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L'Editoria italiana del Novecento: Angelo Fortunato Formiggini, la cultura e il riso
di Carlotta Padroni

1. La Vita

Nella cultura della prima metà del Novecento la figura e l’opera di Angelo Fortunato Formiggini, così ricche di tensioni e di significato, occupano un posto di rilievo poliedrico. Chi era veramente Formiggini e quali furono i tratti umani e culturali più profondi del personaggio che nell’iconografia più diffusa ora sorride con ironia, ora guarda con pensosa tristezza? Questi i primi interrogativi da cui muovere per cercare di delineare la figura di Formiggini, attraverso la sua vicenda personale, segnata dall’ascendenza familiare, dalla condizione di ebreo nell’Italia del primo Novecento, e contemporaneamente tendere a cogliere le motivazioni e il senso della sua attività, studiando il quadro culturale della sua “piccola patria”, per seguire poi le diverse fasi della attività editoriale, rapportandole alle vicende generali della società italiana in quei decenni di sviluppo ma anche di profonde e drammatiche lacerazioni culturali e politiche.

Di lui filosofo, uomo di pensiero, animatore culturale, editore, l’attività è oggi ricordata negli aspetti insoliti delle realizzazioni, nei meriti delle proposte, nella forte convinzione che sosteneva il suo disegno filosofico atipico e stimolante ad un tempo.

Un “privato editore dilettante”: così amava ironicamente definirsi Angelo Fortunato Formiggini, compiacendosi di quella modesta dose di ambiguità che l’espressione sapeva generare; in realtà la sua produzione libraria non ha mai smentito la fondamentale artigianalità cui è improntata la politica della sua casa editrice: si tratta infatti di poco meno di seicento titoli complessivamente organizzati in collane o pubblicati singolarmente, cui però vanno aggiunte le annate delle riviste che egli editò con cura ed impegno.

Nonostante il non esorbitante numero di pubblicazioni, diluite nell’arco dei trent’anni di vita della casa editrice (1908-1938), la produzione formigginiana occupa uno spazio assai significativo nella vita della cultura italiana della prima metà del Novecento per il credito culturale che il titolare ha saputo conquistarsi grazie al peso delle scelte e il gusto delle realizzazioni; considerando inoltre che tale periodo è percorso da forti, intense e addirittura esplosive problematiche politiche, sociali, culturali si può con legittimità affermare che Formiggini fu un interprete fra i più attivi di “quella stagione senza certezze [...] -tratteggiata in maniera esemplare da Eugenio Garin al convegno di Modena del 1980- che aveva visto scatenarsi guerre e rivoluzioni destinate a segnare il suicido d’Europa”.

Angelo Fortunato Formiggini nacque il 21 giugno del 1878, ultimo di cinque figli, nella villa avita di Collegara presso Modena; lo racconta egli stesso nel Preludio autobiografico che apre La ficozza filosoficadel fascismo, l’opera in cui matura il suo rapporto con l’attualismo gentiliano, sostenendo ironicamente che la sua vita comincia con un falso in atto pubblico” (A. F. Formiggini, "La ficozza filosofica del fascismo, Roma, Formiggini Editore, 1924, p.7) perché negli uffici anagrafici della sua città figura come nato in Modena: “il denunciarmi come nato in campagna sembrò forse ai miei una diminuzione di dignità per chi avrebbe, un giorno, dovuto scrivere la propria autobiografia” (ivi, p. 7). In realtà l’Editore avrebbe dedicato più di un flash alla ricostruzione della propria vicenda biografica e a quella relativa alla famiglia cui apparteneva. Infatti la Biblioteca Estense di Modena custodisce documenti della famiglia Formiggini dal 1629 al 1955, raccolti dallo stesso Angelo Fortunato fino alla sua morte avvenuta nel 1938, e in seguito dalla moglie Emilia Santamaria, che si è occupata della sistemazione e dell’assetto dell’ingente materiale; questo costituisce oggi l’Archivio familiare Formiggini, colonna portante del Fondo Formiggini, tuttora presente nella Biblioteca Estense e da circa vent’anni accessibile al pubblico. A tale raccolta documentaria l’Editore attribuiva particolare significato, pari o forse superiore a quello che egli accordava alle proprie “creature concettuali” prodotte in trent’anni di attività editoriale. Lo dichiara espressamente nel 1932 in una lettera inviata all’amico Domenico Fava, allora direttore della Biblioteca Estense. Nel documento fa riferimento alla sistemazione della Miscellanea di opuscoli già donata alla biblioteca, anticipandogli che “per l’Archivio della Famiglia Formiggini, che furono per due secoli i gioiellieri di fiducia degli Estensi, farò una cosa a sé con particolare cura”. Ed ecco appunto le 23 “cassettine libro”, con dorsi di pergamena e iscrizioni in oro sul fondo rosso nella parte alta; il numero progressivo è al centro, mentre in basso figura un tondo recante una corona d’alloro con il motto “Amor et Labor vitast” che racchiude le iniziali A. F. F.; esso rimanda all’altro motto “Risus Quoque Vitaest”, simboli eloquenti entrambi dello spirito formigginiano.

