La Mediazione PedagogicaLiber Liber

La Rivista pedagogica (1908-1939)
di Marco D'Arcangeli

1. La Rivista pedagogica, il fronte antidealistico e Luigi Credaro

Dopo L’educazione tra ragione e ideologia, il volume di Franco Cambi edito da Mursia nel 1989, gli studi sul fronte antidealistico della pedagogia italiana hanno subìto una inspiegabile battuta d’arresto 1. Apparso sul declinare di un decennio nel corso del quale lo stesso storico dell’educazione fiorentino, e, in parallelo, Giorgio Chiosso, avevano a più riprese riproposto all’attenzione degli “addetti ai lavori” figure e tematiche caratteristiche della nostrana pedagogia del primo Novecento, dall’età giolittiana alle soglie del secondo conflitto mondiale, nel versante “alternativo” alla “scuola” attualistica 2, il testo dell’89 si presentava come uno sguardo d’assieme sulla parabola del fronte, un’articolata panoramica non priva di puntuali approfondimenti di singoli momenti e percorsi, che sembrava destinata a riaprire in via definitiva, inaugurando un nuovo ciclo di ricerche, un discorso esegetico a lungo inopinatamente negletto, e non certo a sancirne la conclusione, come poi di fatto è avvenuto.

Dai presupposti di una gnoseologia realistica e dualistica, ma “critica”, non dogmatica, e dell’irriducibilità di “fatti” e “valori”, di “scienza” e “morale”, di Ragion pura e Ragion pratica, con l’affermazione del primato di quest’ultima in quanto telos dell’intervento educativo che si coniugava al riconoscimento dell’insostituibile apporto della prima, della conoscenza sperimentale, alla sua progettazione ed efficace esecuzione, doveva scaturire una riflessione pedagogica ricca e complessa, che nell’arco dei decenni di cui si sta parlando costituì, in effetti, l’unica significativa antagonista di quella neoidealistica. Nella riaffermazione dell’epistemologica legittimità della stessa pedagogia, nella definizione della sua autonomia (ma non assoluta separazione) dalla filosofia, nella elaborazione di un’interpretazione del fatto educativo che ne rimarcava il costitutivo pluralismo, la molteplicità dei “piani” e l’irriducibile antinomicità (visuale da cui scaturiva una notevolmente articolata “enciclopedia” di “saperi” pedagogici), di contro alle “risoluzioni” e “identificazioni” gentiliane, si situano alcune tematiche centrali e di sicuro interesse di un’esperienza teorica della quale, come viene esplicitamente sottolineato nelle ricerche cui poc’anzi si faceva cenno, la Rivista pedagogica fondata da Luigi Credaro (Sondrio, 1860 – Roma, 1939) nel 1907, e da lui diretta per l’intero corso delle sue pubblicazioni (gennaio 1908/gennaio-febbraio 1939), eccezion fatta per i periodi in cui fu Ministro (1910-1914) e Governatore del Trentino (1919-1922), e che chiuse i battenti, in pratica, con la scomparsa del valtellinese, costituì il fondamentale “organo di aggregazione” e il privilegiato strumento di espressione 3.

La genesi di questa teoresi educativa dalla costitutiva ispirazione kantiana (nel richiamo alla “fertile bassura dell’esperienza”, da un lato, e dall’altro alle sue “condizioni di possibilità”, ad una sua lettura “trascendentale”), nutrita di decisivi innesti e apporti herbartiani (specie nell’articolazione epistemologica in “etica” e “psicologia” della conoscenza pedagogica), rimanda alle più generali vicende della filosofia italiana del periodo 4, ed in specie al convergere delle traiettorie speculative del positivismo “critico” proposto dalla Rivista di filosofia e scienze affini di Giovanni Marchesini 5, e dell’orientamento “neokantiano”, teso alla ridefinizione in senso antidogmatico della natura e delle funzioni della filosofia, raccolto nella Rivista filosofica di Carlo Cantoni 6. Su entrambi i versanti predominava l’interesse per l’approfondimento dei rapporti fra mondo della natura e mondo dei valori, fra filosofia teoretica e filosofia pratica, e il dibattito epistemologico era venuto concentrandosi sulla novella scienza psicologica (ed a questo proposito, la Rivista filosofica si poneva in continuità con quell’interpretazione psicologistica dell’a priori kantiano che il suo direttore e gli altri nostrani assertori del Zurück zu Kant avevano delineato già dagli ultimi decenni dell’800); e se non erano mancate tentazioni di elaborare, sia pure su base “critica”, una nuova metafisica (sospesa fra un monismo non rigido e un radicale dualismo), si erano altresì esplorate le vie di una filosofia umanistica (di un “criticismo umanistico”) e l’affermazione del “primato della Ragion pratica” si era tradotta in un’indagine etica che sottolineava l’irriducibile complessità e le “soluzioni di continuità” della vita spirituale.

