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L'Albero della genitorialità
di Anna D'Andretta |
2. Capitolo I Ruolo e Funzione dei Genitori
2.1
Genitori Responsabili
LUE
nel 1985, riconoscendo il figlio come soggetto sui iuris, ha attribuito ai genitori
la responsabilità parentale, ossia il dovere di essere genitore che va a
sostituire il precedente concetto di patria potestà, ovvero il potere dei genitori
sui figli.
Responsabilità
parentale significa che i genitori sono chiamati ad essere adulti e a valere come
esempi, positivi e propositivi, di identificazione, per i propri figli. Si tratta, quindi,
di abbandonare comportamenti arbitrari e dittatoriali, espressioni della mentalità
secondo cui il figlio è mero prolungamento del genitore. Al contrario, bisogna adottare
lautorevolezza necessaria per instaurare relazioni autentiche di fiducia e di stima
e non di semplicistica esecutività e subordinazione. Il figlio, infatti, non è più da
considerare un piccolo adulto, ma un soggetto che ha diritto a cure affettive, ad
attenzioni utili per la sua crescita e ad una formazione globale atta a consentirgli
lindividuazione e la conseguente autoregolamentazione per linserimento nella
società complessa.
I
genitori possono gettare le basi dellindividuazione quando riescono a consentire ai
propri figli la "nascita" psicologica, ovvero la capacità di separarsi, dalla
madre prima e dal padre poi, riuscendo a crearsi un proprio modello di vita. Questo,
tipicamente individuale, è la risultante di ciò che è stato seminato, della qualità
del terreno, degli agenti atmosferici e, naturalmente, di come e quanto è stato raccolto.
Linfanzia, infatti, per Jung è un "viaggio verso lindipendenza",
che si attua attraverso la separazione ed il superamento delle proprie radici. Tale
distacco avviene mediante uno stato di abbandono alquanto doloroso. Vivere questo stato di
abbandono richiede una forza che solo i due genitori possono assicurare con unazione
di contenimento e di sostegno.
La
responsabilità, inoltre, implica la distinzione dei ruoli tra genitori e figli: i
genitori devono sottolineare la propria funzione educativa e non solo quella banalmente
amicale, per assicurare ai figli il riferimento indispensabile per crescere.
Fernando
Savater commenta la grave confusione attuale dei ruoli operata dai genitori e dice che: Essi
si rifiutano di assumersi la responsabilità del mondo in cui hanno introdotto i propri
figli.[1]
La
trasformazione da patria potestà a responsabilità parentale è altresì il frutto
dellevoluzione culturale del concetto di genitorialità.
La
responsabilità è condivisa da entrambi i genitori in virtù della rivalutazione
culturale e pedagogica dei due ruoli. Tali ruoli non sono più rigidamente connessi ai due
sessi, ma si completano anche con la reciproca interscambiabilità e complementarietà,
facendo comunque attenzione al processo di identificazione e alla chiarezza dei confini e
delle regole concordati tra i due.
Winnicott
ci ha trasmesso che il mestiere di genitore nasce in una coppia quasi per gioco; solo col
tempo essi comprendono le difficoltà che il ruolo comporta. La coppia per divenire
genitore deve essere consapevole di avviare un nuovo processo che si distingue, anche se
si intreccia, da quello coniugale. Il processo genitoriale comincia con il concepimento,
si evolve e si trasforma con lo sviluppo del figlio, scandendo le varie fasi del suo ciclo
di vita, il quale, a sua volta, si interseca con quello familiare. Tale processo non
coinvolge la personalità di uno solo dei coniugi, bensì investe entrambi i genitori con
la loro relazione e quella del figlio. La genitorialità diventa così una funzione
molto complessa alla cui costruzione contribuiscono sia il genitore che il figlio, e
sicuramente attiene alla coppia dei genitori e non ad uno solo di essi. [2]
Questa
funzione attiene solitamente alla coppia, ma non è sempre così, in quanto può essere
svolta anche da altri membri appartenenti o rientranti nel nucleo:
Essa
è sia una funzione della mente che lespressione dellinterazione tra due o
più persone solitamente (ma non sempre) identificate nella coppia dei genitori
nellambito di una famiglia nucleare.[3]
Lessere
genitori richiede altresì la consapevolezza che tale funzione - la genitorialità -
investe unarea interna ed una esterna.
