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Un dramma del nostro secolo
Le immigrazioni

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Hanno espressioni impaurite che rappresentano tutta la disperazione di chi ha venduto tutto ciò che aveva per pagare il viaggio che li porterà in un nuovo paese.

Appena sbarcati dai gommoni che, in poche ore di navigazione, li hanno traghettati e spinti fuori dall'imbarcazione, per paura di essere intercettati dalla guardia costiera, si ritrovano in una scogliera, bagnati e infreddoliti.

Che cosa sarà di loro non si sa, ma una cosa è certa: questo viaggio vale tutta la loro vita ed ogni sacrificio viene affrontato pur di lasciare una situazione di grande difficoltà dove la vita è impossibile.

Provengono soprattutto dai paesi dove la povertà e la guerra li hanno già individuati come vittime: è solo una questione di tempo, un giorno o l'altro saranno loro a cadere sopraffatti dalla fame, colpiti da una pallottole vagante o stroncati da una malattia. La loro provenienza è fra le più disperate, nonostante arrivino dall'Albania, l'origine del loro viaggio e molto spesso ben più lontana: dalla Turchia all'Afghanistan, dai paesi dell'Asia Minore a quelli del nord e centro africani.

La situazione che troveranno in Italia, per quanto disperata e senza un futuro preciso, sarà certamente migliore di quella che hanno lasciato.

Una volta sbarcati si ritrovano a dover affrontare i primi problemi derivanti dalla soddisfazione dei loro bisogni primari: trovare una abitazione e un lavoro. Senza la necessaria regolarizzazione è però difficile trovare un'occupazione stabile. Chi offre un lavoro approfitta del loro precario stato per assegnare i lavori più umili, corrispondendo un salario molto basso. La legge 40 del 1998 prevede la possibilità, per chi può dimostrare di risiedere in Italia prima del marzo 1998, con regolare contratto d'affitto e di lavoro, di regolarizzare la propria posizione. Oltre trecentomila immigrati si sono ammassati presso le questure, ma solo 38.000 di loro, secondo la legge, otterranno il permesso temporaneo di soggiorno.

Sulla testa di queste persone sono nate organizzazioni di italiani che vendono contratti falsi agli extracomunitari; il loro listino prezzi è inquietante: dai 5 milioni per un falso contratto di assunzione ai 2 milioni per un falso contratto d'affitto, alle 500.000 lire per un documento che dimostri la loro residenza in Italia prima del 27/3/98.

E tutti gli altri? Che fine faranno?

Purtroppo è facile immaginare che gran parte di queste persone andranno a ricercare un lavoro clandestino, a vendere oggetti per le strade; qualcun altro si lascerà convincere a lavorare per la delinquenza organizzata.

Gran parte degli immigrati si concentra la sud dove è possibile trovare una occupazione clandestina nei lavori stagionali. Li troviamo in Sicilia imbarcati sui pescherecci, nelle campagne dell'interno dell'isola per la raccolta degli agrumi, nelle campagne della Puglia per la raccolta del pomodoro. Ogni giorno, per loro, c'è una paga da fame e dodici ore di lavoro sotto il sole. Reggono le fila dello sfruttamento le grandi organizzazioni criminali che utilizzano gli immigrati in tanti sporchi affari: dal traffico di droga, alla prostituzione, alla manovalanza per furti e omicidi.

Se una di queste persone muore di polmonite, viene accoltellato o cade da una impalcatura non ci saranno denunce, non ci saranno processi: sicuramente tutti saranno pronti a giurare di non aver visto niente.

Da alcuni anni in Italia si moltiplicano i centri di accoglienza e le associazioni di volontariato che si occupano di queste persone. Oggi sono circa 800 in Italia le associazioni di volontariato che assistono gli immigrati e assicurano la sopravvivenza al 5% di quelli che vivono a Milano, al 26,5% di quelli che vivono a Roma e al 10% di quelli che vivono a Bologna. Da una rilevazione fatta dal sindacato inquilini, circa 80/90 mila persone vivono in rifugi di fortuna.

Molto spesso la televisione ci porta all'interno di questi rifugi, sono case o fabbriche abbandonate, vecchi ruderi senza servizi essenziali, dove si vive in condizioni al limite della sopravvivenza; il freddo, la fame e le malattie rimangono i primi nemici nella lotta per una vita migliore.

Non sono solo questi, però, i nemici degli immigrati: in tutta l'Europa si moltiplicano i segnali di intolleranza. I mass media ci raccontano sempre più spesso di scontri tra immigrati e bande di teppisti che diventano vere e proprie battaglie razziali che lasciano sempre sul "campo" qualche vittima.

Recentemente anche a Milano, numerosi fatti criminosi hanno scatenato la reazione degli abitanti di alcuni quartieri, che hanno indotto i responsabili dell'ordine pubblico a prendere serie misure di controllo e di prevenzione.

Ci sono poi le reazioni di intolleranza razziale di coloro che, senza un lavoro senza una casa, si ritrovano in concorrenza con queste persone che considerano pericolosi antagonisti con la preoccupazione che possano, gli stessi, trovare lavoro o casa prima di loro.

Con una legge e alcuni successivi decreti, l'Italia ha cercato di fronteggiare le iniziative razziste che, inizialmente, volevano tutti gli immigrati fuori dal nostro paese, e ha cercato di recuperare gli anni in cui questo problema è stato ignorato.

Per necessità, hanno dovuto abbandonare il proprio paese.

Ricordiamo soprattutto che, molti dei nostri nonni, hanno vissuto la stessa triste e umiliante esperienza . L'istituzione di un Ministero che si occupasse esclusivamente dei problemi dell'immigrazione, più volte richiesto, è rimasto un progetto insoluto e, del dramma dell'immigrazione, si parla solamente in caso di nuove emergenze.

Esiste ormai il rischio che lo Stato non riesca a fronteggiare le conseguenze dell'aumento incontrollato del fenomeno immigratorio. Oggi è impensabile chiudere le frontiere dei paesi comunitari, appena aperte, per i controlli sugli immigrati; ogni governo dovrà anzi intervenire con leggi adeguate per permettere una loro integrazione dignitosa.

Non dobbiamo far finta di non sapere che la presenza di migliaia di famiglie di immigrati, ci sta portando verso una società multirazziale, con vistosi cambiamenti in tutti i settori della nostra vita: nel lavoro, nella scuola, nell'assistenza sanitaria e nell'amministrazione della giustizia.

Ognuno di noi dovrà impegnarsi affinché le scelte dello Stato riescano a conciliare le nostre esigenze, che abbiamo diritto di vivere in pace nel luogo in cui siamo nati, con quelle di coloro che avrebbero desiderato altrettanto, ma che per uno strano caso del destino sono costretti a lasciare dietro sé anche il loro cuore.

Ricordiamo che molti dei nostri nonni hanno vissuto la stessa triste ed umiliante esperienza durante tutto questo secolo.

Fabrizio e Francesco Demontis, 2^ B