Sale 9 e 10

Armi, uniformi, cimeli

ISTITUTO MAZZINIANO

 

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Questa sezione del museo riunisce in cinque ampie vetrine, lungo il perimetro delle sale, cimeli relativi a fatti e personaggi storici del periodo 1815-1870

Al centro, in nove pannelli, sono presentati figurini militari dell'età napoleonica e risorgimentale.

  Nella prima vetrina sono esposti 51 "pezzi" di vario tipo, cimeli che acquistano valore significato dalla loro stessa storia. Legata al ricordo dei fratelli Ruffini è una bella edizione londinese del 1823 in due volumetti di piccolo formato (cm. 8,7x5,4) della Divina Commedia di Dante (472). Fu donata da Laura Dinegro Spinola ad Agostino Ruffini il 13 maggio 1833, lo stesso giorno in cui Jacopo fu arrestato. Dell'anno successivo è una miniatura raffigurante Camillo Cavour (473), allora ufficiale del Genio a Genova. Fu commissionata dallo stesso conte ai coniugi Romanini in due copie; uno volle inviarla alla nobildonna torinese Clementina Guasco, l'altra - quella in mostra - la consegnò ad Anna Giustiniani, alla quale era unito da un forte legame sentimentale, che ebbe per la donna un tragico epilogo. Morì, infatti, suicida nel 1841. Una teca che racchiude una corteccia dell'albero del vallone di Rovito (477), ricorda il sacrificio dei fratelli Bandiera; di Emilio possiamo anche vedere una bella miniatura (478), fatta eseguire da sua madre ad Adeodato Malatesta. Ricordiamo poi un bassorilievo in medaglione opera di Adamo Salomon (479), raffigurante Nino Bixio. E' datato 1846 e reca incisa nel retro una dedica dello stesso Bixio a Goffredo Mameli.

  Ad uno dei momenti più tragici della storia di Genova ci portano alcune schegge di bombe lanciate dai piemontesi per sedare la sommossa dell'aprile del 1849 (487). Nello stesso anno, a Roma, Goffredo Mameli sacrifica la sua vita; ne è toccante ricordo una teca con una ciocca dei suoi capelli, che la madre volle donare ad Agostino Bertani (488).

Vi sono poi alcuni oggetti di fattura singolare: due ventagli che presentano da una parte  scene silvestri di gusto neoclassico e, dall'altra, disegni e scritte inneggianti all'unità italiana (503-504).     Rappresentavano nel 1848 una singolare forma di propaganda patriottica escogitata per non dare nell'occhio alla polizia. Una statuetta di creta, divisa in due parti che si incastrano a mo' di portagioie (505), è una caricatura di Cavour, obeso, con barba ed occhiali. Opere di notevole abilità artigianale sono un anellino e un ciondolo (506, 507) con applicata una piccola lente, attraverso la quale si intravvedono in una stampa i protagonisti della seconda guerra di Indipendenza. Infine, tra i soggetti esposti sul piano della vetrina, ricordiamo il sestante a riflessione di Nino Bixio (512) e lo scialle quadrettato che avvolge la salma di Giuseppe Mazzini (516).