Larea
interna riguarda i modelli genitoriali introiettati dai rispettivi coniugi, nonché le
loro parti infantili che ritrovano nel figlio.
Larea
esterna è invece rinvenibile nel rapporto complementare esistente tra i coniugi e
nella capacità di modificarsi con la crescita del figlio e con le diverse risposte che
questi invia.
Il
modello genitoriale di una coppia non funziona sicuramente come quello di unaltra,
né può rimanere costante e rigido man mano che il bambino cresce: le esigenze cambiano e
le risposte e le attenzioni devono essere rivisitate e modificate, talvolta anche in tempi
molto veloci, onde evitare larresto della crescita o fratture difficilmente
recuperabili.
E
importante precisare che la genitorialità si esprime sulla base della capacità
relazionale ed affettiva costruita dalla coppia che trasmette poi al bambino.
Lorganizzazione
affettiva e la rete di relazioni ad essa connessa rappresentano infatti una delle più
importanti fonti della costanza del Sè dando continuità alla nostra esperienza
nonostante tutti i cambiamenti e le ripetute trasformazioni a cui si va incontro nel corso
dello sviluppo.[4]
Un
altro elemento auspicabile della genitorialità responsabile è che i genitori imparino a
distinguere il figlio reale dal bambino idealizzato dalle loro fantasie, dai loro bisogni
e dalle loro aspettative. Questa distinzione è importante non perché si possa o si debba
eliminare il bambino fantasticato, ma perché la consapevolezza di quello reale permette
un adattamento e delle garanzie pedagogiche coerenti e rispettose delle diverse fasi
evolutive del figlio.
Il
processo genitoriale non si declina come quello coniugale in quanto, mentre nella
coniugalità la dimensione dellaffettività è data dalla distinzione, prima, e
dallunificazione, poi, degli opposti maschile e femminile, nella genitorialità la
rappresentazione simbolica dellaffettività si esplica nel ruolo materno ed in
quello paterno che garantiscono e definiscono la crescita e lo sviluppo individuale del
bambino.
La genitorialità
ha, dunque, un obiettivo: la crescita e la formazione fisica, psichica e sociale di un
figlio, seguendo un preciso progetto che va definendosi nel tempo.
La
coniugalità, invece, persegue lelaborazione dellidea mentale di coppia,
[
] intesa come la
rappresentazione di una serie innumerevole di coppie che ci hanno preceduto o ci
circondano e che potremmo anche definire [
] il senso del noi.
Esso
presuppone anche una capacità di essere in coppia intesa come capacità
dinnamorarsi e successivamente di sostenere una relazione affettiva continuativa, e
una capacità di mantenere lintimità con unaltra persona senza essere confusa
con laltro.
Sul
piano interazionale questo termine mi sembra definisca piuttosto la natura e la qualità
della relazione complementare tra due persone.[5]
Anche
il processo coniugale si configura, dunque, come un progetto in evoluzione. Così un uomo
e una donna, dopo essersi costituiti in coppia, sognano di avere dei figli eccezionali.
Essi cercano di renderli tali educandoli alla voglia di conoscere, predisponendoli al
processo di individuazione, quasi come i punti e i colori dei dipinti di Mirò che si
evolvono in diverse forme originandone delle nuove.
2.2
La Funzione Paterna
Nel
passato il padre era [
] il signore incontrastato e incontrastabile del potere
economico e di quello esecutivo.[6]
Egli infatti impartiva direttive, trasmetteva valori, assegnava compiti; era il signore
della guerra, trasformava [
] la casa in una caserma, un luogo
cioè dove i figli imparavano a credere, obbedire e combattere senza tanto discutere.[7]
Il
padre tiranno introiettava norme ed informazioni esprimendosi dallalto senza
investire la propria persona nella relazione educativa. Aveva dunque una funzione
direttiva e annullava, per ignoranza e disinteresse, il ruolo pedagogico che avrebbe
dovuto essergli proprio.
Una
figura emblematica della letteratura teatrale è rappresentata dal padre-capitano, protagonista
de "Il padre" di Strindberg:
Capitano:
Stando alle leggi in vigore, i figli devono essere educati secondo le idee e le
convinzioni del padre.
Laura:
E la madre non ha nessuna voce in capitolo.
Capitano:
No, nessuna; essa ha legalmente alienato i suoi diritti in favore del marito, in cambio
dellobbligo di essere mantenuta assieme ai figli. [8]
Negli
anni 60, il padre ha cominciato a rivedere la sua funzione e i suoi ruoli nella
famiglia in virtù di una maggiore collaborazione, partecipazione e responsabilizzazione.
