La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Storia della Pedagogia e della Scuola nell’opera di Emilia Santamaria
di Carlotta Padroni

3. Il rapporto con la psicologia

Emilia Santamaria si dedica con forte impegno, probabilmente anche per influsso di Credaro molto sensibile a queste problematiche, allo studio della psicologia; in quegli anni di inizio secolo la disciplina non aveva raggiunto un assetto modernamente definito, ma rimaneva legata ad un taglio analitico già proiettato però verso formule coordinate di sintesi pur se non ancora compiutamente scientifiche, alla cui definizione anche la pedagogista contribuisce dimostrando la necessità di un approccio psicologico soprattutto in chiave educativa. Gli apporti più evidenti della studiosa sono volti soprattutto alla psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza, al fine di rendere più fecondo il rapporto educatore-educando e più produttivo il lavoro didattico. Con il sostegno di autori, sia pure tra loro diversi, e non ancora pervenuti ad una visione davvero scientifica della psicologia, come John Locke (1632-1704) e Antonio Rosmini (1797-1855), ella riesce a dimostrare anzitutto l’utilità dello studio del fanciullo come momento primario dell’indagine psicologica.

Dunque l’opera educativa, nella sua complessità, presuppone oltre alla conoscenza della pedagogia, quella di una logica che indichi il più esattamente possibile l’organizzazione dinamica del pensiero, ed inoltre i termini di una psicologia generale finalizzata a determinare le leggi del comportamento della mente; ma anzitutto l’azione educativa necessita, nella sua prassi quotidiana, di una particolareggiata psicologia dell’infanzia che fornisca i dati specifici dello sviluppo del fanciullo, disaggregandoli da quelli dell’adulto, scendendo quindi nello specifico e adattando individualmente le norme generali al soggetto che l’educatore guida nel processo di crescita. Quando il maestro riesca ad integrare i diversi contributi, allora il suo ruolo muta: da semplice attivatore di strumenti in precedenza formulati e immutabili, diventa un vitale collaboratore nei progressi didattici e psicologici. Scriveva la pedagogista:

La didattica [...] più direttamente ha bisogno di una particolareggiata psicologia dell’infanzia, perchè non le accada di dar norme, che, riferendosi all’acquisto delle cognizioni nell’adulto, siano inadatte al diverso grado di sviluppo del fanciullo, e perchè possa scendere a molti maggiori particolari, riuscendo così veramente a facilitare la via dell’insegnamento. Ma poichè non è possibile contemplare tutti i singoli elementi del sapere da comunicare, e specialmente perchè essenzialmente vario è lo spirito umano, è necessario che chi insegna faccia da intelligente cooperatore del pedagogista, applicando ai casi pratici, reali e particolari quelle norme che, appunto come norme, sono sempre qualche cosa di generale, e le adatti ai soggetti che deve guidare nell’ascesa verso il vero29.

Inoltre la nostra studiosa pensava che qualora la psicologia dell’infanzia avesse trovato una definizione nel suo assetto scientifico, essa avrebbe potuto interagire in maniera creativa con la filosofia, nel tentativo di chiarire problematiche apparentemente irrisolvibili sul piano dell’esperienza: come ad esempio il tema del rapporto spirito-corpo. Tuttavia la Santamaria non identifica, come Gentile, la psicologia con la scienza puramente filosofica, ma, senza d’altra parte disconoscere il ruolo in essa storicamente sostenuto dalla speculazione, avvalora modernamente quelle metodologie come l’esperimento e l’osservazione che hanno una loro imprescindibile funzione strutturale. Quando Gentile nega alla psicologia la dignità di scienza autonoma, identificandola invece con la filosofia, col premiare un concetto filosofico improntato all’unità universale dello spirito non tiene conto dell’indagine sul fanciullo e del reale e globale processo di sviluppo di quest’ultimo. La sua appare quindi, a parere della nostra autrice, un’opera di astrazione, di creazione meramente ideale e in qualche modo lontana dalla realtà.