Queste due “filosofie”, pur protese ad elaborare un’immagine nuova dell’uomo e del suo mondo, fra “scienza” e “valori”, si dimostravano però, e tali rimarranno nel prosieguo, incapaci di emanciparsi del tutto dalle loro “eredità” ontologiche e di conseguenza sostanzialmente indecise fra un orientamento “metodologico” e la costruzione di una “nuova” Weltanschauung: e i loro fragili impianti teoretici non resisteranno alle acute e corrosive critiche di Croce e Gentile, che potranno così imporre l’egemonia teorica del neoidealismo7. Tuttavia, se si trasferiva dai “massimi sistemi” alle concrete dinamiche spirituali, questo approccio “umanistico” poteva dare risultati non banali: e quasi avvertendolo, i principali rappresentanti degli indirizzi in questione evidenzieranno tutti, nell’evoluzione delle loro parabole intellettuali, dopo una fase, fra i due secoli, in cui mostreranno una certa predilezione per l’indagine etica, una progressiva, più o meno accentuata a seconda dei casi ma comunque inequivocabile “concentrazione d’interessi”, e di studi, sulle problematiche educative, e in quest’ambito, in ogni caso, produrranno i loro “frutti” più significativi e relativamente più duraturi: molti dei quali saranno raccolti dalla Rivista pedagogica di Credaro. Ma in realtà fu soltanto dopo la fondazione di quest’ultima, e dunque grazie all’iniziativa del valtellinese del 1907-08, che quei “percorsi” s’inoltrarono decisamente nella direzione sopra indicata.

Rivista filosofica che di quella di filosofia e scienze affini 8, e dunque attivamente partecipe del “clima” e della maturazione di entrambe queste esperienze, Credaro seppe coglierne le interne, parallele dinamiche e intuire quale fosse il “luogo” teorico ove le medesime avrebbero potuto incontrarsi per avviare un condiviso proficuo cammino: e lo “materializzò” con la sua Rivista pedagogica. E sarà da notare come la nascita di quest’ultima anticipasse, di un anno, quella della Rivista di filosofia, organo della Società Filosofica Italiana, frutto della fusione dei due periodici filosofici appena menzionati, già concordata in apertura del nuovo secolo dai direttori Cantoni e Marchesini 9 , e ritardata, con ogni probabilità, dalla scomparsa del primo, avvenuta nel 1906: nella quale si sarebbero ritrovati i medesimi protagonisti della Rivista credariana, per dare corso al programma più propriamente teoretico del fronte antidealistico.

L’importanza del ruolo “organizzativo” svolto da Credaro nel costituirsi e nel consolidarsi di quest’ultimo, quantomeno come “schieramento” pedagogico, è unanimemente riconosciuta: ma il suo operato non viene generalmente inquadrato, come qui si sta tentando di fare, all’interno di una lunga e complessa “vicenda” spirituale, e risulta, così, sminuito. In realtà, poi, anche quest’ultima, anche quell’itinerario, per dir così, da una “filosofia” ad una “pedagogia”, è stato sinora soltanto abbozzato, non scandagliato in estensione e in profondità, ripercorso in tutte le sue interne “trame”. È un “discorso” che riconduce, di necessità, agli ultimi decenni dell’800, e che rimanda non solo al noto, anche se forse ancora insufficientemente approfondito, percorso del positivismo nostrano, col suo progressivo slittamento dal piano “critico” (cioè di proposta metodologica, tesa al rinnovamento, sulla base dell’esempio offerto dalle scienze naturali, dello studio del mondo umano) a quello “naturalistico” (cioè di “sistema” ontologico-metafisico fondato sulla ipostatizzazione dei risultati della ricerca empirica), e la conseguente sua “crisi” fin de siècle – quella che si troveranno a fronteggiare, in prima persona, uomini come Marchesini. Dovrebbe infatti essere altresì considerato quello, solo di recente – grazie alle ricerche di Luciano Malusa e Massimo Ferrari – “riemerso” da lungo e tenebroso oblio, del (neo) “kantismo” italiano 10: che si sviluppa a partire dagli anni ’70, con la contemporanea presa d’atto, da parte dei più acuti e sensibili allievi sia dell’hegeliano Spaventa sia dello spiritualista Mamiani, della necessità di sottoporre a revisione la lezione dei maestri sulla base dalle istanze fatte valere dalla stessa “filosofia positiva” e dalla scienza moderna, e che per decisivo influsso del (in verità, di qualche anno antecedente) “Ritorno a Kant” in terra tedesca 11, si delinea come la proposta di una ripresa del “problema della conoscenza” in chiave criticista, anche se con sensibili slittamenti dal piano trascendentale a quello “fattuale”.

Queste posizioni, nelle quali s’individua il tentativo di una (non agevole) mediazione fra, appunto, idealismo e positivismo, matureranno però attraverso itinerari di ricerca che in specie fra i seguaci del teorico della “circolazione” europea della filosofia italiana, ma anche fra buona parte di quelli del direttore della Filosofia delle scuole italiane, si muoveranno prevalentemente, se non quasi esclusivamente, sul terreno della storiografia filosofica, piuttosto che su quello della speculazione pura. Ed è su questo piano, fra l’altro, che il “neokantismo” nostrano lascerà la sua impronta più duratura, con una teorizzazione e una concreta attività storiografica che oltrepassando l’impostazione “speculativa” spaventiana si apriranno all’apporto delle moderne discipline filologiche e a una considerazione del “farsi” della riflessione teoretica come non avulso, bensì organicamente e imprescindibilmente correlato, all’evolversi di tutto il complesso della vita spirituale. Ma “l’immagine” di questa esperienza di pensiero è rimasta a lungo consegnata alle Origini della filosofia contemporanea in Italia di Gentile 12 che ne mise in evidenza, al fine di smantellarla, la sola sua difficoltosa elaborazione della problematica gnoseologica; e nel contesto dell’attuale rinnovato interesse esegetico, solo gradualmente si fa strada un’adeguata considerazione di un altro suo significativo versante, la riflessione sul Kant della Ragion pratica e sui fondamenti della morale, con la ricerca, oltre quello che veniva definito “l’astratto” formalismo dell’imperativo categorico, di basi più “concrete” su cui poggiare l’assolutezza del dovere, e da cui partire per la costruzione di una universalmente condivisibile “tavola di valori”. E in questa viva “tensione”, fra l’altro, al di là di nuovi, più o meno evidenti “fraintendimenti” della lezione del filosofo di Königsberg, a cui dà origine, va colta l’estrema “urgenza” con la quale si poneva, per questi intellettuali, il problema della costruzione della nuova Italia (che implicava anche la ricerca e la definizione di una “unità”, attuale o possibile, di ordine etico-morale) 13.