Ha cominciato ad entrare nella funzione educativa vera e propria, sostenendo e orientando
il figlio nel processo di familiarizzazione e integrazione con e nel mondo. Il nuovo padre
ha scoperto, nel corso di questi anni, il piacere di condividere la nascita del figlio con
la moglie, diventando così il custode del sogno di essere genitore, di vivere la
paternità crescendo insieme ai figli e apprendendo anche da essi. [
] Si è
andato a collocare in una posizione molto vicina a quella tradizionalmente occupata dalla
madre. [9]La "madre", in quanto
elemento portante della nostra condizione psichica, non subisce trasformazioni dovute al
tempo e alla storia, infatti le sue funzioni hanno il carattere dellimmutabilità;
mentre il "padre", rappresentando [
] la dimensione della coscienza e
del limite, la dimensione della realtà concreta e storica, nella quale soltanto è dato
allindividuo di vivere e operare[10],
è soggetto a mutare la sua funzione ed il suo ruolo con i diversi momenti culturali.
Eppure,
nonostante negli ultimi decenni si stia delineando limportanza della figura paterna
sullo sviluppo dei figli, pochi studi sono stati effettuati sulla sua funzione soprattutto
nella fase preedipica, quando questi determina la qualità della relazione bambino-madre.
Dalle
osservazioni di Greenacre (1966), di Abelin (1975) e di Mahler (1975), si evidenzia che il
bambino avverte la presenza del padre già nei primi mesi di vita. La qualità del ruolo
dipende, però, dal temperamento dei singoli genitori, nonché dalla loro relazione.
Comunque,
il riconoscimento precoce del padre comporta che la discriminazione dei genitori in due
entità distinte si verifica contemporaneamente ai processi di attaccamento e di
separazione relativi alla madre. Il padre deve essere attivo e deve inserirsi tra madre e
bambino quasi a sollecitare una presenza del mondo che sta al di fuori della loro
relazione. Insomma, limportante passaggio dallinterazione a due
allinterazione a tre deve essere considerato come un fenomeno molto precoce. [11]
Daltronde,
lo stesso Samuels definisce quei pazienti in cui il padre è stato assente,
"semivivi". La presenza del padre, come è stato già detto, è indispensabile
al fine di contenere emotivamente la sofferenza necessaria, dovuta alla separazione dalla
madre. Lassenza del padre, infatti, impedendo al figlio di avviarsi verso il
processo di individuazione, è la causa principale di ununione illusoria di
questultimo con la madre; essa è causa perciò di una "nascita"
incompleta del figlio, ovvero di una sua impossibilità a separarsi-individuandosi. Il
padre assolve così alla funzione di mediazione, di negoziazione emotiva, collocandosi tra
il legame primario del figlio con la madre, caratterizzato dallonnipotenza e dal
narcisismo infantile, e laccesso allo sviluppo dellidentità del figlio
stesso. A questo punto anche il padre svolge una funzione di rispecchiamento emotivo,
quindi psicologica, rappresentando il cosiddetto "padre interno".
Questultimo, secondo Samuels, assolve ad alcune funzioni di fondamentale importanza:
1)
la questione dellautorità personale e sociale;
2) levoluzione
degli ideali e dei valori;
3) lo
sviluppo della sessualità e dellidentità sessuale;
4)
il ruolo culturale e sociale. [12]
La
relazione tra padre e figlio si caratterizza anche sulle aspettative di questultimo
che il padre deve essere in grado di cogliere e soddisfare. Tale necessità viene
garantita quando il padre riesce a dare risposte congrue a tali attese, esplicite e non,
ovvero quando accoglie anche le richieste che si differenziano dalle sue proiezioni e
desideri che ha per il figlio stesso.
Il
padre, essendo il primo amore mentale e spirituale del bambino, acquista unulteriore
importanza nelle fasi più avanzate della sua crescita, rappresentando il principio del
"logos", cioè del potere e della fonte di autorità.
