Nella
provincia di Sassari esiste una chiesa campestre ogni venticinque chilometri
quadrati.
Le chiese che oggi ci appaiono campestri furono, un giorno, al centro
d'un abitato, molte chiese che noi riteniamo urbane (San Simplicio) sono
state, sino a non molti anni fa, vere chiese campestri.
Molti vescovi piemontesi, al passaggio dei Savoia si sorpresero dell'abbondanza
di queste costruzioni sacre, fuori dai centri abitati, spesso anche deserte.
Queste costruzioni hanno oggi un ruolo diverso da quello del passato.
Vico Mossa, nel suo libro sull'architettura religiosa in Sardegna, che
resta un classico sul tema, non crede che i costruttori mostrino particolari
opzioni di localizzazione: di chiesette se ne trovano da per tutto, vicino
al mare, in montagna, nelle grotte e persino nei burroni. Quasi tutte
le chiese della provincia mostrano un alto grado di visibilità.
Le chiese campestri hanno tutto intorno un boschetto di olivastri o di
querce e ciò non è un fatto casuale: in una società
di pastori e di contadini la presenza degli alberi ha funzionato come
segnale che quello era un luogo sacro.
In questi ultimi tempi le chiese di campagna sono costruite con il prodotto
della grande industria. In origine invece, il ricorso alla pietra e ai
materiali del luogo dovette apparire come un elemento ulteriore per legare
la funzionalità della chiesa alla comunità che la consacrava.
Così il grigio dei blocchi di granito riveste molte chiese galluresi,
il calcare illumina quelle del sassarese, trachiti e basalti dominano
nelle strutture murarie delle chiese del Logudoro e del Goceano.
Si ha in tutta la provincia di Sassari un'alta densità di chiese
campestri. A Olbia se ne possono contare nove, mentre nel territorio comunale
di Sassari fino a 19. La densità delle chiese campestri è
direttamente collegata all'insediamento umano che si è svolto nel
territorio e alla sua lunga storia. Se infatti il tipo di insediamento
spiega la densità, la storia ne illustra elementi particolari di
questa presenza, la rapidità con cui l'insieme di chiese campestri
si è alternativamente degradato e rinnovato.
Attraverso i secoli esse hanno visto di volta in volta formarsi intorno
a loro interi villaggi e poi la scomparsa di intere comunità: salvo
ritrovare in seguito nuovi abitanti e nuova vita.
In Sardegna dopo i tempi di Roma, con la peste nera inizierà una
vicenda di spopolamento che interrotta agli inizi del '500 riprenderà
ancora più sconvolgente durante la nuova grande peste e solo agli
inizi del '700 la popolazione ricomincierà a crescere. Ogni volta
che la comunità si muoveva, costruiva una chiesetta nella terra
dove andava a fermarsi. La chiesa nasce in genere, come chiesa di nucleo
nei tempi migliori e diventa chiesa campestre nei tempi della fuga e della
dispersione. Vico Mossa, sostiene che la fioritura della chiesa nel '600,
è spiegata anche dalla vicenda di una demografia e di un'economia
più favorevole.
Già popolata fra alto nuragico e basso medio evo, ma per gruppi
fortemente dispersi e limitati la Gallura era praticamente spopolata o
abitata in modo nomade da pastori che passavano nove mesi all'anno, da
novembre a luglio, insieme con la propria famiglia, nei boschi, vivendo
in capanne. Il problema, per il pastore della loro anima, era che a quel
modo essi non avrebbero potuto ottemperare al precetto pasquale. La chiesa
è un punto di aggregazione dopo che l'aggregazione stessa ha creato
l'esigenza della chiesa e la decisione di costruirla o di riutilizzare
chiese preesistenti in villaggi abbandonati.
La frequenza degli spostamenti è legata alla rapida esauribilità
del pascolo brado che provoca la moltiplicazione dei nuclei. La Gallura,
con i suoi 2100 Km2 ha meno di un terzo del territorio provinciale, ma
ha più di un terzo dell'intero patrimonio delle chiese campestri.
La terza considerazione riguarda un altro più curioso nomadismo,
se così vogliamo chiamarlo. Lo spostamento di comunità legate
al culto di un particolare santo in una particolare chiesa campestre si
coniuga con uno successivo spostamento di confini territoriali, comunali
o parrocchiali che siano.
La regione più ricca di questi spostamenti è la Gallura,
e il caso più interessante è quello di San Leonardo, che
sorge sul colle ai piedi delle rovine del castello medievale di Balaiana,
da cui dipendeva forse il villaggio di cui la chiesa è l'unico
testimone superstite.
Una considerazione importante riguarda la centralità della festa
nel ruolo della chiesa campestre. I pastori nomadi partecipano con grande
intensità alle feste religiose quanto all'incontro comunitario
come funzione sociale di aggregazione.
Da questa religiosità tutta particolare nelle chiese rurali fu
particolare manifestazione la lunga consuetudine per cui molti di questi
edifici ospitarono, uomini, spesso soli, in genere poveri, non di rado
ricchi di un'autentica vocazione al servizio del santo della chiesa a
lui consacrata.
Di questi rimitanos, quasi superstiti delle comunità di monaci
che abitarono nel medio evo intorno ad alcune delle chiese maggiori, la
presenza è documentata sin dall'inizio dell'età moderna.
Questi erano così poveri che il loro nome ha finito per assumere
connotazioni tutte negative ed erano esposti a numerosi pericoli, come
quando nel 1530 alcune fustas de turcos, sbarcate presso Alghero, rapirono
una ventina di persone.
Si calcola che delle 30 e più chiese della provincia di Sassari,
oltre la metà celebra ancora feste e manifestazioni liturgiche
o paraliturgiche. Di queste feste circa 4/5 cadono fra l'inizio della
primavera e la fine dell'estate, secondo una cadenza che, comune a tutto
il mondo tradizionale isolano, la festa sospendeva nel passato non soltanto
le disamistades private ma anche le operazioni di giustizia contro coloro
che avevano violato la legge.
L'immunità legata alla chiesa ha creato, nella storia delle chiese
campestri dei problemi, la tendenza ad estendere l'immunità a ogni
tipo di occasione e "rischiò spesso di trasformarle da casa
di Dio in spelonche di ladri".
Le chiese meglio mantenute, quelle intorno alle quali vi è una
diffusa frequentazione, sono quelle galluresi. Sono le uniche, che siano
sempre aperte.
Le ante delle porte sono accostate, ma non chiuse a chiave. Chi vuole
entrare, dice, una vecchia tradizione, deve prima bussare tre volte e
poi aprire piano piano per farne uscire senza disturbare, le anime purganti
che dimorano all'interno.
Nel 1564 Cristoforo Trujillo, uno dei primi gesuiti venuti in Sardegna,
per andare da Roma a Sassari sbarcò a Posada; traversando le campagne
fu colpito dalla frequenza di quelle chiesette e dal rispetto che le circondava.
Alessandro Solinas II^B
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