristotele e tre diversi scritti sulla Fisica. Ma quali sono i punti
principali della teoria dell'impetus?
Anzitutto egli ne definisce l'origine e il luogo di applicazione, recuperando la nozione
di cinetice dunamis di Giovanni Filopono nel VI secolo d.C.:
- Il motore, muovendo un mobile, gli imprime un impeto o una certa virtù motrice di quel
mobile [...] nella direzione nella quale il motore lo muoveva [...].
L'impetus è, dunque, una sorta di motore intrinseco impresso dal motore a ciò che è
mosso. Ma l'originalità della discussione di Buridano si trova nella misura che egli
assegna all'impetus:
- Quanto più velocemente il motore muove quel mobile, tanto più forte impeto gli imprimerà.
Questa indicazione è importantissima e originale perché introduce un tentativo di
misura per l'impetus, precisamente l'idea che impetus e velocità siano direttamente
proporzionali. Ma per Buridano l'impetus è anche collegato alla quantità di materia
posseduta da un corpo:
- Quanto più un corpo contiene di materia, tanto più, e più intensamente, può ricevere di
quell'impeto.
Le ultime due definizioni, prese congiuntamente, permettono di definire, nel formalismo
delle "espressioni" medievali, delle relazioni che collegano impetus, velocità e quantità di
materia:
- se due corpi hanno la stessa velocità, ma il primo ha una massa maggiore del secondo,
allora il primo corpo ha anche un impetus maggiore del secondo; similmente, se due corpi
hanno la stessa massa, ma il primo ha una velocità maggiore del secondo, allora il primo
corpo ha anche un impetus maggiore del secondo.
m1 > m2 e v1 = v2 :
allora I1 > I2 e I1 / I2 = m1 / m2
m1 = m2 e v1 > v2 :
allora I1 > I2 e I1 / I2 = v1 / v2
Allo studioso di oggi, ma anche allo studente, non può non sfuggire la somiglianza
straordinaria fra l'impetus e la moderna (e newtoniana) quantità di moto Q = mv.
Buridano definisce anche un'altra caratteristica dell'impetus, ovvero il fatto di essere
permanente, quindi non soggetto a corrompersi. La sua diminuzione o la sua distruzione
dipendono dalla resistenza del mezzo in cui il mobile si muove, dal peso del mobile o da
una contraria inclinazione del corpo. Questa convinzione è affermata apertamente:
- L'impeto durerebbe all'infinito se non fosse diminuito e corrotto da una resistenza
contraria o dalla inclinazione a un moto contrario. Con questa affermazione Buridano getta le basi del principio di inerzia, che troverà in
Isaac Newton la sua formulazione definitiva. Ma l'idea in nuce è già qui, nella dottrina
dell'impetus, formulata da un "meccanico parigino" del XIV secolo. E le radici di questa
idea, essenziale per tutta la fisica, sono ben radicate, come vedremo tra poco, in una
solida concezione del mondo.
I vantaggi della nuova dinamica appaiono peraltro fin da subito, cioè non appena il
principio dell'impetus viene applicato al moto del cielo, laddove Aristotele doveva
ricorrere al postulato della divinità dei corpi celesti. Per Buridano l'eternità dei
moti degli astri si spiega con l'imposizione divina di un impetus iniziale, al tempo
della creazione del mondo, che si conserva integro in assenza di qualsiasi tipo di
resistenza nelle regioni celesti: non c'è più bisogno di scomodare il Creatore
obbligandolo a realizzare continuamente il moto locale dei corpi mediante potenze
angeliche, né di divinizzare il cosmo. Se l'epistemologia "[...] è lo studio dei
criteri generali che permettono di distinguere i giudizi di tipo scientifico da quelli
di tipo metafisico e religioso", allora qui ci troviamo di fronte all'atteggiamento che
prepara l'unica versione possibile di epistemologia, con buona pace dei tanti che oggi
hanno smarrito quei criteri. Merita che si legga il passo, scritto nella prima metà del
'300, con cui Buridano descrive la sua "cosmologia dell'impetus":
"[...] non apparendo dalla Bibbia che ci siano intelligenze deputate a muovere i corpi
celesti, si potrebbe dire che non si vede la necessità di porre tali intelligenze,
poiché si potrebbe sostenere che Dio, quando creò il mondo, mosse ciascun orbe celeste
come gli piacque, e muovendoli impresse in essi degli impeti che continuassero il moto
senza bisogno di un suo ulteriore intervento se non nel senso di un'influenza generale,
com'egli concorre come coagente in tutte le cose che vengono compiute. Così infatti il
settimo giorno si riposò da ogni opera che aveva compiuta, affidando ad altri le azioni
e le passioni vicendevolmente. E quegl'impeti impressi nei corpi celesti non si indebolivano
né si corrompevano, non essendo nei corpi celesti inclinazione ad altri moti, né essendo
in essi una resistenza corruttiva o repressiva di quell'impeto. Ma ciò non dico
assertivamente, bensì [in via ipotetica], chiedendo ai signori teologi che mi insegnino
in che modo queste cose possano avvenire ..." [M. Clagett, cit., p. 566].
Il programma scientifico di Buridano nasce all'insegna di grandi idee guida: egli ha già
una visione del mondo come creato e per questo gli è naturale cercare gli stessi
comportamenti su scale diverse, cioè nel piccolo come nel grande, sulla terra e fuori
della terra. Qui verifichiamo la tesi di John Needham che ho citato prima: se manca la
fiducia nella razionalità complessiva dell'universo, viene meno anche la spinta per
investigare i fenomeni di piccola scala dai quali parte l'attività scientifica. Le
culture antiche caddero in questo "errore".