Tale materia sarà oggetto di un’attenta analisi da parte della studiosa che ordinerà i risultati delle sue elaborazioni sia in articoli che in testi specifici. Un saggio di questo impegno è rappresentato dall’opera La psicologia del fanciullo normale ed anormale con speciale riguardo alla educazione, con la quale ella vincerà nel 1909, come si diceva in apertura, il Concorso Ravizza, opera che otterrà poi un grande successo, sia dalla stampa scientifica che dal pubblico. La vasta competenza dell’autrice è documentata: non c’ è lavoro di una certa importanza che non sia stato analizzato, insieme alle numerose osservazioni e puntuali ricerche da lei compiute soprattutto all’Istituto di Bertalia presso Bologna. La finalità dell’opera è tuttavia più pedagogica che psicologica: infatti la studiosa cercherà di dare alle sue indagini sui fenomeni psichici, derivanti dalle osservazioni sui fanciulli normali e anormali, una prospettiva educativa; mostrando tutta la validità dei dati empirici se associati ad efficaci metodi di insegnamento. Soltanto così, ella ritiene, quei dati saranno proficui, tanto per la crescita della pedagogia quanto nella soluzione di problemi specifici inerenti alle dinamiche educative.

Senza allontanarsi molto da questo ambito si accenna ai rapporti che si stabilirono tra la Santamaria e i due teorici Guido Della Valle e Raffaele Resta; l’occasione è data da un articolo pubblicato in “Internationalen Zeitschrift für Erzjehungswissenschaft” dal titolo La pedagogie contemporaine italienne in cui ella si affianca a Guido Della Valle (1884-1962) e Raffaele Resta (1876-1961), interpreti, anche se essenzialmente diversi tra loro, dello stesso indirizzo “psicoenergetico”.

Se il primo può essere inquadrato, con la sua opera, nella corrente neokantiana, Raffaele Resta sarà considerato come un interprete del positivismo: entrambi hanno in comune, nella loro pedagogia, la massima attenzione per la costruzione dei valori, e quindi, per l’autoformazione della vita psichica in tutte le sue componenti; essi sostengono però anche il ruolo importante della forza originaria e spontanea dell’uomo che tende a manifestarsi “economicamente”, per ottenere il massimo con il minore sforzo.

La pedagogia, per Della Valle, è “la grande e complessa teoria della efficienza umana”; egli ha dunque ampliato il campo di questa disciplina comprendendo sia la filosofia, volta ai valori come fini da realizzare, studiandoli sotto l’aspetto formale, sia la scienza sperimentale, che si occupa del lavoro mentale necessario a raggiungere i fini-valori.

Un ruolo importantissimo, dunque viene accordato alla pedagogia, non più autonoma ma integrata dalla filosofia e dalla psicologia, ed accanto ad essa si dilata anche il concetto di educazione che accompagna l’uomo in tutte le sue attività pratiche per guidarlo nell’attuazione dei fini-valori.

Nel valore, come intuizione immediata, Della Valle individua “la sola categoria primitiva, irriducibile, coeva allo stesso spirito umano” produttrice poi di altri valori: morali, estetici, logici, economici. Per la realizzazione del valore è necessario il lavoro: i due termini sono intercambiabili perché un valore che non richieda energia cessa di essere tale ed è inconcepibile un lavoro che non sia indirizzato ad un fine. La scala dei valori è il risultato soggettivo delle energie impiegate nel lavoro mentale alla conquista degli stessi valori. Non c’è dunque una gerarchia assoluta tra i valori che si affermano sempre attraverso scelte individuali, mai per imposizione o indottrinamento.

L’educatore può comunicare all’educando un valore solo attraverso la “suggestione”. Della Valle sottolinea il ruolo della “suggestione economica” soprattutto nelle società avanzate come momento di stimolo all’azione, al dispiegamento di energie da parte delle fasce più povere della popolazione. Si tratta di una concezione che trova nel fine economico la propria realizzazione, ben lontano dall’approccio della Santamaria, che invece cerca il fine dell’uomo nel dominio della ragione sulla materia, e imposta la sua opera educativa sullo sviluppo dello spirito, suprema dignità dell’uomo.

Accanto alla scienza dei fini-valori, Della Valle studia anche la scienza dei mezzi, cioè delle leggi che governano il lavoro mentale: la “psicoenergetica”; egli giunge così a definire una teoria del lavoro ricca di osservazioni pedagogiche. Per lui nell’uomo c’è una tendenza innata all’attività: compito della pedagogia è guidare questa attività ai fini di una più efficace attuazione dei valori. Egli inoltre sostiene la validità dell’insegnamento collettivo rispetto a quello individuale e la necessità di valutare nelle ricompense scolastiche più il lavoro che i risultati; inoltre difende una scuola differenziata nel rispetto delle attitudini dell’individuo; oltre alla cultura umanistica, la scienza deve trovare un proprio ruolo nell’educazione perché è alla base del progresso moderno. Della Valle avanza persino l’ipotesi di una “scuola di lavoro” dove ognuno possa ricevere una retribuzione.

