Sale 3 e 4

La Restaurazione

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I genovesi sospettavano di essere stati traditi da Lord Bentinck che avrebbe trattato la cessione della Liguria al Piemonte per denaro: un dipinto di Felice Guascone (157) si ricollega a questa tradizione: una donna, la Liguria, sorvegliata da due sentinelle inglesi punta l'indice accusatore verso il generale inglese e Vittorio Emanuele I che, seduti a un tavolo, ricoperto di monete d'oro, sembrano mercanteggiare. Vicino a loro, un giovane chiude dei sacchi ripieni di danaro che una barca provvede a trasportare verso un legno da guerra inglese, all'ancora al largo della lanterna. Lo stesso Guascone titola questa scena: " Liguria…sic erat in fatis…diviserunt sibi omnia bona mea. 1814".

E’ dello stesso autore il dipinto che rappresenta l'entrata di Vittorio Emanuele I a Genova l'8 febbraio 1815, che ha la legenda "1815-1816-1817 Universali miserie e mali". Sullo sfondo, la berlina reale è seguita da ufficiali, gesuiti, e frati cappuccini, con allusione al potere assoluto del sovrano fondato sul militarismo e sul clero. In primo piano, le conseguenze di questo potere: mendichi, storpi, vecchie donne e bambini in condizioni miserevoli.

Il primo pannello della terza sala reca un ritratto del re di Sardegna (lit. 161) e un manoscritto a sua firma con il testo delle regie patenti con le quali conferiva a Genova l'uso del proprio stemma, ridisegnato con alcune variazioni araldiche. Nei grifi, che hanno la coda tra le zampe, anziché eretta, come ad esempio in una bandiera del 1747 nella I sala (35), si volle vedere il segno della volontà di soffocare l'orgoglio dei genovesi.

Stampe, manifesti e manoscritti scandiscono gli avvenimenti seguiti alla abdicazione di Vittorio Emanuele I, dopo i moti carbonari del 1821, dall'amnistia e dalla costituzione concessa dall'ambiguo Carlo Alberto, reggente al trono in attesa dell'arrivo del nuovo re, Carlo Felice (166), che era in visita al duca di Modena, Francesco IV, al proclama cui cui lo stesso re dichiarava nulle le iniziative del reggente, e alle conseguenti proteste dei genovesi, che insorsero prendendo ad ostaggio il governatore della città Giorgio Andrea Des Geneys. di fronte al successivo annullamento degli stessi provvedimenti. La rivolta fu sedata e Giovanni Battista Laneri, Giuseppe Pacchiarotti e Cesare Ceppi, accusati di esserne stati i promotori, furono condannati a morte con sentenza del 23 agosto 1821.

Un cifrario della Giovine Italia è il primo documento relativo a questa organizzazione fondata a Marsiglia da Giuseppe Mazzini nel 1831, che si proponeva di rendere l'Italia una, indipendente, libera e repubblicana; nonostante le precauzioni adottate, a Genova la polizia ne scoprì le trame e arrestò dodici patrioti; tra essi Efisio Tola  e Andrea Vochieri  furono giustiziati a Chambery il 10 giugno 1833. Pochi giorni dopo, nelle carceri di Palazzo Ducale si tolse la vita Jacopo Ruffini, raffigurato in un busto in gesso di A. Gastaldi (179) e in una bella miniatura  e in un dipinto di G. Isola (185). Della famiglia Ruffini, l’Istituto Mazziniano conserva ed espone molti documenti e cimeli : la Tesi di laurea in Medicina di Jacopo, un busto in marmo  e una miniatura raffiguranti la madre , Eleonora. Di Giovanni che, con il fratello Agostino, visse a lungo in esilio a Londra insieme a Mazzini, divenendo famoso come scrittore di romanzi popolari ambientati in Liguria, si vede il manoscritto del "Dottor Antonio". Ad Agostino appartenne una elegante edizione inglese del 1823 della "Divina Commedia", di piccolo formato, che gli lasciò in suo ricordo e gli dedicò Laura Dinegro Spinola (180). Era la "Lilla" del Lorenzo Benoni, una romantica figura di patriota, figlia del marchese Giancarlo Dinegro, morta di tisi a soli 35 anni..

Di notevole rilevanza sono i documenti relativi alla fallita spedizione nella Savoia del febbraio del 1834: un elenco dei partecipanti della spedizione (dei 978 iscritti alla Giovine Italia su cui si contava, ne erano presenti soli 133; 212 erano realmente "impediti", gli altri non si erano presentati); un'accurata relazione dei fatti stesa da Carlo Bianco, teorico della rivoluzione per bande; una circolare diffusa dopo il fallimento dei moti, firmata da Filippo Strozzi, Masaniello e Facino Cane, pseudonimi che nascondevano le identità di Mazzini, Giovanni Ruffini e Luigi Amedeo Melegari. In essa vi era il programma per la riorganizzazione della Giovine Italia e per ripresa della lotta.

