Sale 5 e 6

Giuseppe Mazzini

 

ISTITUTO MAZZINIANO

 

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Questa sezione del museo occupa due locali dell'appartamento abitato dai Mazzini, già sede dal 1875 del Sacrario Mazziniano. In un arredo, costituito da cinque ampie vetrine, che distingue il settore dal complesso del museo del Risorgimento, sono raccolti documenti e cimeli dell'apostolo dell'unità italiana.

Nella prima vetrina, a due acquarelli di Rosalino Multedo (232, 233) che ricostruiscono l'albero genealogico delle famiglie dei suoi genitori, fanno seguito ricordi e testimonianze relativi all'ambiente familiare e agli anni giovanili. Del padre, il medico Giacomo Mazzini, sono esposti documenti universitari (238, 239, 240) (il diploma di laurea in filosofia e medicina, la Patente per l'esercizio della professione medica e quella di professore di Anatomia e Fisiologia nell'Università di Genova) ed una fotografia risalente al 1848 (237); si notano poi i ritratti degli zii, Bartolomeo Albertis e Giuseppe Drago (dis. 241, 242), fotografie della sorella, Antonietta, e di suo marito, Francesco Massuccone (243, 244).

La casa di via Lomellini, raffigurata in un disegno dal vero del 1852 di Piero Cironi (234), fu abitata dai coniugi Mazzini subito dopo il loro matrimonio celebrato nel 1794. In essa nacquero Rosa (1797), Antonietta (1800), Giuseppe (1805) e Francesca (1808). Poco dopo quest'ultima data, la famiglia si trasferì in un appartamento più ampio in salita dei Pubblici Forni (inc. 235, dip. 280), demolito nei primi anni del novecento quando la zona subì una radicale trasformazione. Giuseppe trascorse in questa casa solo quattro anni, interrotti da lunghi soggiorni nella villa in campagna di Bavari e a San Desiderio nella casa della nutrice, cui era stato affidato, per cui i suoi ricordi dell'infanzia non possono fare riferimento che a salita dei Forni. Il fatto giustifica i dubbi che nel 1875 assalirono i promotori della sottoscrizione per l'acquisto di questa casa nell'identificarne l'esatta ubicazione; fu decisiva la testimonianza di una anziana donna, Carlotta Benettini: una finestrella, in alto, su una parete interna, in seguito ricoperta ed oggi tornata alla luce dopo i lavori di ristrutturazione del 1982. L'episodio è ricordato in una targa nella seconda sala, dettata da Giuseppe Macaggi. Delle qualità di Mazzini fanciullo abbiamo una testimonianza indirette: due lettere a sua madre, scritte da Giuseppe Patroni (245, 246), nelle quali si tratteggiava il carattere del giovane e se ne preconizzava la grandezza: "... Sorprendente e tenacissima memoria, talento straordinario e genio senza limiti di apprendere ..."; "Questo caro fanciullo ... è una stella di prima grandezza che sorge scintillante di vera luce per essere ammirata un giorno dalla colta Europa ..".

  Sono poi esposti documenti scolastici e universitari di Mazzini: l'istanza al priore della facoltà di filosofia e belle lettere, datata maggio 1822, per l'ammissione all'esame di magistero, corrispondente all'attuale esame di maturità (248); il diploma conseguito nel suddetto esame (249); il certificato di ammissione al primo anno del corso di legge (250); un'attestato di  frequenza  alle lezioni e ai doveri religiosi (251), necessario per poter sostenere gli esami accademici; l'enunciato a stampa delle dieci tesi discusse il 18 maggio del 1826 per ottenere la laurea in diritto (252) e il relativo diploma in pergamena (257). Scritta con grafia minutissima, ma chiara, si legge una pagina dello Zibaldone, quaderno di appunti scolastici relativi agli argomenti più vari, dalla letteratura alla scienza, dalla geografia alla filosofia, alla religione (254). Ci sono  pervenuti in maniera fortunosa: dopo la morte di Maria Mazzini (1852) i suoi parenti, per evitare noie con la polizia, decisero di bruciare tutte le carte, lettere, manifesti e giornali dell'esule. Un certo Francesco Oliva giunse appena in tempo per salvare questi quaderni, ma nulla potè fare per l'altra, importantissima, documentazione; lo Zibaldone fu poi consegnato dallo stesso Oliva al Comune di Genova nel 1912. Un disegno a matita di Giuseppe Isola (253), datato 1830, è il primo ritratto sicuramente documentato di Giuseppe Mazzini.

