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Al Museo del Risorgimento

         le     "Giornate Mameliane"

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Il 10 dicembre 2002,  al Museo del Risorgimento, avrà luogo  la manifestazione dal titolo "Giornate Mameliane", giunta ormai alla quinta edizione. Per l'occasione si terranno incontri culturali, dibattiti, concerti, spettacoli teatrali. Di particolare rilievo segnaliamo il concerto di chitarre appartenute a Giuseppe Mazzini e Fabrizio de Andrè.

 

LA BENEDIZIONE DELLE BANDIERE

  Il 10 dicembre 1847 è una data fondamentale nella storia di Genova e del Risorgimento italiano. Quel giorno convennero nella città ligure patrioti provenienti da tutti gli Stati italiani per partecipare ad una manifestazione che voleva ricordare il 101° anniversario dell'insurrezione antiaustriaca. Era solo un pretesto: in realtà chi venne a Genova voleva protestare contro la presenza straniera in Italia ed indurre Carlo Alberto e gli altri sovrani ad abbracciare la causa nazionale.
  Oltre 32.000 persone, in una città di 100.000 abitanti, organiazzarono una processione dall'Acquasola al Santuario di Oregina; in gruppi ordinati, studenti, operai, artigiani, professionisti, portavano i loro labari e cantavano inni.
  Tra questi per la prima volta si cantò l'Inno di Mameli, che diventerà poi l'Inno Nazionale. Quello scritto da Goffredo Mameli e musicato dal compositore genovese Michele Novaro si distingueva tra gli altri: era un inno repubblicano (si rivolgeva al popolo e non ai principi); metteva in evidenza, come esempi da seguire, momenti storici di cui fu protagonista il popolo.
  Nella stessa occasione, sfidando il divieto della polizia, sventolarono due bandiere bianco-rosso-verde.
  Era la prima volta che questo vessillo era mostrato in pubblico, quale simbolo di una Italia unita e repubblicana. Un tricolore era tra le mani di Goffredo Mameli, che guidava il gruppo degli studenti universitari e che poi lo consegnò al rettore dell'Ateneo genovese, dove è tuttora custodito; il secondo fu portato da un patriota genovese, Luigi Paris, che dopo la rivolta di Genova del 1849 fu costretto all'esilio in America: lo tenne sempre con sè e alla fine del secolo, tornato in Italia, volle che fosse collocato tra i cimeli risorgimentali genovesi.

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Apoteosi di G. Mameli

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Goffredo Mameli (Domenico Induno)

 

 

 

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Michele Novaro

 

 

 

l'Inno di Mameli è ormai radicato nella nostra  sensibilità; non sono tanto i concetti che, come del resto in inni di altre nazioni, sembrano oggi di difficile comprensione, quanto il complesso della poesia ed il suo insuperabile connubio con la musica tramandataci di generazione in generazione a far si che esso faccia ormai parte del DNA di ognuno di noi. Cerchiamo comunque di comprendere quanto Mameli volle esprimere translitterando in prosa il ritornello e le singole strofe:

 

Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta,
dell'elmo di Scipio
s'è cinta la testa,
dov'è la vittoria?
le porga la chioma
che schiava di Roma
Iddio la creò.
Fratelli d'Italia... Mameli si rivolge a tutti gli italiani, (fratelli), senza distinzione tra re, nobili e plebei; siamo nel 1847, l'Italia finalmente si è scossa da lungo letargo, ed è pronta a combattere lo straniero (l'elmo di Scipione rappresenta l'Italia che vincerà come Scipione sconfisse l'esercito di Annibale).

La vittoria era una dea che doveva essere acchiappata per i capelli ( è un detto popolare usato ancora oggi); sarà la stessa dea a offrire la propria chioma all'Italia, perché è destino che sia così, perché Dio l'ha creata schiava di Roma ( la città eterna identifica spesso l'Italia); Roma ha sempre vinto con la forza delle armi, della religione, delle arti e della cultura.

Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte
siam pronti alla morte
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte... Uniamoci e prepariamoci alla lotta stringendoci come le antiche coorti romane, senza temere la morte, rispondendo al richiamo della patria.
Noi siamo da secoli
calpesti, derisi
perché non siam popolo,
perché siam divisi:
raccolgaci un'unica
bandiera, una speme
di fonderci insieme
già l'ora suonò.
Noi siamo da secoli... La causa dei nostri mali è stata quella di non essere un solo popolo, ma essere sempre stati divisi e in lotta tra di noi.

Dobbiamo riunirci sotto una sola bandiera, avere tutti un solo obiettivo. Ormai è giunto il momento di fonderci ( verbo che indica un concetto di unità ben diverso da altre forme di governo come un federalismo guidato dal Re o dal Papa, secondo il pensiero di Gioberti).

Stringiamci ecc...
Dall'Alpi a Sicilia
dovunque è Legnano,
ogn'uom del Ferruccio
ha il cuore e la mano,
i bimbi d'Italia
si chiaman Balilla,
il suon d'ogni squilla
i vespri suonò.

 

 

Dall'Alpi a Sicilia... Seguono gli esempi della storia d'Italia di epoche diverse, in cui gli italiani dimostrarono di saper combattere per la propria libertà: ogni campo di battaglia dalle Alpi alla Sicilia è Legnano dove nel 1176 i Comuni lombardi uniti nel giuramento di Pontida vinsero Federico Barbarossa.

Ogni italiano è coraggioso e valoroso come Francesco Ferruccio che, con un piccolo esercito, nel 1530 cercò di fermare gli eserciti coalizzati del Papa e dell'Imperatore che assediavano Firenze. Ferruccio, ferito, fu catturato e poi ucciso da Maramaldo ( "Vile! Tu uccidi un uomo morto!").

Segue il riferimento a Balilla, il ragazzo genovese che, scagliando un sasso, dette il via alla rivolta popolare del 1746 che portò alla cacciata degli austriaci.

Infine si accenna al Vespri Siciliani: il 30 marzo del 1282 a Palermo, mentre le campane delle chiese suonavano i Vespri, i Siciliani insorsero contro i francesi che occupavano l'isola.

Anche oggi ogni rintocco di campana deve dare il segnale di riscossa laddove vi sono tiranni stranieri,

Uniamoci uniamoci,
l'unione, l'amore
rivelano ai popoli
le vie del signore;
giuriamo far libero
il suolo natìo,
uniti per Dio
chi vincer ci può?
Uniamoci uniamoci ...  E' il concetto unitario di Mazzini pervaso da una profondo senso religioso. Per comprendere questa strofa, apparentemente di facile lettura, occorre rifarsi alla religiosità di Mazzini.

Il disegno divino si identifica nella libertà di ciascun popolo. Attraverso l'unione e l'amore reciproco, tutti i popoli hanno la possibilità di raggiungerlo.

Conclude con un solenne giuramento che è anche una certezza; uniti per Dio (a favore del disegno divino) nessuna forza può fermarci.

Son giunchi che piegano
le spade vendute
già l'aquila d'Austria
le penne ha perdute,
il sangue d'Italia
bevè, col cosacco
il sangue polacco
ma il cor le bruciò.
Son giunchi che piegano... E' una metafora: le spade vendute, che simboleggiano gli eserciti mercenari assoldati per tenere sottomessa l'Italia, sono deboli come giunchi.

Allegoricamente è detto che l'Austria (l'aquila è nello stemma austriaco) si è indebolita: ha bevuto il sangue d'Italia come la Russia (cosacco) si è nutrita del sangue della Polonia ma ne sono rimaste ambedue scottate.

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