Lautorità
del principio paterno è molto importante nello sviluppo del figlio, sia durante la fase
anale (quando è impegnato nel dilemma dellobbedienza e dellautonomia) che al
momento delle dinamiche conflittuali edipiche e della formazione del Super-Io. Tuttavia,
nellaffermarsi della forza dellIo, tale principio riveste un significato
diverso a seconda del sesso del bambino.[13]
Il
figlio maschio, quando ha rafforzato lIo al punto da potersi separare dalla madre,
si avvicina al padre al fine di identificarsi con lui. Il modo in cui il figlio percepisce
limmagine paterna contribuirà e determinerà, a sua volta, il suo ruolo di padre e
di uomo. La figlia, invece, pur rinforzando lIo, non può completamente separarsi
dalla madre, in quanto è con essa che deve identificarsi. La forza dellIo del padre
può essere dalla figlia familiarizzata e riconosciuta come una forza esterna e non
interna alla sua psiche.
E
chiaro che la forza dellIo non debba evolversi separatamente dal Sé, poiché, solo
la relazione tra queste due forze, [
] può dare origine al sentimento di realtà
e fondamento allesistenza individuale.[14]
Nella
psicologia della donna, il maschile, secondo gli studi junghiani, è rappresentato
essenzialmente dalle figure del "padre" e del "briccone". Queste
esprimono due parti diverse, a volte opposte del maschile:
Mentre
il padre è, per lappunto, il legislatore e si fa quindi autore
dellordine o perfino della repressione il briccone è colui che infrange le
norme ed è, pertanto, il rappresentante dei desideri istintuali.[15]
Il
padre è in tal modo colui che protegge e si fa garante, al punto da divenire talvolta
coercitore, dunque impositore di limiti; il briccone, invece, per la sua affascinante
libertà espressiva, tende ad emancipare, con il rischio di sedurre avvalendosi
dellinganno.
Quando
il figlio ha raggiunto una certa autonomia di pensiero, lacquisizione delle norme e
dei valori trasmessigli dal padre richiedono unelaborazione creativa, una capacità
di maturare un personale punto di vista, non necessariamente corrispondente a quello
paterno. In questa possibile divergenza di opinione, si può sviluppare quello che
Carotenuto chiama "uccisione del padre". Questa è una manifestazione della
psiche, non un reale desiderio di morte; è quindi quel vissuto necessario che spinge
verso l"individuazione".
E
così la "legge del padre" deve contenere in sé la possibilità della
ribellione. Le leggi mutano nel corso del tempo, e ciò che costituisce lideale per
una generazione può non esserlo, e generalmente non lo è, per la successiva. Un padre
che non comprenda la necessità di questa continua trasformazione non è in grado di dare
al figlio un vero amore, e cioè di accettarlo anche in ciò che lo differenzia dal
modello che egli ha preparato per lui. [16]
La
figura paterna, riassumendo, si colloca tra il figlio e la madre (diade primaria)
diventando simbolo di sicurezza, di protezione e di giustizia attraverso il sostegno e il
contenimento affettivo ed emotivo. Il padre assume così la funzione di mediatore tra la
diade madre-figlio e il mondo esterno, realizzando il vecchio adagio secondo cui la
madre insegna ad amare e il padre a vivere[17]
2.3 La Funzione
Materna
La
maternità è un aspetto della femminilità che nessuna donna può ignorare. E
unesperienza insieme individuale e collettiva, espressione di un processo biologico,
ma anche momento psicologico che coagula antiche esperienze, ricordi, desideri e paure. Il
passato riaffiora, ed è un presupposto irrinunciabile per levolversi degli eventi
futuri.[18]
Ne
"La nascita psicologica del bambino", Margaret S. Mahler propone una
sistemazione teorica delle ricerche compiute dal suo gruppo in campo infantile. Da queste
ricerche si evidenzia che la nascita biologica del bambino anticipa quella psicologica.
Fino alla quarta - quinta settimana di vita, il bambino si comporta come se stesse ancora,
psicologicamente, nellutero. Poiché non ha consapevolezza dellagente di
cure materne, ha esperienze vaghe e non ben strutturate. Questo periodo è
definito di autismo normale: il neonato ha la sensazione di vivere uno stato
primitivo di disorientamento allucinatorio. Nella fase appena enunciata, il
bambino appaga i suoi bisogni nel mondo autistico, caratterizzato dallonnipotenza.
Il
secondo mese di vita segna il passaggio alla fase di simbiosi normale, in
cui il bambino si comporta come se lui e la madre fossero ununità onnipotente,
avente lo stesso confine.