  L'ultimo documento della vetrina ci fa riflettere sul carattere di Mazzini, solitamente considerato serioso ed introverso: è la trascrizione autografa (255) della musica e delle parole di un canto popolare svizzero, che l'esule si dilettava ad accennare, accompagnandosi con la chitarra.

Nella seconda vetrina possiamo seguire l'itinerario spirituale e patriottico del grande genovese dal 1828 al 1858. E' presente una delle sole due copie conservate nelle biblioteche pubbliche dell' "Indicatore genovese" (f. cat.), giornale di carattere mercantile, pubblicato a Genova nel 1828, al quale Mazzini collaborò con recensioni in cui si trovano temi della polemica romantica verso il classicismo; tuttavia, come egli stesso scrisse nelle Note autobiografiche, "la controversia letteraria si mutava in politica e l'indipendenza in fatto di letteratura non era se non il primo passo a ben altra indipendenza". Se ne rese conto il governo piemontese che, nello stesso anno, soppresse il giornale.

  Entrato a far parte della Carboneria, Mazzini fu arrestato e imprigionato nella fortezza di Savona. Prosciolto per mancanza di prove, di fronte all'alternativa del confino  in Italia, scelse la via dell'esilio.  A Marsiglia, nel 1831, stampò una lettera a Carlo Alberto (op. 259), succeduto in quell'anno a Carlo Felice, firmandosi "Un Italiano", per esortarlo ad assumere l'iniziativa della riscossa nazionale. La mancata risposta del re lo spinse definitivamente al superamento del possibilismo carbonaro, basato sulla collaborazione con i Savoia, con la fondazione nel 1831 della Giovine Italia e l'anno successivo di una rivista con lo stesso nome (263), diffusa clandestinamente nella penisola.

Fallite la spedizione della Savoia e il moto di Genova, si recò in Svizzera, dove, nel 1835, accordandosi con patrioti, esuli di altre nazionalità oppresse, fondò la Giovine Europa. Tra i numerosi scritti di questo periodo, Foi et avenir (op. 264) è fondamentale per comprendere l'animo e la religiosità di Mazzini, che vede nella mancanza di ideali e nel materialismo delle coscienze l'ostacolo maggiore allo sviluppo della democrazia.

  E' a Londra, dove era giunto nel 1836, quando Pio IX sale al soglio pontificio (1846) e con la sua politica di riforme entusiasma ed illude gli italiani. A lui, nell'ottobre del 1847, come già a Carlo Alberto, l'esule indirizza uno scritto (op. 265) per esortarlo ad abbracciare la causa dell'unità. Per essa si dichiara pronto a mettere da parte ogni pregiudiziale ideologica repubblicana. Così, quando Carlo Alberto, varcato il Ticino dichiara guerra all'Austria (marzo 1848), Mazzini conferma la sua volontà di collaborare, se l'obiettivo finale è l'unità d'Italia con Roma capitale (ms. 269). Gli opuscoli Agli italiani e Ai giovani (266, 267), stampati nell'agosto e nel novembre del 1848, mostrano l'amarezza del patriota per il fallimento della guerra regia e il suo convincimento che l'iniziativa della lotta debba tornare al popolo.

La tragica esperienza della Repubblica Romana non scalfisce l'attivismo dell'esule; a Londra ridà vita al Comitato Nazionale che un gruppo di deputati della Costituente romana aveva istituito nel luglio del 1849, come organo di governo in esilio investito di legittimità popolare (man. 268); un prestito nazionale, del quale sono presentati alcuni titoli (271-275), avrebbe dovuto fornire i fondi necessari. L'associazione fu molto attiva sino al 1853, allorché si sciolse a seguito del fallimento dei moti insurrezionali di quell'anno, sui quali era stato puntato gran parte dei denari raccolti. Con la partecipazione piemontese alla guerra di Crimea, si acuisce la polemica tra Mazzini e il governo sardo, in particolare con il Presidente del Consiglio Camillo Cavour. Nel foglio volante All'esercito piemontese (256), Mazzini si rivolge ai 15.000 soldati "deportati" in Crimea e destinati a morire non per la propria patria, ma per servire "un falso disegno straniero". Alle accuse di Cavour di essere stato la causa del sacrificio di molti giovani, con allusione ai martiri dei moti, controbatte con una lettera dal tono duramente polemico (277).