Non è difficile comprendere, sulla base di queste ultime indicazioni, quale filo rosso possa aver condotto, nell’ambito della “corrente” neokantiana, dalla “filosofia/storiografia filosofica” di Felice Tocco, Filippo Masci, Carlo Cantoni, Giacomo Barzellotti alla “pedagogia” dei loro, già in precedenza menzionati, allievi. Sta di fatto, però, che dopo aver per decenni condiviso, come si disse, un destino di sostanziale “emarginazione”, maestri e discepoli continuano a vivere, per dir così, un’esistenza separata, con i primi frequentati dai soli storici della filosofia, e i secondi unicamente da quelli della pedagogia (assai di rado, in verità, nell’ultimo decennio), mentre da un non estemporaneo excursus sul versante non di stretta loro competenza trarrebbero probabilmente vantaggio entrambe le categorie di studiosi.

Ma un’immagine unitaria di questo “percorso”, che consenta di avvicinarne le interne movenze, può essere offerta proprio dalla parabola di Luigi Credaro14. Iscritto alla facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università di Pavia a partire dal 1879, il valtellinese vi divenne l’allievo prediletto, sino a stringere personali duraturi rapporti, con quel Carlo Cantoni che, come risulterà evidente da quanto sin qui è stato detto, fu uno dei protagonisti della stagione “neokantiana” ottocentesca 15; e a partire dalla tesi di laurea, discussa nell’83, su Alfonso Testa o i primordî del kantismo in Italia, egli avrebbe intrapreso la via della ricerca storiografico-filosofica, che orientata in un primo momento su una ricostruzione complessiva della penetrazione delle idee del filosofo delle tre Critiche nel nostro milieu filosofico del primo ‘800 16, doveva successivamente concentrarsi nello studio del pensiero antico e in particolare della fase “scettica” dell’Accademia platonica, con la pubblicazione, fra il 1889 e il ’93, di due volumi che valsero a Credaro prima lo straordinariato e poi la nomina a ordinario di Storia della filosofia presso la medesima Facoltà che lo aveva visto studente 17.

Il “neokantismo” di Credaro, da vero e proprio “cantonismo” nei suoi esordii scientifici, doveva ben presto allontanarsi dalla versione “ontologizzante” che in definitiva ne offriva il maestro. Decisive, in questo senso, sarebbero state non solo l’esperienza di Lipsia del 1887-88, con l’approccio alla pedagogia herbartiana e la frequenza del Laboratorio di psicologia sperimentale di Wilhelm Wundt; ma anche le sue “prove” storiografico-filosofiche, nell’ambito delle quali, approfondendo Il kantismo in G. D. Romagnosi o “leggendolo”, in filigrana, nella scepsi accademica, dovevano maturare, col pregiudiziale rigetto di ogni metafisica, il suo empirismo gnoseologico e la sua morale dell’umana certezza.  Non è difficile cogliere l’affinità fra questo radicale immanentismo e l’orientamento “umanistico” assunto, fra ‘800 e ‘900, dalle filosofie che si esprimevano attraverso le riviste di Cantoni e Marchesini. In realtà, pur se in seguito avrebbe lasciato intendere di essersene definitivamente allontanato proprio a partire da Lipsia, Credaro non aveva fatto altro che sviluppare con coerenza alcune istanze di fondo del “neokantismo”, fra l’altro presenti anche nella non lineare speculazione del maestro; e in specie nella sua riflessione sul problema della libertà di volere e sull’origine e lo status dei valori etico-morali, sviluppata nel corso dei primi anni ‘90, e nelle sue sovente “sofferte” conclusioni, si notano le medesime incertezze di chi in quell’orientamento si riconosceva pienamente. Si scontravano nel valtellinese - allo stesso modo che nei “neokantiani” dichiarati - il primato accordato alla conoscenza empirico-sperimentale in ambito gnoseologico, che sembrava condurre al determinismo, e la volontà di salvaguardare l’autonomia della spiritualità e di accordare un carattere di assolutezza all’ideale: intento che s’intendeva perseguire senza ricadere, nel rispetto della lezione kantia­na, in postulazioni metafisiche, ma senza riuscire nel contem­po ad appagarsi della soluzione trascendentale che lo stesso filosofo di Königsberg aveva fornito del problema morale, giu­dicata, come si è visto, “astratta”.