  La seconda vetrina comprende una notevole raccolta di fucili di epoca risorgimentale; interessa la storia delle armi da fuoco un fucile francese modello 1837, detto à la Pontchara (517), poiché fu la prima arma individuale con accensione a capsula e segnò la fine della grande epoca dei fucili a pietra focaia. Lo stesso modello, trasformato da pietra focaia a capsula, fu adottato in Piemonte nel 1842 (527). Vari, tra gli esemplari esposti, quelli usati nelle imprese garibaldine: un fucile inglese Lovell, modello 1842 (522), campione di una partita di armi acquistata da Garibaldi e Bixio nell'aprile del 1860 che avrebbero dovuto equipaggiare i Mille a Marsala. "Detti fucili sparirono!", scrisse Antonio Burlando su di un cartone incollato al calcio. Una carabina svizzera di grande calibro, modello 1842 (521), adottata dai Carabinieri genovesi e chiamata "chitarra" per la sua forma curva. Furono probabilmente catturati ai Borboni un fucile da granatiere della fabbrica di Mongiana (523), una carabina da Cacciatore napoletano modello 1850 (524) e due fucili svizzeri con impressi nel calciolo numeri reggimentali dell'esercito di Ferdinando II (525,526). Trofei di guerra, documentati da cartelli incollati sul calcio, sono: due carabine austriache, modello 1854, da Cacciatore raccolte una sul campo di battaglia di Bormio il 10 luglio 1866, l'altra nella presa del forte di Ampola il 19 luglio 1866 (530, 531); un fucile austriaco da fanteria modello 1854, che il sergente Trombra dei Carabinieri genovesi catturò ad un soldato nemico nello scontro di Varese Lombardo il 26 maggio del 1859 (533); infine, un fucile dello stesso modello del precedente (532), che reca manoscritto il cartello: "1866, 16 luglio. Condino. Fucile di linea austriaco preso a Storo (Tirolo)".

  Il 9 marzo del 1870 Mazzini inviò a Felice Dagnino un fucile Vetterli modello 1869 (538) sul cui calcio fece apporre una targa in ottone con l'iscrizione: "Caro Felice, vogliate accettarla  come dono al patriota e all'amico". Di altre due armi sappiamo la provenienza: una carabina Vetterli modello 1871 (537), che ha una targa in ottone con inciso il nome del proprietario, Antonio Burlando e una carabina Hall North a retrocarica modello 1840, adottata dall'esercito degli Stati Uniti (540). Fu portata in Italia dal generale Avezzana nel settembre del 1860.

Oltre ai fucili risorgimentali sono esposti: un moschetto a pietra focaia da arciere della prima metà del XVIII secolo (541) e uno schioppo Berselli, raro esemplare, risalente circa al 1680, che fu il primo tipo riuscito di arma da fuoco a ripetizione, con accensione a pietra focaia, a retrocarica (542). Nella terza vetrina sono di particolare pregio artistico: la spada da cerimonia appartenuta al barone Maghella (543), quella offerta dal governo argentino al Comandante di marina Carlo De Amezaga (547), che ha una impugnatura in madreperla e fornimenti in metallo dorato con coccia finemente decorata con simboli marinari; una daga d'onore che il Comune di Genova volle consegnare al bersagliere Alessio Pasini (545) il quale - come si legge nella motivazione incisa sulla lama - "nell'infausto giorno del 5 aprile 1849, frenando la licenza dei suoi commilitoni mostrava virtù di soldato italiano". Sempre nel settore delle armi bianche, ma di tipo militare, si nota la sciabola che fu di Nino Bixio (549), consegnata dai suoi familiari al Municipio genovese il 20 febbraio 1874 e quella del carabiniere genovese Antonio Mosto (550). La sciabola di modello orientale appartenuto a  Goffredo Mameli (556) ha una sua storia: la portò come trofeo da Tripoli nel 1835 Giorgio Mameli; passò poi a suo figlio, Goffredo, che la usò in Lombardia nel 1848 e a Roma nel 1849, consegnandola in punto di morte a Nino Bixio, il quale a sua volta la diede a Nicola, fratello dell'eroe. Dell'autore dell'inno nazionale fu anche una pistola a capsula di fabbricazione belga (559), custodita dal suo compagno d'armi Luigi Ponthenier. Tra le altre armi corte in mostra ricordiamo: una rivoltella ad avancarica del tamburo Mangeot-Comblain appartenuta a Nino Bixio (548), una mazzagatti in ottone del garibaldino Giorgio Nazari (559), una rivoltella Colt-Root, donata dallo stesso generale Colt a Lorenzo Valerio (565), con incisa una dedica sul dorso dell'impugnatura e, corredata della propria cassetta, una rivoltella Colt Navy (571), modello 1851 appartenuta a Giuseppe Mazzini.