L'esito delle seconda guerra d'indipendenza che, anziché all'unità, aveva portato all'annessione della sola Lombardia, lo convinse sempre più che solo l'impegno del popolo avrebbe potuto dare la libertà alla penisola.

Nel settembre del 1859 scrisse al re Vittorio Emanuele (op. 278), invitandolo a liberarsi "dei faccendieri intriganti e dei pigmei consiglieri di prudenza" e ad allearsi con i democratici e con la rivoluzione:

Oltre ai documenti, in parte citati, la seconda vetrina contiene alcune testimonianze iconografiche: la foto di Giuditta Sidoli (260), amata da Mazzini che la conobbe a Marsiglia, dalla quale ebbe un figlio che morì tre anni dopo e due litografie (261, 262) raffiguranti lo stesso esule. Sono ritratti volutamente poco somiglianti per fuorviare le polizie europee, diffusi prima del 1848 allorché, con l'avvento della fotografia, fu più difficile contraffare l'immagine del "ricercato". Nella parete, a sinistra di chi entra, campeggia un grande ritratto di Mazzini, dipinto nel centenario della nascita da Giuseppe Pennasilico (303); in quella di fronte, vicino alla finestra, si notano: una stampa raffigurante lo stabilimento di bagni di Grenchen in Svizzera (283), due ritratti di Maria Mazzini (279, 284), uno di autore ignoto, l'altro di Ulisse Bonzino, datato 1851, con nota dell'autore ("dipinto dal vero"); una veduta di salita dei Forni, opera di Alessandro Varni (280); un'immagine di un fanciullo che la tradizione ha sempre identificato in Giuseppe Mazzini (281), e un dipinto, L'addio dell'esiliato all'Italia (282). L'autore, Andrea Gastaldi, compagno di studi del giovane Mazzini, nel ritrarre un esule che, sullo sfondo di un paesaggio tipicamente genovese, si allontana dalla patria, si ispirò alle vicende dell'amico costretto dal 1831 ad un esilio che durò per tutta la vita.

La terza vetrina, al centro della sala, chiude una scrivania appartenuta a Giuseppe Mazzini (285), sulla quale sono posti oggetti e libri suoi e di sua madre. Di lei abbiamo un calamaio (299), un sigillo metallico (300) e due volumetti di argomento religioso (193, 295), la Guida al cielo di Giovanni Bona da Mondovì che reca sul frontespizio una dedica autografa a Domenico Celesia e l' Imitation de Jesus Christ par Gonnelieu avec pratiques et prières, donato a Carolina Celesia, come si legge nella dedica autografa scritta sull'antiporta del volume: "Vogliate nelle vostre preci non obliare l'amica vostra Maria Mazzini".

Tra gli oggetti del patriota genovese destano curiosità un paio di occhiali "alla Cavour", con astuccio rosso, di manifattura inglese (291) ed una scacchiera, completa di pedina e di contenitore (289, 290) sul cui fondo si legge una scherzosa e goliardica descrizione di una partita a scacchi con i nomi di un gruppo di studenti dell'università genovese: "Banzorra scrisse, Fabre approvò. Ruffini se ne fotte. Bodda si tace. Torre ciuccia. Pippo [Giuseppe Mazzini] cachinna. Remorino è sorpreso. Castellini osserva e chi non dice parapimpla desidera ardentemente poterlo dire". Sempre agli anni giovanili sono legati altri ricordi: un sigillo d'argento che porta da un lato la sigla M e dall'altro  il nome Pippo (292); un portacarte (288); una cassetta con l'occorrente per scrivere (287) ed una chitarra d'artigianato napoletano (286). Tra i libri, un'edizione genovese del 1793 de Lo spirito di San Paolo (294), con la dedicatoria in latino del padre giansenista Luca De Scalzi, maestro di grammatica; la Filosofia della storia di Hegel (296), scritta da Edoardo Gans e tradotta dal tedesco da G.B. Passerini, letta da Mazzini nel 1842, come si può dedurre da una sua lettera al traduttore del 14 gennaio di quell'anno; infine, le Memorie politiche di Felice Orsini (Torino, 1858) con i margini delle pagine fitti di annotazioni autografe (297).