LIo
rudimentale (non ancora funzionante) del neonato e del bambino molto piccolo deve avere
come complemento un rapporto emotivo di cure da parte della madre, una sorta di simbiosi
sociale. E allinterno di questa matrice di dipendenza fisiologica e
sociobiologica nei confronti della madre che si verifica la differenziazione strutturale
che conduce allorganizzazione individuale per ladattamento: lIo
funzionante.[19]
Queste
due fasi, di autismo e simbiosi normale, sono fondamentali per arrivare ad un regolare
processo di separazione - individuazione, che costituisce la vera nascita psicologica. La separazione
si ha quando il bambino riesce ad emergere da una fusione simbiotica con la madre. La individuazione,
invece, si ottiene quando il bambino conquista le proprie peculiarità.
Questi
processi evolutivi, con le loro diverse sottofasi, possono subire un ritardo o una
accelerazione verso luna o laltra fase. Una madre iperprotettiva, ad esempio,
che tende a dominare sul bambino, potrebbe ritardare la fase della differenziazione fra
Sé e laltro. Le sottofasi del processo di separazione - individuazione iniziano dai
primissimi segnali di una differenziazione, e proseguono
[...]
attraverso il periodo di assorbimento dei funzionamenti autonomi del bambino fino alla
quasi completa esclusione della madre, successivamente attraverso il periodo
importantissimo del riavvicinamento, nel quale il bambino, proprio per il fatto di
percepire chiaramente il proprio stato di separazione dalla madre, è indotto a rivolgerle
nuovamente la propria attenzione, e finalmente alla primitiva percezione di un senso di
Sé, di entità e d'identità individuale, e gradualmente verso la costanza
delloggetto libidico e del Sé.[20]
Come
per Spitz la madre rappresenta lIo ausiliario del bambino, così per la Mahler [
]
il "comportamento del tenere in braccio" del partner materno e la sua
"preoccupazione materna primaria" nel senso di Winnicott costituiscono
lorganizzatore simbiotico, che favorisce lindividuazione, la nascita
psicologica.[21]
D.
W. Winnicott studia lo sviluppo emotivo deI bambino attraverso la relazione madre-neonato.
E da questa relazione che parte la crescita di ciascun bambino. Innanzitutto c'è una
preoccupazione materna primaria: una madre ha la capacità e la propensione [
]
di far defluire linteresse del suo proprio io verso il bambino.[22]
In questa prima fase il neonato vive con la madre in uno stato di
indifferenziazione legato al fatto che il piccolo è dotato solo di un Sè potenziale, il
quale si avvia a comporsi e poi a identificarsi.
Sempre
secondo Winnicott, in questo stadio iniziale, una madre sufficientemente adatta al suo
ruolo svolge come funzione quella di:
-
tenere in braccio;
-
manipolare il bambino;
-
presentare gli oggetti;
Winnicott,
quando ci parla di madre naturale, si riferisce essenzialmente alla madre biologica
perché [
] la sua funzione per 1appunto è naturale: coinvolge il
suo corpo e pertanto coinvolge il Sé in un modo speciale; collega il bambino alla sua
stessa linea di vita, permettendole di identificarsi con quel bambino che è il suo.[23]
In
contrapposizione Giovanni Bollea ritiene che lidentità della cosiddetta madre
naturale, per poter svolgere efficacemente le funzioni che le competono, debba
integrare tre elementi: istinto-cultura-tradizione.
Una
madre siffatta si pone come controfigura del figlio che vuole dialogare e che esige la sua
presenza anche quando non sono fisicamente vicini. [
] Si sente, insomma,
contemporaneamente sua schiava e padrona.[24]
Quando
una madre tiene in braccio il proprio bambino, esplica la prima azione riguardante la
funzione, più ampia, di contenimento.
Il contenimento,
a sua volta, salvaguarda dai rischi fisiologici, rispetta le diverse sensibilità del
bimbo, nonché la sua incapacità a cogliere altro esterno a sé. Tale funzione si svolge
attraverso cure ed attenzioni, completamente individualizzate, in tutto larco del
giorno e della notte, seguendo i vari cambiamenti del bimbo, anche quelli apparentemente
insignificanti. La madre si porge al figlio con particolare dedizione facendogli avvertire
la sua affidabilità, la quale non è universale per tutte le mamme, ma è una
caratteristica delle singole personalità. Il figlio impara a riconoscere l'affidabilità
materna e a ricercarla attraverso lolfatto, lo sguardo, il tatto
La
funzione di contenimento, sempre secondo Winnicott, sarebbe circoscritta allo stato di
fusione; in realtà il bisogno di sostegno dellIo continua ad esistere e ad essere
espresso anche con le altri fasi evolutive del figlio, compresa quella dellessere
adulto.