Qui cade anche un altro luogo comune della mitologia scientifica, secondo cui la scienza
progredisce "per piccoli passi" e "un po' alla cieca", raccogliendo e catalogando dati
senza che le siano necessarie idee generali sulla razionalità del cosmo. Questo empirismo,
di origine baconiana, è negato dall'evidenza. Come un imprenditore che vuole avere
successo deve "pensare in grande" - e semmai muoversi "per piccoli passi" -, anche lo
scienziato deve avere il coraggio intellettuale di pensare che l'universo è qualcosa di
grande, ricco di meraviglie e suscettibile di essere capito. E poi affrontare la ricerca
con tutta l'umiltà richiesta di fronte a un dono gratuito.
4. Cosmo e culto: il debito della scienza con una tradizione cosmica
Buridano e i Doctores parisienses non appaiono improvvisamente. Sullo sfondo, ma soprattutto
in loro, pulsa una cultura vitale, che ha una piena familiarità con la teologia, con la
Scrittura - in particolare con il racconto della Genesi e con i Salmi - e con la metafisica,
cioè con la scienza delle cose in quanto sono. Quella cultura è il frutto di una tradizione
cosmica cristiana che si è trasmessa con continuità dall'Antico Testamento fino ai Padri e
dai Padri fino alla Scolastica. Essa si può riassumere in due affermazioni:
- Dio ha creato il mondo ex nihilo, dal nulla
e
- Dio conserva gli esseri già creati.
La creazione dal nulla è una nozione affermata nell'Antico Testamento e diventa parte
integrante della teologia cristiana fin dal tempo dei Padri. La fede nell'atto creativo
implica che tutti i corpi dell'universo si trovino allo stesso livello e fa decadere ogni
distinzione fra materia celeste e materia terrestre, distinzione assurta a dogma nel
pensiero antico greco.
Altrettanto fondamentale per la nascita della scienza è l'idea di conservazione degli
esseri creati. Essa garantisce che Dio è la causa prima rispetto a tutte le altre cause
della catena causale. La scienza, che è cognizione certa ed evidente del fenomeno attraverso
le sue cause prossime, trova in questo contesto la sua giusta collocazione:
- può operare nel proprio ambito senza curarsi della causa prima (allo scienziato non
serve ricondursi alle cause di ordine metafisico)
- ma è consapevole di non costituire un sistema chiuso di conoscenza poiché,
fermandosi alle cause prossime, non esaurisce le ragioni profonde dei fenomeni, prima fra
tutte il loro esserci.
Questa corretta cognizione di Dio ha salvaguardato, in un modo troppo poco apprezzato, la
nascita della scienza da due tipi di errore: da un lato il ricorso a potenze soprannaturali
come intelletti o angeli per giustificare lo svolgimento dei fenomeni, dall'altro la
prospettiva deistica, resa popolare da Voltaire, dell'ordine naturale come meccanismo
fine a se stesso, messo in moto e poi abbandonato da un Dio orologiaio che non interviene
mai.
Lo sviluppo della scienza nei secoli successivi ha inevitabilmente seguito l'itinerario
di apostasia imboccato dall'Occidente e, quindi, dal mondo. L'errore deistico si è realizzato
storicamente nel XVIII secolo e oggi assistiamo ad una sua riedizione aggiornata: eliminato
Dio dal pensiero dell'uomo, è scomparso anche il ricordo della "prima mossa" da parte di
Dio e ciò che rimane nell'impresa scientifica è il senso di autonomia assoluta delle leggi
fisiche, che dovrebbero essere in grado di spiegare tutto, veramente tutto, anche
l'apparizione dello stesso universo. Ma, come dicevo all'inizio, proprio mentre la scienza
si produce nello sforzo prometeico di dare un senso alla totalità dell'esistenza, ecco il
proliferare dei "nuovi movimenti religiosi", dell'interesse per il soprannaturale, per la
magia, per l'esoterismo. È il segnale che gli uomini vogliono trovare il senso della loro
esistenza e del loro destino oltre la scienza, e che sono disposti a farlo nonostante la
scienza, se non contro la scienza.
Questa lacerazione è solo un aspetto del nostro "mondo in frantumi" - la definizione è di
papa Giovanni Paolo II -: in frantumi perché la ragione umana, rinunciando al dialogo con
la sapienza eterna di Dio e assumendo il primato sulla verità, non è più in grado di trovare
l'unità del reale. La cultura dell'assurdo, il nichilismo strisciante, l'insoddisfazione per
l'esistente e l'esistenza che caratterizzano il nostro tempo, sono insieme l'indice di un
malessere e il richiamo alla necessità di una conversione di cui la "nuova evangelizzazione"
è il modo di attuazione che il regnante pontefice indica ai cristiani per il millennio che
viene. E a fondamento di questa conversione non a caso Giovanni Paolo II, nel secondo
capitolo dell'enciclica Evagelium vitae (1995), pone la constatazione che la vita umana è
un bene:
"Lo afferma il libro della Genesi nel primo racconto delle origini, ponendo l'uomo al
vertice dell'attività creatrice di Dio, come suo coronamento, al termine di un processo che
dall'indistinto caos porta alla creatura più perfetta. Tutto nel creato è ordinato all'uomo
e tutto è a lui sottomesso [...]" [E.V., 34].
Anche la scienza, in quanto frutto dell'intelletto umano, deve convertirsi. E dovrà farlo
piegandosi sul creato naturale nello spirito di conversione che sant'Agostino riporta nel
decimo libro delle Confessioni: "[...] ho chiesto del mio Dio a tutta la massa dell'universo,
e mi ha risposto: 'Io non sono Dio. Dio è colui che mi ha fatto'".