Si entra nella sala 6, corrispondente alla stanza natale di Mazzini. A sinistra, nella quarta vetrina, si ammira un autoritratto di Carolina Celesia (306), in atto di dare gli ultimi ritocchi a un quadro raffigurante lo stesso Mazzini. La Celesia, sposa di un banchiere genovese fu la romantica figura di patriota impegnata a diffondere i principi della Giovine Italia e a proteggerne e aiutarne gli iscritti. Accanto a questo ritratto si notano altri oggetti dell'esule (307-315): una pipia, un portasigari, un bocchino finemente decorato secondo il gusto neoclassico con figure femminili nell'atto di suonare la cetra, un cinturone di pelle nera con borchie metalliche, dono del custode del carcere di Gaeta, dove Mazzini fu detenuto nel 1870, e il cappello in panno nero, che usò quando fu liberato. Altri indumenti personali sono: due fazzoletti da collo, il panciotto a strisce tricolori indossato nella qualità di triunviro della Repubblica Romana e una sciarpa azzurra, distintiva della stessa carica; vi è, infine, la penna d'oca usata in casa di Felice Dagnino a Genova nel novembre del 1871 per sottoscrivere il Patto di fratellanza, presentato al XII congresso delle società operaie. L'esule è raffigurato in due sculture: una statuetta in gesso di autore ignoto (316) ed un busto, datato "Londra 1850" e firmato da Angelo Bezzi (317).

Nella seconda parte della vetrina riprendono le testimonianze scritte dall'apostolo mazziniano. E' del 1860 la prima edizione completa dei Doveri dell'uomo, stampata a Lugano, anche se il frontespizio reca "Londra" come indicazione del luogo (318). L'opera è composta da 12 capitoli elaborati e pubblicati a più riprese dal 1842 e rappresenta la sintesi del pensiero del grande genovese; è dedicata agli operai italiani, intendendo con questo termine l'insieme di tutti i componenti la società che operano per il bene comune. Ogni azione dell'uomo deve essere indirizzata all'emancipazione del popolo per fondare la patria libera ed una; è questa la "Conchiusione" del XII capitolo, il cui manoscritto è esposto in museo (319).

 Nel 1861 Vittorio Emanuele II è proclamato primo re d'Italia, ma all'unità territoriale della penisola manca ancora il Veneto e lo Stato Pontificio.

 Ancora una volta Mazzini vede nell'iniziativa popolare l'unica possibilità per raggiungere lo scopo e da Londra si prodiga per raccogliere i fondi necessari per organizzare la lotta. E' del 1862 la sottoscrizione per Roma e Venezia: l'elenco degli aderenti (ms. 325) è indicativo delle classi sociali nelle quali il mazzinianesimo era più diffuso; infatti, accanto ai vari nominativi, troviamo le rispettive professioni che rivelano la presenza in maggior numero di operai. Per raccogliere denari si ricorreva a lotterie e a vendite benefiche; un gruppo di signore londinesi e genovesi organizzarono a Londra un "bazar" di prodotti italiani (ricami, vini, commestibili, chincaglierie, fiori artificiali e persino autografi di uomini illustri), pubblicizzato con fogli volanti (324).

Per sensibilizzare l'opinione pubblica inglese l'esule contava molto sulla popolarità di Garibaldi accolto trionfalmente durante la sua visita a Londra nel 1864; in una lettera a lui indirizzata (323) chiedeva il suo aiuto e lo invitava a un giro di propaganda nelle principali città inglesi. Furono tre manifesti elettorali delle elezioni politiche del 1865 (320, 321, 322). Ad esse fu candidato per il primo collegio di Genova anche Giuseppe Mazzini, che, se fosse stato eletto, avrebbe visto automaticamente annullato il rigore delle condanne a morte che pendevano sul suo capo per i moti del 1833 e del 1857. La candidatura fu avanzata dai mazziniani genovesi, nonostante il parere negativo dell'interessato, che mai avrebbe giurato fedeltà alla monarchia. L'esule ottenne 337 voti, 15 meno di Vincenzo Ricci che riuscì eletto.