La
funzione manipolatoria per essere efficace richiede che la madre sappia muovere e
comunicare con il corpo del bambino in modo che questi impari a sentirlo e a riconoscerlo
come proprio, come parte del suo Sé. Il bambino avvia con questa funzione
lintegrazione psiche-soma.
La
funzione di presentazione degli oggetti getta le basi per lavvio delle relazioni da
parte del bambino con il mondo in modo creativo e individuale. Arrivare alla percezione e
alla costruzione di relazioni affettive significa che cè stata una buona relazione
primaria, quella madre-bambino. In questa relazione il bambino deve aver sperimentato e
conservato il vissuto di onnipotenza, il quale deriva proprio dallaver avuto la
madre tutta protesa verso di sé. Questultima deve essere capace di interpretare e
soddisfare i bisogni e le esigenze emotive e fisiche del figlio, cercando, fra
laltro, di far corrispondere fantasia e realtà. Alla realizzazione del vissuto di
onnipotenza, contribuisce la funzione di specchio che riveste la madre. Il bambino,
guardando la madre, vede se stesso, quando questa è in grado di essere e di comunicare i
suoi sentimenti. In altre parole la madre guarda il bambino e "ciò che essa appare
è in rapporto con ciò che essa scorge".
[
]
Se il volto della madre è poco responsivo, allora uno specchio sarà una cosa da guardare
ma non una cosa in cui guardare.[25]
La
madre si pone, quindi, in questa fase come essere e non come fare attendendo
che il figlio impari a fare.
Il
bambino si avvia alla separazione materna quando gli vengono offerti, dalla madre, con
attenzione e tempi da lui stesso dettati, elementi nuovi utili per una maggiore conoscenza
e scoperta della realtà. E importante che lappropriazione del mondo esterno e
delle altre relazioni interpersonali avvenga gradualmente. Occorre, infatti, preservare
una dose necessaria di illusione nel bambino per evitargli un impatto brutale e
traumatizzante e per consentirgli di godere una reale vita immaginaria. La gradualità va
inoltre rispettata anche dopo la primissima infanzia. Essa va sempre accompagnata, oltre
che dalla presenza materna, anche dalla sua funzione contenitiva e dalla capacità di
identificazione con il figlio. Tali funzioni di contenimento e di identificazione si
manifestano, in modi diversi dalle forme primarie, quando il figlio è ormai fanciullo.
Nel permettere la scoperta degli oggetti è importante concedere al bambino la
possibilità di vivere sentimenti ed esperienze, quali la riconoscenza e
laccettazione del sacrificio che si cela dietro una conquista e dietro un ricevere
dalla propria madre. Il bambino realizza così il concetto di amore come scambio,
sollecitudine, richieste e dare.
Mi
sembra che nella società umana qualcosa vada perduto. I bambini crescono e diventano a
loro volta padri e madri ma, nel complesso, non crescono nella consapevolezza di ciò che
le loro madri hanno fatto per loro allinizio della vita. [
] Senza un vero
riconoscimento del ruolo della madre, rimarrà una vaga paura della dipendenza. Questa
paura prenderà qualche volta la forma di paura della donna o paura di una donna, e altre
volte prenderà forme non facilmente riconoscibili, che includono sempre la paura di
essere sopraffatti.[26]
Anche
Melanie Klein ritiene che lo sviluppo del bambino cominci con il primo rapporto
oggettuale: il seno materno. Il seno è il primo oggetto che il bambino introietta e,
questa prima relazione oggettuale, [
] mette nellIo arcaico radici
abbastanza salde, viene posta una base solida per uno sviluppo soddisfacente. Fattori
innati contribuiscono a questo legame. [27]Con la
nascita il bambino sperimenta la prima angoscia persecutoria derivante dalla perdita della
sicurezza totale data dallessere stato nel grembo materno. Di questa sicurezza,
conserva comunque il ricordo, e avvia così [
] il doppio rapporto con la madre:
il seno buono, il seno cattivo.[28] La
condizione psicologica della madre, unita ad altri eventi, come ad esempio il parto,
permette al bambino di interiorizzare prima il seno buono, poi la madre, nonché
laccettazione e il superamento dellangoscia. Il seno non costituisce solo la
fonte di nutrimento; è simbolo della disponibilità e della pazienza della madre, e
rappresenta, inoltre, la continuità ed il legame con lei.