A Credaro occorre però dar atto di essersi mantenuto immune, di fronte a questi ardui interrogativi teorici, dalla tentazione, alla quale non pochi finirono per cedere, di scioglierli con “salti” nell’oltremondano. Mentre l’“attitudine peculiare del suo ingegno (...) umana, cioè rivolta alla pratica sociale e politica, e non divina, vale a dire aliena dalla pura teoria e dall’acquisto del sapere in sé e per sé”, che lo caratterizzava al pari del “suo” Romagnosi 18, doveva spingerlo, a metà dell’ultimo decennio del secolo, a tradurre quell’istanza che a livello filosofico si esprimeva nel “primato della Ragion Pratica” in un impegno diretto, in prima persona, sul terreno della prassi, maturava in lui (a ben vedere, nella medesima direzione) quella “vocazione” pedagogica che dal soggiorno tedesco in poi aveva continuato a coltivare “sotto il segno” di Herbart e dei suoi seguaci.

Ma allorché diede alle stampe la prima edizione di La pedagogia di G. F. Herbart, nel 1900, Credano elaborò anche una possibile “risposta” ai “dilemmi” che attanagliavano il “neokantismo” e altre affini impostazioni. Nella teoresi educativa del grande filosofo tedesco, infatti, risultavano compresenti e strettamente unite l’affermazione della necessità di pervenire ad una esatta conoscenza dell’educando, e in particolare delle dinamiche dell’apprendimento, e dunque del ricorso a un approccio rigorosamente scientifico (l’oldenburghese intendeva con ciò la sua metafisica “matematica” psichica, ma non era difficile leggere le sue parole alla luce di un diverso concetto di “scienza”, quella fondata sull’esperienza, e “sostituire”, alla sua disciplina, la moderna psicologia sperimentale), e quella della centralità della dimensione morale nella vita dell’indi­viduo, per ciò posta a fine del processo educativo. Vale a di­re che nel modello teorico della pedagogia herbartiana potevano incontrarsi e convivere (anche se non sembravano assimilarsi in una sintesi unitaria) quelle esigenze che i sunnominati orientamenti tentavano invano di mediare sul piano speculativo.

Il contributo del valtellinese alla pedagogia antidealistica non sembra dunque potersi ridurre alla fondazione della Rivista pedagogica; ché l’Herbart si delinea come un “passaggio” di non trascurabile rilevanza nel suo stesso costituirsi, nella genesi di quella riflessione educativa dal grembo di esperienze di pensiero che stentavano a reperire una dimensione nella quale esprimere al meglio le loro potenzialità teoriche. L’assenza di uno studio sistematico sulla “circolazione” del pensiero di Herbart, vuoi filosofico vuoi pedagogico, nella cultura italiana fra ‘800 e ‘900, che raccolga quanto qui sin emerso relativamente a singoli contesti (la penetrazione nell’ambiente universitario pavese attorno alla metà dell’800), e a singoli pensatori (Spaventa, Tocco, Bonatelli, Fornelli e, soprattutto, Labriola) 19, impedisce di valutare l’effettiva entità dell’impatto che l’opera del valtellinese ebbe ad esercitare in questa direzione: certo è che ebbe una notevole diffusione, e si deve più che altro ritenere, stando a giudizi anche relativamente recenti, e comunque autorevoli, sullo spessore dell’interpretazione offerta da Credaro della riflessione educativa dell’oldenburghese, che sottolineano con la massima fedeltà ai testi e alla lezione di Herbart una scarsa rielaborazione critica, che il volume fosse più che altro concepito per espletare una funzione divulgativa. Tuttavia, come risposta a un bisogno latente, ma diffuso, nel senso più sopra indicato, La peda­gogia di G. F. Herbart dovette quantomeno stimolare quel rinnovato interesse per il grande filosofo di Oldenburg, che doveva sfociare, nei più significativi esponenti del fronte, nel recupero e nell’utilizzo, sia pure critico e “kantianamente” mediato, dei cardini concettuali della sua riflessione educativa (l’articolazione del discorso pedagogico fra etica e psicologia, il primato assegnato alla formazione del carattere morale, l’impostazione intellettualistica del rapporto fra istruzione ed educazione, la classificazione degli interessi e l’organamento dei processi d’apprendimento in modo da promuoverne la multilateralità, ecc.)

1 Franco Cambi, L’educazione tra ragione e ideologia. Il fronte antidealistico della pedagogia italiana 1900-1940, Milano, Mursia, 1989

2 Cfr. F. Cambi, Neokantismo e teoria pedagogica in Italia tra le due guerre, in C.I.R.S.E., Problemi e momenti di storia della scuola e dell'educazione, Pisa, ETS, 1982, pp. 281-285; Giorgio Chiosso, L'educazione nazionale da Giolitti al primo dopoguerra, Brescia, La Scuola, 1983; Id., Neokantiani ed herbartiani tra positivisti e idealisti, in Nuova Secondaria, n. 2, 15 ottobre 1987, pp. 22-24 (ma il tema circola largamente in tutto l'inserto, dal titolo Educazione e società nell'Italia tra Otto e Novecento, nel quale è inserito il contributo dello studioso torinese, pp. 19-34 e 41-56 del fasc. cit.); Id., La questione educativa nel neokantismo italiano, in Idee, a. III, n. 7/8, gennaio-agosto 1988, pp. 41-54. Quanto alla denominazione di fronte antidealistico, si vuole, per inciso, far notare che questa esperienza teorica si avvia e prende corpo nell’età giolittiana, in parallelo a quella dell’attualismo (non già, pertanto, di fronte ad un “avversario” già ben delineato); e ancora che l’atteggiamento di contrapposizione rigida che la stessa sembra implicare non può essere attribuito agli esponenti di questo orientamento, che anzi sin dai toni dei loro interventi se ne tennero, in genere, distanti, e che comunque, pur nei momenti di più vivace polemica, si mostrano attenti alle ragioni della controparte, ma, in verità, proprio a quest’ultima.