Emilia Santamaria osserva invece che ponendo la finalità dello studio-lavoro nel premio si induce il fanciullo a sopravvalutare il giudizio altrui e a cercare nello studio il mezzo diretto per un fine particolare; al contrario, il dovere del lavoro sottintende sempre l’attuazione di fini umani di carattere superiore.

In Raffaele Resta, l’altro esponente dell’indirizzo “psicoenergetico”, prende consistenza, sulla base di una formazione positivista, una visione del mondo sempre più unitaria, che supera il positivismo stesso in quanto afferma che tutti gli esseri esistono sotto i quattro aspetti di corpo, energia, coscienza o psiche, oggetto o attività. Questa visione unitaria fa sì che l’essere sia visto come tale in ogni suo atto, e per ciò che riguarda l’uomo teorizza che dall’ incessante processo di organizzazione della materia emergano i bisogni che lo guidano alla ricerca dei mezzi necessari a soddisfare le proprie esigenze. E’ implicita quindi una educazione mirata alla utilità personale che si struttura come eteroeducazione, però saldamente poggiata sulla base di una autoeducazione concepita come impulso primo.

Il ruolo della didattica, nella formulazione di Resta, è di guidare l’educando alla ricerca dei rapporti di causalità nei fatti, e accanto ad essi ai conseguenti rapporti di finalità e di utilità secondo i quali l’uomo agisce in relazione con la natura: egli deve quindi riuscire a cogliere anche l’utilità del sapere. Emilia Santamaria si interroga sul significato da assegnare all’espressione sapere utile perché nel caso che si intenda come mezzo di conservazione della vita, l’educazione appare privata della sua finalità di perseguimento di un ideale assoluto, mentre se l’espressione è intesa come strumento finalizzato al dispiegamento dell’energia nelle sue più alte attuazioni, in un contesto efficace alla conservazione dell’umanità intera, allora il concetto di utile si allarga a tal punto da sfumare in quello di sapere.

Un altro tema, con implicazioni pedagogiche importanti, è quello del lavoro, attività necessaria socialmente e individualmente per la quale è di fondamentale importanza una guida in grado di orientare il fanciullo alla ricerca di se stesso nella professione ed nella direzione della propria vocazione.

Il lavoro, nel pensiero di Raffaele Resta, è per l’uomo la proiezione della propria natura; la scuola deve dunque non solo controllare ma anche assecondare le attitudini di ciascuno promuovendo l’azione in tutta la sua concretezza. La scuola deve inoltre comprendere il lavoro manuale e favorire l’esercizio di abilità motorie e tecniche, con il disegno, il canto, le arti plastiche e la ginnastica, mentre l’avviamento al lavoro non può limitarsi all’insegnamento delle varie arti meccaniche: il ruolo della scienza è, in questo contesto, indiscusso. Egli inoltre sostiene che tale preparazione dovrebbe essere impartita in una scuola media inferiore e obbligatoria, incontrando su questi temi il pieno consenso della pedagogista.

Nel secondo dopoguerra si delinea quindi, nell’approccio pedagogico della studiosa, un disegno filosofico che è venuto via via maturando sulla base della esperienza educativa; infatti anche “la Formiggini Santamaria ammette nell’uomo una Forza originaria, spontanea e creatrice di valori, come pure dà grandissima importanza al processo di autoformazione della vita psichica in tutte le sue direzioni: per questo è possibile comprenderla nel gruppo di studiosi che professano l’indirizzo psicoenergetico. Tuttavia il suo pensiero si stacca profondamente sia dal kantismo del Della Valle, sia dal vitalismo metafisico del Resta”2.

[1]E. Formiggini Santamaria, Rapporti tra psicologia e didattica, in “Rivista Pedagogica”, anno VII, fasc. 2, febbraio 1914, pp. 86-87.

[2]D. Reolon, La pedagogia di Emilia Formiggini Santamaria come realismo spirituale, Pavia, Luigi Ponzio Editore, 1965, pp. 69 - 70.

 

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