L’origine illustre della famiglia è documentata inoltre dalla pubblicazione a stampa privata dell’opuscolo Archivio della Famiglia Formiggini (il cui manoscritto è collocato nella Cassetta 21 dell’Archivio familiare). In esso è contenuto tra l’altro l’albero genealogico della famiglia compilato a cura dello stesso Angelo Fortunato e nel quale l’autore mostra di dolersi per l’ingente perdita del più vasto archivio storico di famiglia comprendente anche tutti gli antichi atti contabili della ditta.

L’interesse per l’Archivio familiare è peraltro espresso in due lettere dello stesso editore il quale, nato nel seno di un’agiata, operosa ed illustre famiglia ebraica modenese, non rinuncia a manifestare la sua ansia di integrazione.

La prima lettera è del 17 settembre 1938 ed è indirizzata a Pavolini, Ministro della Cultura Popolare, come risposta ad una lettera riservata del 15 settembre. Formiggini vi sostiene con amara ironia essere stato “il problema razzista sempre remoto dalle mie categorie mentali come tutta la mia vita chiaramente lo dimostra”; ed informa: “Affiderò all’Estense di Modena la conservazione dell’archivio della mia famiglia, della quale io sono l’ultimo e definitivo discendente. Tale archivio documenta, risalendo nel tempo per oltre tre secoli, la cittadinanza modenese e la mai smentita onestà della sua gente, ma la italianità dei Formiggini risale ben oltre la documentazione storica”.

La seconda lettera è indirizzata al Ministro per l’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, e per conoscenza al direttore della biblioteca Conte Gnoli, il 24 ottobre 1938, nel momento più drammatico della sua esistenza, in uno dei più tristi e bui per la società italiana; sono i giorni in cui, in quest’uomo civilissimo, stava maturando la decisione di togliersi la vita; il gesto, lucidamente meditato, avrebbe rappresentato un atto di protesta nei confronti della “campagna razzista” avviata dal regime fascista il 27 giugno 1938. Egli infatti a poco più di un mese dalla morte, “a gioco finito”, “liquidando” volontariamente la propria attività per restituire alla “diletta famigliola” la purezza ariana, riconferma con forza la sua “intenzione di destinare tutto ciò che potrà ancora recuperare da tanto dispendio e fatica, alla Biblioteca Estense di Modena”. E non casualmente l’enumerazione inizia dalla “conservazione del mio archivio familiare che documenta onorevolmente che, per lo meno da 309 anni, i Formiggini sono modenesi, cioè italiani 7 volte”. Si tratta di un tema molto caro all’Editore, tanto da figurare nell’epigrafe arguta che egli stesso, “Modenese di sette cotte, uno dei meno noiosi uomini del suo tempo”, dettò nominando infine la Biblioteca erede dei suoi archivi e della “ Casa del Ridere”.

Con il titolo “Casa del Ridere” Formiggini identifica la Biblioteca, di cui sottolineò sempre il carattere privato, composta da 4581 volumi che egli aveva messo insieme negli anni. La raccolta comprende trattati, anche stranieri, sull’umorismo, sul grottesco, sul comico e sul riso, databili tra Ottocento e Novecento; include inoltre classici in edizione originale risalenti fino al XVI secolo. Di grande interesse risulta la raccolta di 195 periodici e giornali umoristici, antichi e moderni, italiani e stranieri. “Una specie di biblioteca e di museo di tutto ciò che è attinente al Ridere, senza limiti di tempo e di geografia” così definiva l’Editore questa iniziativa, in cui “avranno giusta collocazione e adeguata valutazione tutte quelle espressioni gioconde di vita e di pensiero a cui i filosofi e la gente seria non annettono la dovuta importanza, ma che costituiscono il chiaroscuro che dà risalto alla vita e maggiore perspicuità alla storia” (A. F. Formiggini, "La ficozza filosofica del fascismo", Roma, Formiggini Editore, 1924, p. 321).

Il giovane Formiggini si fa conoscere, in quegli anni di fine secolo, come animatore di cenacoli culturali, poeta dialettale ed estroso, scrittore sensibile alla dimensione locale della cultura, e poi, in una prospettiva internazionale, come membro dell’Associazione Universitaria “Corda Fratres”, associazione di stampo radical-massonico fra studenti che si batte “per la concorde unione di popoli diversi e lontani”, per promuovere il trionfo di comuni valori umani.


 

 

 

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