3 Sulla Rivista pedagogica v. in Remo Fornaca, Pedagogia italiana del Novecento, Roma, Armando, 1978, le pp. 157-158; G. Chiosso, L'opposizione democratica alla riforma Gentile. Il caso della «Rivista Pedagogica», in Opposizioni alla riforma Gentile, in Quaderni del Centro Studi "Carlo Trabucco", 1985, pp. 115-152; ed ancora il cap. III del cit. saggio di Cambi L'educazione tra ragione e ideologia...; e si potrebbe includere in questo elenco ancora G. Chiosso, Giovanni Calò e il realismo pedagogico tra gli anni Venti e Trenta, in Pedagogia e Vita, 1984/85, n. 4, pp. 411-434, ove si tratta, in verità estesamente, delle vicende della Rivista, anche se chiaramente in sott'ordine rispetto a quello che rappresenta l'argomento fondamentale del contributo.

4 Per l’interpretazione delle vicende della filosofia italiana del tempo, ma anche dei decenni immediatamente precedenti e successivi, un punto di riferimento fondamentale è rappresentato dagli scritti di Eugenio Garin: La filosofia italiana tra '800 e '900, Bari, Laterza, 1963; Cronache di filosofia italiana 1900/1943. In appendice, 15 anni dopo, 1945/1960, 2 voll., Bari, Laterza, 1966; Storia della filosofia italiana. Terza edizione con una nuova appendice bibliografica. Volume terzo, Torino, Einaudi, 1978; Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l'Unità, Bari, De Donato, 1983; Intellettuali italiani del XX secolo. Nuova edizione, Roma, Editori Riuniti, 1987. Sempre su questo “lungo periodo”, che è quello di cui qui si tratterà, ma per le sue più generali coordinate culturali, cfr. Alberto Asor Rosa, La cultura (Dall’Unità all’età giolittiana), in Storia d’Italia Einaudi, Dall’Unità a oggi. Volume undicesimo, Torino, Einaudi, 1975. Ma si può v. ancora, ad es., per il passaggio di secolo, Augusto Guerra, Il mondo della sicurezza. Ardigò, Labriola, Croce, Firenze, Sansoni, 1963; e Nadia Urbinati, Alberto Meschiari, Maurizio Viroli et alii, Studi sulla cultura filosofica italiana fra Ottocento e Novecento, Bologna, CLUEB, 1982 (da tenere presente per quanto si dirà poi su “post-positivisti” e neokantiani); sul piano della circolazione delle idee, Luisa Mangoni, Una crisi fine secolo. La cultura italiana e la Francia fra Otto e Novecento, Torino, Einaudi, 1985; su quello dell’atmosfera culturale, La cultura italiana tra ‘800 e ‘900 e le origini del nazionalismo. Atti del congresso tenuto a Firenze nel 1979, Firenze, Olschki, 1981.

5 Sulla Rivista di filosofia e scienze affini cfr. Vincenzo Milanesi, Marchesini e il dibattito sul ‘determinismo’ nella ‘Rivista di filosofia e scienze affini’, in Sul pensiero di Giovanni Marchesini (1868-1931), numero monografico della Rivista critica di storia della filosofia, a. XXXVII, n. 4, ottobre-dicembre 1982, pp. 417-429 (il contributo è stato poi ripubblicato in Id., Prassi e psiche. Etica e scienze dell’uomo nella cultura filosofica italiana del primo Novecento, Trento, Verifiche, 1983, pp. 117-133; nello stesso volume è anche da v. Filosofia, psicologia e ‘metafisica critica’: linee tematiche e dibattito teorico sulle riviste del positivismo italiano (1881-1914), pp. 67-115); per gli aspetti di teorizzazione pedagogica cfr. G. Chiosso, Questioni educative e scolastiche nella ‘Rivista di filosofia e scienze affini’, in Pedagogia e vita, s. 45, n. 6, agosto-settembre 1984, pp. 619-644.

6 Sulla Rivista filosofica v. l’antologia curata da P. Guarnieri, La “Rivista filosofica” (1899-1908). Conoscenza e valori nel neokantismo italiano, Firenze, La Nuova Italia, 1981.