Al centro della vetrina spiccano la feluca di Francesco Balbi Senarega (550), senatore del regno nel 1862, l'elmo da dragone del principe Umberto di Savoia (551), l'elmo da ufficiale di cavalleria di Michele Siri (552) e la marsina da primo presidente di Cassazione, corredata da due spade da cerimonia di Domenico De Ferrari (575-577).

 

 Un settore della stessa vetrina accoglie abiti e oggetti appartenuti a Giuseppe Garibaldi (578-598). Al protagonista di imprese militari ci riportano una giubba rossa, bordata in verde scuro, una sciabola spezzata in punta che l'eroe usò in Uruguay nella battaglia del Salto e una rivoltella Lefaucheux, caratterizzata da un tamburo a 18 colpi.

  Vi sono poi oggetti d'uso quotidiano: un bastone, un bocchino d'ambra, alcuni sigari che Garibaldi stesso confezionò a Sert-Island negli Stati Uniti nel 1851, una coppa di ceramica donatagli durante la visita in Inghilterra del 1864 e un monocolo. Infine, tra gli effetti personali, ricordiamo un panciotto di seta azzurra a righe bianche, una camicia di lino e due berretti; uno è di velluto damascato verde con fregi e nappe in filo dorato, l'altro, di panno nero, ha la classica forma "alla calabrese".

 

La quarta vetrina è distinta in due settori: Il primo è dedicato ai Carabinieri genovesi, volontari d'estrazione mazziniana, che sin dal 1851 si riunivano per addestrarsi all'uso della carabina per essere pronti a combattere per l'indipendenza italiana. Svolgevano i propri esercizi al Lazzaretto della Foce, cimentandosi in gare di tiro a segno con in palio premi di vario genere, tra cui ritratti di Mazzini e Garibaldi. Presero parte alle principali campagne risorgimentali; nel 1860, in cinquantanove, guidati da Antonio Mosto, si imbarcarono a Quarto con Garibaldi e furono tra i pochi dei Mille a presentarsi ben equipaggiati e preparati. La Compagnia si sciolse a missione compiuta, quando cioè fu raggiunta l'unità. Avevano una divisa grigio-azzurra: in mostra ve ne sono due esemplari, di cui uno con grado di sottotenente, appartenne a Luigi Malatesta (598). Per le loro esercitazioni si servirono di carabine di particolare precisione e di rilevante peso (9 chili), con uno scatto sensibile alla più leggera pressione del dito (596, 597). Tra le altre armi appartenute ai Carabinieri genovesi vi è una sciabola di Luigi Stallo (595), quella di Francesco Bartolomeo Savi (600) e una coppia di pistole a capsula marcate "Reilly Oxford Street. London" 8&01, 602) di Antonio Mosto.

  Il secondo settore ha uniformi originali e figurini della Guardia Nazionale, milizia civica formata da tutti i cittadini dai 21 ai 55 anni, istituita nel regno di Sardegna allo scopo di mantenere l'ordine pubblico e di secondare in caso di necessità l'esercito. In mostra abbiamo una tunica da sottotenente (603), appartenuta ad Antonio Burlando, corredata da kepì nero con profilature in nastro argentato (604) e da tre fasce a tracolla di velluto rosso (606-608). Facevano parte dell'uniforme da parata i cui modelli nel 1848 e nella variante del 1859 si vedono in tre litografie (615-617). Vi è poi una sciabola, decorata in blu con arabeschi d'ora che reca sulla lama la scritta "Viva l'Italia" (611), una spada da cerimonia di tipo "albertino", appartenuta ad Antonio Mosto (614) e una daga con inciso lo stemmo di Genova: ha una impugnatura solcata a spirale con pomo che raffigura la testa di Garibaldi (612). Va segnalato, infine, un esemplare di fucile che armava i militi della Guardia Nazionale (613): è a pietra focaia del tipo piemontese del 1777 (modello anno IX della Repubblica Francese).