Una litografia, ispirata da Mazzini e pubblicata a Zurigo nel 1834, intitolata I nostri martiri, rappresenta un'allegoria dei moti carbonari e mazziniani: da una croce e da un'ara, simboli del sacrificio di molti patrioti, si leva un raggio di luce ad illuminare un sentiero tortuoso che deve essere percorso per raggiungere la libertà. Ai lati, su massi, quasi pietre miliari di questa via, sono incisi i nomi dei primi martiri. Di grande interesse storico è infine un raro cimelio (199): una bandiera della Giovine Italia, tricolore a bande orizzontali, appartenuta ad Antonio Dodero, mazziniano esiliato nel 1833 a Marsiglia e, in seguito, a Galatz e a Costantinopoli.

La cultura genovese nel periodo della Restaurazione aveva come centro vitale il salotto del Marchese Giancarlo Dinegro. Era il punto di riferimento degli uomini di cultura non solo italiani, che si trovavano di passaggio a Genova. Dalla sua villetta passarono Manzoni, Monti, Stendhal, Balzac e tantissimi altri.

Da vero mecenate, ospitava con continuità uomini di lettere e di scienze genovesi; tra essi il fisico Giuseppe Mojon, il letterato Faustino Gagliuffi, il medico Luigi Goggi, il drammaturgo Paolo Giacometti, ritratto da Giuseppe Frascheri, il medico Davide Chiossone (210), fondatore della scuola per ciechi, tuttora attiva. Organizzò concerti per Niccolò Paganini,(207) di cui è esposto un ritratto anonimo pressoché sconosciuto. Un altro salotto genovese, frequentato soprattutto da esponenti del movimento liberale e democratico, fu quello di Bianca Rebizzo, di cui si può ammirare un artistico monumento marmoreo.

Il 12 aprile 1842 a Torino si celebrarono le nozze tra il duca di Savoia, Vittorio Emanuele, futuro re d'Italia e l'arciduchessa d'Austria, Maria Adelaide, figlia del governatore di Milano, fratello dell’Imperatore d’Austria. Gli sposi vennero a Genova e nell'occasione furono organizzati grandiosi festeggiamenti descritti in una analitica cronaca e visualizzati in quattro dipinti di Domenico Cambiaso (212, 214). La maestosa coreografia aveva l'epicentro in una grande isola natante di forma quadrangolare con le basi simili a scogli emergenti dall'acqua; ai lati la costruzione era stata trasformata in un giardino con alberi, vialetti e prati artificiali; al centro aveva un padiglione a forma di ninfeo, destinato ad accogliere i sovrani. Tra le altre costruzioni effimere spiccava un "Duomo di Milano", elevato in onore della sposa.

L'excursus storico riprende con i ritratti di alcuni componenti la sfortunata spedizione dei fratelli Bandiera del 1844, in litografie (218, 219) tratte da disegni eseguiti in carcere da uno di loro, Giuseppe Pacchioni. La scena della fucilazione dei due eroici fratelli è il tema di un dipinto di Camillo Costa.

Conclude il settore una serie di documenti relativi a Giuseppe Garibaldi, esule in Sudamerica dal 1834. In una litografia (224) vi è il campo di battaglia di Sant'Antonio al Salto, dove rifulse il valore del giovane eroe e della sua legione italica in difesa dell'indipendenza dell'Uruguay, minacciata dall'Argentina. La cronaca della battaglia è in due giornali di Montevideo del marzo del 1846, il "Nacional" e il "Legionario italiano" scritto per gli esuli italiani in Sudamerica da Giambattista Cuneo.

Alla notizia delle riforme del 1847 e dei primi moti rivoluzionari in Italia, Garibaldi torna in patria con 62 compagni sul brigantino "Bifronte", al quale volle mutare il nome con il beneaugurante "Speranza". Al periodo sudamericano di Garibaldi appartengono due suoi ritratti; il primo, datato 1847, non firmato, è attribuibile a Gaetano Gallino per le sue affinità stilistiche con altri ritratti dell'eroe dipinti dallo stesso autore. Il secondo (227) fu eseguito, come si legge in una didascalia autografa dell'autore, da Erminio Bettinotti, nel 1842.

Si tratta delle prime immagini riprese dal vero all'eroe dei due mondi, presentato ancora senza la tradizionale camicia rossa, che adottò per la prima volta nel 1843. Vicino a lui compare una tela raffigurante la moglie Anita (225).

 

 

 

       

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Ultimo aggiornamento

giovedì 17 agosto 2000