7 Per quanto concerne il neoidealismo, limitandosi a Gentile e a quella che può essere definita la renaissance degli studi sul filosofo di Castelvetrano dello scorso decennio, in occasione della ricorrenza del cinquantenario della sua scomparsa, si possono menzionare anzitutto le biografie di Sergio Romano, Giovanni Gentile: la filosofia al potere, nell’edizione integrata del 1990 (Milano, Bompiani), e di Gabriele Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze, Giunti, 1995 (che rappresenta l’esito conclusivo di una serie di studi di Turi su Gentile come politico e organizzatore di cultura); i fondamentali studi di Sergio Natoli, Giovanni Gentile filosofo europeo, Torino, Bollati Boringhieri, 1989, di Augusto Del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1990, e di Gennaro Sasso, Filosofia e idealismo. II. Giovanni Gentile, Napoli, Bibliopolis, 1995; gli atti delle le assise di studio dedicate a Gentile, M. I. Gaeta (a cura di), Giovanni Gentile. La filosofia, la politica, l’organizzazione della cultura, Atti del Convegno organizzato dal Comune di Roma, 21-22 maggio 1994, Venezia, Marsilio, 1995; i fascicoli speciali di riviste come Croce e Gentile un secolo dopo, numero monografico delGiornale critico della filosofia italiana, serie VI, vol. XIV, a. LXXIII (LXXV), n. 2-3, maggio-dicembre 1994 (in cui si segnala M. Ferrari, Gentile ritrovato? Note sui più recenti studi gentiliani, pp. 489-528, e B. Croce - G. Gentile. Bibliografia 1980-1993, a cura di Sara Bonechi, pp. 529-533, su Gentile pp. 632-660, Giovanni Gentile a cinquant’anni dalla scomparsa, con interventi di Annamaria Camizzi, Hervé Cavallera, Michele Del Vecchio, Antimo Negri, Carlo Sini, a cura di Riccardo Ruschi, in L’informazione filosofica, a. IV-V, n. 22-23, dicembre 1994-febbraio 1995, pp. 4-16 e l’altro fascicolo monografico del Giornale critico su Gentile del gennaio-agosto 1999 (serie sesta, vol. XIX, a. LXXVIII (LXXX), n. 1-2. Per la visuale pedagogica gentiliana, sono da vedere, fra gli altri, Giovanni Gentile. 1° Convegno Internazionale di Studi “Giovanni Gentile e la pedagogia come scienza filosofica, organizzato dall’ASSI, Montecatini Terme (Pistoia), Roma, Editoriale BM Italiana, 1994; il già cit. testo, pure legato ad un convegno, curato da G. Spadafora, e ancora Antimo Negri, Giovanni Gentile educatore. Scuola di Stato e autonomie scolastiche, Roma, Armando, 1996 (di Negri vanno altresì rammentati i due voll. su Giovanni Gentile, Firenze, La Nuova Italia, 1975 e L'inquietudine del divenire, Firenze, Le Lettere, 1992) e Hervé Cavallera, “La parte e il tutto”. L’immagine della pedagogia attualistica a fine Novecento, in I problemi della pedagogia, a. XXXVIII, n. 2-3, marzo-giugno 1992, pp. 177-192, e ancora Attualità di Giovanni Gentile, in I problemi della pedagogia,, a. XL, n. 1-2, gennaio -aprile 1994, pp. 1-8. Pure da menzionare è Giovanni Gentile e l’educazione degli italiani, scritti di F. Cambi, G. Chiosso, Francesco De Vivo, M. Ostenc, L. Pazzaglia, R. S. Di Pol, in Nuova secondaria, n. 7, 15 marzo 1989, pp. 25-39, 49-54.

8 Sulla Rivista di Marchesini, in particolare, Credaro curò una Rassegna di pedagogia, a lui intitolata, dal marzo-aprile 1904 al novembre-dicembre 1905. La rubrica, tuttavia, apparve con una certa discontinuità e con scarsissimi contributi dello stesso Credaro.

9 A proposito del quale si rammenta l’appena cit. numero monografico della Rivista critica di storia della filosofia.

10 Sul neokantismo italiano sono da vedere, anzitutto, Luciano Malusa>, La storiografia filosofica italiana nella seconda metà dell’Ottocento. I, Tra positivismo e neokantismo, Milano, Marzorati, 1977, M. Ferrari, I dati dell'esperienza. Il neokantismo di Felice Tocco nella filosofia italiana tra Ottocento e Novecento, Firenze, Olschski, 1990 e Id., Il neokantismo italiano tra storiografia ed etica, in Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, I filosofi e la genesi della coscienza culturale della “nuova Italia” (1799-1900). Stato delle ricerche e prospettive di interpretazione. Atti del Convegno di Santa Margherita Ligure 23-25 ottobre 1995, a cura di L. Malusa, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1997, pp. 287-299 (e di Ferrari è pure da vedere Lettere di Felice Tocco a Carlo Cantoni (1860-1900), in Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere “La Colombaria”, vol. XLVIII, nuova serie – XXXIV, anno 1983, pp. 147-203). Sul “Ritorno a Kant” in Italia, nei suoi rapporti con le origini del neoidealismo, si sofferma Piero Di Giovanni nel suo Kant ed Hegel in Italia, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli, 1996, mentre Italo Cubeddu, in Herbart e Kant. Letture, Urbino, Editrice Montefeltro, 1994, nell’ambito di uno studio d’impronta prettamente teoretica, analizza i rapporti tra Kant e il neoidealismo da Spaventa a Gentile (cfr., ivi, le pp. 144-163). Vittorio d’Anna, in Kant in Italia, Bologna, CLUEB, 1990, esamina invece le Letture della Critica della Ragion Pura 1860-1940 di matrice, in senso ampio, “neokantiana”. Ancor più ampio è l’arco temporale considerato in Università di Messina. Istituto di Filosofia “Adelchi Attisani” - Facoltà di Lettere; Istituto di Filosofia “Galvano Della Volpe” – Facoltà di Magistero; Società Filosofica Italiana – Sezione di Messina, La tradizione kantiana in Italia, vol. I, Messina, Edizioni G.B.M., 1986, che ripercorre, in pratica, la parabola della filosofia kantiana nel nostro Paese dal primo Ottocento al secondo dopoguerra.