  Nella quinta vetrina predominano le camicie rosse garibaldine: La leggendaria divisa fu adottata per la prima volta da Garibaldi nel 1843 per equipaggiare la sua legione italiana, allora al servizio della Repubblica uruguaiana. La scelta fu casuale: infatti fu acquistata a poco prezzo una partita di tuniche rosse, destinata agli operai dei macelli che sceglievano questo colore per fare risaltare meno sulle vesti le tracce si sangue degli animali uccisi: Da allora i volontari garibaldini mantennero questa fiammante divisa che, se da un lato li esponeva maggiormente alla vista del nemico, dall'altro infondeva una carica psicologica che permetteva loro di affrontare le più cruenti battaglie.

Nell'osservare la vetrina si nota come l'uniforme presentasse una varietà notevole di fogge, dalla semplice camicia come, ad esempio, quelle appartenute a Ezelino Magli (618), a Giovanni Grilli (638) e ad Antonio Podestà (646), alla giubba più corta e stretta in vita, alla tunica ad ampie falde e con vistose bordature. Tra le giubbe occorre segnalarne una in particolare: presenta nel retro uno strappo, causato da un proiettile borbonico che ferì il garibaldino che l'indossava, Paolo Emilio Evangelisti, nella battaglia di Maddaloni nel 1860 (633). Tra le tuniche spiccano quella appartenuta al maggiore Antonio Burlando (623), corredata di 8 medaglie e quella di Vincenzo Carbonelli (644). Singolare per la fattura, d'origine probabilmente americana, è la giubba di Alessandro Moore (640), che venne in Italia dalla nativa New Orleans per combattere con Garibaldi: è molto piccola, stretta in vita, con alamari neri che sostituiscono i bottoni.

Accanto a queste divise vi sono armi, testimonianze anch'esse dell'epopea garibaldina: una carabina svizzera, tipo "premio", che ha la bocca della canna ostruita da un proiettile incastrato, ancora avvolto nella pezzuola (629). Essa,  come si legge su di una placca di ottone posta sul calcio, fu resa inservibile da una doppia palla durante la battaglia per le strade di Palermo il 29 maggio 1860 e l'ogiva ammaccata testimonia ancora i violenti colpi di bacchetta sferzati dall'ignoto garibaldino per liberare la canna. Un fucile svizzero, modello 1863 da fanteria, appartenuto a Pietro Genini (636). Una carabina da tiro a segno di fabbricazione svizzera, usata da Francesco Castruccio nelle campagne del 1860 e del 1866 (641) e, infine, una rivoltella, modello Lefaucheux, appartenuta a Stefano Olivari, garibaldino dei Mille (637). 

  Nei pannelli, posti al centro delle sale e sulla parete che le divide è presentata una raccolta di figurini militari. Un primo gruppo di quattro litografie acquerellate comprende Bonaparte in tenuta di primo console e uniformi del suo esercito (651-654); una seconda serie di disegni colorati a china (655-681) riguardano l'esercito napoleonico; relativo allo stesso periodo storico, ma con riferimento alla repubblica Cisalpina e al regno d'Italia sono quattro litografie (689-692), tratte dal volume di Alessandro Zanoli,  Sulla milizia cisalpina in Italia (Milano, 1845). Sono presenti anche uniformi speciali del 1848-49 (682-686), come da Guardia Civica del Regno di Sardegna, quella toscana e quella romana e la Guardia Nazionale sia maschile che femminile. Chiude (696-716) una serie di figurini dell'esercito del regno di Sardegna, in litografie edite a Torino nel 1859.

 

 

 

       

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Ultimo aggiornamento

giovedì 17 agosto 2000