Il manifesto di fondazione dell'Alleanza Repubblicana (328) e una lettera aperta ai volontari reduci della guerra del 1866 (man. 330) rappresentano una svolta del programma mazziniano teso, sino ad allora, ad anteporre la questione dell'unità nazionale a quella della forma istituzionale repubblicana; dopo l'annessione del Veneto, appariva ormai ineluttabile anche la caduta del governo pontificio, nonostante la presenza dei francesi. Mazzini voleva prevenire la monarchia: un'insurrezione popolare avrebbe consentito di riprendere l'esperienza repubblicana del 1849 e di porre le basi per una Assemblea Costituente del nuovo Stato italiano, con Roma capitale. L'agitatore genovese volle ampliare la sua organizzazione in campo europeo ed americano e, nel 1867, la denominò Associazione Repubblicana Universale (ARU), contrapponendola ad altre organizzazioni internazionali sorte in quegli anni. Anche l'ARU era sostenuta con pubbliche sottoscrizioni, nelle cui cedole di ricevuta (329) compariva l'immagine di Cristoforo Colombo e di Giorgio Washington, con chiara allusione al legame tra Europa ed America.

Il disegno di insurrezione a Roma fallì nel 1867; Garibaldi fu sconfitto a Mentana dall'esercito pontificio e i suoi volontari deposero le armi nelle mani delle forze regolari italiane; Ai militari, costretti a fermare e ad arrestare l'eroe Mazzini rivolge un manifesto (331), primo documento esposto nella quinta vetrina, che costituisce una dura accusa a Vittorio Emanuele II, reo di avere "rinnegato Roma, l'indipendenza e la dignità d'Italia". L'esule intensifica la lotta alla monarchia, giustificandone le ragioni storiche nello scritto L'agonia di una istituzione (ms. 334). I proclami Ai Genovesi (ms. 333), Concittadini, rivolto ai siciliani (man. 336) invitano  all'insurrezione; egli stesso parte per Palermo nell'agosto del 1870, ma è arrestato e tradotto alla fortezza di Gaeta, dove sarà detenuto per quattro mesi. In questo periodo, a Genova, alcuni suoi amici si adoperano per venire incontro alle sue ristrettezze economiche; all'insaputa dell'interessato, gli è rilasciato un certificato di povertà (337), che implicitamente gli riconosce, dopo quasi quarant'anni, i diritti civili, in forza dell'amnistia generale promulgata per Roma capitale. Nonostante le precarie condizioni fisiche ed economiche Mazzini non vuole accettare il perdono della monarchia, che gli avrebbe permesso di rientrare liberamente in Patria; dedica gli ultimi anni della sua vita a constatare la diffusione dell'internazionalismo. Nel novembre del 1871 scrisse il Patto di fratellanza (man. 338) per le società operaie riunite a Roma in congresso. Nella stessa città fonda il giornale "La Roma del popolo", il cui programma è enunciato in un manifesto (334); nel titolo è racchiuso l'auspicio che, dopo la Roma dei Cesari e quella dei Papi, possa trionfare la terza Roma, quella del Popolo.

 Un settore riunisce una serie di circolari (339-342) emanate dalle polizie europee e diffuse alle frontiere al fine di identificare e catturare il "sovversivo" Giuseppe  Mazzini che, nei suoi spostamenti, si serviva di falsi documenti e, talora, alterava il suo aspetto fisico; sono indicati i tratti somatici, singolarmente contrastanti nelle varie descrizioni, abitudini, modi di vestire e ogni altro particolare ritenuto utile.

Ancora sotto falso nome e in incognito l'esule torna in Italia per quello che sarà il suo ultimo viaggio. E' ormai stanco ed ammalato; a Pisa, il 10 marzo del 1872, nella casa di Pellegrino Rosselli, cessa di vivere. Un dipinto di Davide Dellepiane (349), lo raffigura sul letto di morte avvolto nello scialle che tre anni prima aveva preso a Castagnola sulla salma di Carlo Cattaneo e che è conservato ancora oggi in questo museo.

L'11 marzo il giornale genovese "Unità italiana e Dovere" esce listato a lutto (346) "per l'immensa sventura dell'Italia e dell'Umanità". La commozione è generale e il viaggio del feretro verso l'estrema dimora di Staglieno è un'apoteosi. Tra le centinaia di telegrammi giunti, spicca quello inviato da Garibaldi (351); "Rappresenti e sventoli bandiera dei Mille in onore del Grande Italiano".

 

 

 

       

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Ultimo aggiornamento

giovedì 17 agosto 2000