11 Gli studi italiani sul “Ritorno a Kant” in terra tedesca, e sulla successiva, originale rielaborazione del criticismo nelle “scuole” di Marburgo e del Baden, non sono, per la verità, molto numerosi: ma si può far riferimento a Mariano Campo, Schizzo storico della esegesi e critica kantiana. Dal “ritorno a Kant” alla fine dell’Ottocento, Varese, Magenta, 1959; Stefano Poggi, I sistemi dell’esperienza. Psicologia, logica e teoria della scienza da Kant a Wundt, Bologna, Il Mulino, 1977; Gianna Gigliotti, Il neocriticismo tedesco, Torino, Loescher, 1983; Massimo Ferrari, Introduzione a il neocriticismo, Roma-Bari, Giuseppe Laterza & Figli, 1997. Pure da vedere è Pietro Rossi, Lo storicismo tedesco, Torino, U.T.E.T., 1977.

12 Giovanni Gentile, Le origini della filosofia con­temporanea in Italia, vol. I, I Platonici, Messina, Principato, 1917; vol. II, I Positivisti, Messina, Principato, 1921; vol. III, I neokantiani e gli hegeliani, parte I, Messi­na, Principato, 1921; parte II, Messina, Principato, 1923. Com’è noto, in questi volumi Gentile raccoglieva saggi già pubblicati sulla Critica di Croce.

13 È ripresa qui l’intitolazione del volume collettaneo curato da L. Malusa precedentemente citato.

14 Su questo concetto chi scrive ha particolarmente insistito nel suo Luigi Credaro e la “Rivista Pedagogica” 1908-1939, in Scuola e città, a. XLIV, n. 7, 31 luglio 1993, pp. 273-280, che si permette di richiamare.

15 Fra l’altro a Pavia, dal 1881, assunse l’in­carico di Filosofia Morale l’altro “neokantiano” Giacomo Barzellotti.

16 Per la “circolazione” di Kant in Italia nel primo Ottocento sono da vedere, in particolare,Franco Zambelloni, Le origini del kantismo in Italia, Milano, Marzorati, 1971 e Gianfreda Marconi, Figure di ideologi e interpretazioni kantiane, Varese, La Tecnografica, 1989. Centrato, fondamentalmente, su questo periodo, trattando un tema che poi caratterizzerà il “neokantismo”, è poi Emilio Gattico, Logica e Psicologia nella cultura italiana del XIX secolo. Un tema di Epistemologia Genetica: analisi storico-critica della letteratura filosofica minore, Firenze, La Nuova Italia, 1995.

17 Cfr., su Credaro storico del kantismo in Italia, F. Zambelloni, op. cit., pp. IX, 59, 103, 178, 185, 272, 277, 284, 318, che rileva alcune inesattezze e critica alcune interpretazioni dell’Alfonso Testa...; E. Garin, Storia della filosofia italiana, cit., p. 1099, che giudica “affatto insufficiente [...] quanto [...] scrisse il Credaro [...] sui primordi del kantismo in Italia” G. Marconi, op. cit., pp. 11, 12, 31, 43, nel quale vengono semplicemente riportate le opinioni negative di Credaro sulle traduzioni della Critica della Ragion Pura, in latino e in italiano, precedenti al 1835; M. Ferrari, I dati dell’esperienza..., cit., pp. 189n., 288 e n., 289 e n., 290 e n., 416 e n., che insiste sugli esordi di Credaro, di stretta ascendenza cantoniana, e giudica “invero non eccelse” le sue pagine su Alfonso Testa. L. Malusa, nel suo La storiografia filosofica..., cit., pp. 643-652, si sofferma, principalmente, sulla prolusione letta dal valtellinese nel 1889 a Pavia, Il passato e il presente della storia della filosofia, esponendone il contenuto senza esprimere valutazioni. Diversi appaiono i giudizi su Lo scetticismo degli Accademici, che è stato ristampato in anagrafica nel 1985 dall’Istituto Editoriale Cisalpino di Milano, nella collana “Testi e interpreti del pensiero antico” (n. 2), diretta da Fernanda Decleva Caizzi, la quale, nella sua Premessa (ivi, pp. V-VII) esprime lusinghiere valutazioni dell’opera; e v. anche il successivo L. Chiesara, Luigi Credaro e”Lo scetticismo degli Accademici”, in Rivista di storia della filosofia, XLIII, 1988, pp. 479-500.

18 Cfr. L. C., Il Kantismo in G. D. Romagnosi. (Contributo alla storia del Kantismo in Italia), in Rivista italiana di filosofia, a. II, vol. II, n. 1, luglio-agosto 1887, p. 53 [pp. 34-60].

19 Per le notizie sull’herbartismo a Pavia (interessanti, considerando che qui, sebbene diversi anni più tardi, si formò Credaro), cfr. Alessandro Casati, Per la storia delle idee: l’herbartismo in Lombardia, in La Lombardia nel Risorgimento Italiano. Bollettino Trimestrale del Comitato Regionale Lombardo della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano, a. I, n. 1, marzo 1914, pp. 24-27. Sulla filosofia dell’oldenburghese si possono menzionare i lavori di Renato Pettoello, Idealismo e realismo. La formazione filosofica di J. F. Herbart, Firenze, La Nuova Italia, 1986, e Introduzione a Herbart, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli, 1988; e ancora quelli di Ignazio Volpicelli, Esperienza e metafisica nella psicologia di J. F. Herbart, Roma, Armando, 1982, e J. F. Herbart e l’estetica, Milano, Marzorati, 1985. Sulla pedagogia herbartiana è centrale Bruno M. Bellerate, La pedagogia in J. F. Herbart. Studio storico-introduttivo, Roma, LAS, 1970, e va pure menzionato J. F. Herbart 1841-1991, numero monografico de I problemi della pedagogia, a. XXXVIII, n. 6, novembre-dicembre 1992, pp. 553-716, curato dal già menzionato R. Pettoello. Per un’inquadramento della problematica della penetrazione del pensiero di Herbart in Italia è da vedere Alberto Meschiari, Per una storia dell’herbartismo in Italia, in Rivista di Filosofia. Quadrimestrale. Vol. LXXI, fasc. I, febbraio 1980 /n. 16/, pp. 98-124; sugli interessi di Spaventa per Herbart v. Nicola Siciliani de Cumis, Herbart e herbartiani alla scuola di Bertrando Spaventa, in Id., Studi su Labriola, Urbino, Argalìa, 1976, pp. 89-161; per quelli di Tocco Giovanni Landucci, Studi su Herbart: un inedito di Felice Tocco. Appunti sull’herbartismo in Italia, in Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria, vol. XLVIII, nuova serie – XXXIV, anno 1983, pp. 87-146. Nel caso di Antonio Labriola, sono noti i forti contrasti esistenti in sede interpretativa circa i rapporti fra la fase herbartiana del suo pensiero, fra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso (v. Antonio Labriola, Ricerche sul problema della libertà e altri scritti di filosofia e di pedagogia, Opere, a cura di Luigi Dal Pane, III, Milano, Feltrinelli, 1962), che aveva fatto seguito al giovanile hegelismo, e la successiva teorizzazione marxista: fra chi accentua la continuità fra i due momenti v’è ad es. S. Poggi, Antonio Labriola. Herbartismo e scienze dello spirito alle origini del marxismo italiano, Milano, Longanesi, 1978; Introduzione a Labriola, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli, 1982. Poggi ha fra l’altro offerto nell’antologia Immagine dell’uomo e prospettive educative da Lessing ad Herbart, Torino, Loescher, 1978, un interessante quadro dei rapporti fra riflessione filosofica e educativa in Germania fra ‘700 e ‘800, sino all’approdo herbartiano; così come nell’altra antologia Le origini della psicologia scientifica, Torino, Loescher, 1980, ha illustrato come a partire dalla reimpostazione dei rapporti fra “fisico” e “mentale”, in Cabanis, Maine de Biran, James Mill e lo stesso Herbart, attraverso l’affermazione del materialismo e della fisiologia, e dell’empirismo positivistico, si giunga alla psicologia fisiologica di Helmholtz e Wundt. È chiaro comunque come la filosofia herbartiana “percorra” tutto l’800 in un intreccio sovente complesso con lo sviluppo di nuove prospettive filosofiche e scientifiche (si pensi alla linguistica e alla “psicologia dei popoli” di Lazarus e Steinthal): “partecipandovi” in una misura che però, specie riguardo al nostro Paese, non è stata ancora adeguatamente valutata.

20 E. Garin, nella sua cit. Storia della filosofia italiana, p. 1249, riconosce all’opera di Credaro un apporto alla divulgazione dell’herbartismo pedagogico in Italia superiore a quello degli scritti di Nicola Fornelli (v. i suoi primi scritti sul tema Esposizione generale delle teorie pedagogiche di Herbart e della sua scuola. Estratto dalla Rivista italiana di filosofia. Anno I. Vol. II, Roma, Tip. della R. Accademia dei Lincei, 1886, e Il fondamento morale della pedagogia secondo Herbart e la sua scuola. Estratto dalla Rivista italiana di filosofia. Anno II. Vol. III, Roma, Tip. della R. Accademia dei Lincei, 1886 [ma 1887]). Quanto alle valutazioni più recenti dell’opera, si può menzionare Bruno M. Bellerate che nell’op. cit., alle p. 57-58, parla del “notevole studio del Credaro, al quale”, però, “la troppa ammirazione per Herbart ha fatto velo”. Il lavoro del valtellinese “a un occhio meno attento” può apparire “completo, acuto nelle sue esegesi e obiettivo”, ma “in verità sfugge e i problemi e le difficoltà”, non solo “quelle che appaiono inevitabili nell’Autore”, ma anche “quelle che potrebbero, con un’adeguata ricerca, approdare a una sufficiente chiarezza”; ma ha anche “dei meriti innegabili, per il suo tempo: primo tra tutti quello della perspicuità e sistematicità nel cogliere ed evidenziare nessi e dipendenze tra le varie tesi herbartiane, sebbene possa apparire, a una prima lettura, più preoccupato della pratica educativa che fondato su testi dell’Autore”. E in conclusione Bellerate ricorda che “ il volume ha comunque goduto di un notevole successo”. Ci permettiamo di aggiungere che forse il problema di fondo di questo testo è nel difficile equilibrio fra finalità scientifica e divulgativa, “didattica”. (Continua)

 

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