Il
bambino nei primi sei mesi di vita, secondo la Klein, è investito dalla posizione
schizoparanoide:
il
superamento della posizione schizoparanoide e quindi gli oggetti buoni e cattivi, della
confusione fra sé e non sé, dentro e fuori, necessita di una prevalenza delle esperienze
buone su quelle cattive, tale da rendere possibile nel bambino lo sviluppo della fiducia
nella propria bontà ed in quella delloggetto. [29]
Nei
sei mesi successivi il bambino, attraverso una fortificazione dellIo, comincia a
distinguere il mondo esterno da quello interno: [
] è questa la strada che porta
allintegrazione dellIo e delloggetto, tipica della posizione depressiva.[30]
Diminuisce in questa fase anche langoscia persecutoria.
Tra
queste due fasi il bambino impara a distinguere loggetto buono che intende
conservare e quello cattivo su cui scarica i suoi impulsi aggressivi:
lidentificazione dei due oggetti separati con il tempo sarà unificata. il bambino
imparerà a riconoscere che loggetto è unico ed è lui che a volte lo percepisce
come buono, a volte come cattivo.
Al
centro della dialettica «posizione schizoparanoide - posizione depressiva» è collocato
il senso di colpa, la cui elaborazione per la Klein,
[
]
costituisce una tappa indispensabile per lo stabilirsi di relazioni adeguate con la
realtà La sua utilizzazione, infatti, come segnale che ci avverte della potenza
devastatrice del nostro odio interiore, e solo essa, permette di accostarsi alla realtà
con amore e riconoscendone la dipendenza. E questa la base del più generale
riconoscimento della realtà. Esso è segnato dalla possibilità di passare
dallinvidia (odio) alla gratitudine.[31]
Se
prevale il sentimento dellinvidia significa che il bambino ha perso il senso della
gratificazione. Egli si sente privato di esso in quanto ritiene che il seno frustrante
labbia conservato per sé.
Il
bambino che possiede il sentimento della gratitudine, invece, ha interiorizzato il seno
buono ed è perciò capace di affrontare momenti di invidia, rabbia e dolore senza
rimanerne intrappolato. Quando questi sentimenti negativi sono transitori, il seno buono
viene sempre riconquistato; ciò consolida il rapporto con loggetto e fortifica
lIo. E sempre il seno materno che, nel percorso di vita, rappresenta il punto
di riferimento per la nascita di sentimenti di devozione e di amore verso gli altri. Il
rapporto oggettuale con il seno getta le basi, inoltre, per lo sviluppo della creatività;
il processo creativo, consentendo di cogliere gli aspetti positivi e dando inizio a
creazioni nuove, si contrappone a quello distruttivo che produce linibizione
intellettiva.
Nel
rivoluzionario articolo I primi stadi del conflitto edipico, la Klein
illustra la sua teoria circa linsorgenza del complesso di Edipo entro il primo anno
di età. Nello stesso articolo, introduce il termine pulsione epistemofilica: la
pulsione epistemofilica, stimolata dalla comparsa delle tendenze edipiche, si rivolge
dapprima principalmente al corpo materno, assunto a teatro di tutti i processi e le
manifestazioni sessuali.[32] Se il
conflitto edipico si risolve con il prevalere delle tendenze distruttive, la creatività,
il piacere di conoscere e lintelligenza possono essere pregiudicate in età adulta.
La
funzione materna, per la Klein, si può racchiudere nella capacità di offrire,
dallinfanzia alla vecchiaia, la possibilità di godere, di sublimare, e di amare. La
vita comincia con il lieto rapporto madre-figlio che, nellintero percorso
dellesistenza, attenua langoscia e lodio, seguitando anche in vecchiaia
a fornire sostegno e benessere.
Silvia
Vegetti Finzi ci descrive la relazione madre-figlio come asimmetrica in quanto la madre
esercita il suo potere. In teoria la madre è in grado di assumere questo potere, ma in
realtà ella si sdoppia prima, in colei che custodisce, contenendo, i vissuti regressivi
del bambino, poi, in colei che sostiene e rinforza il processo emancipatorio e di
individuazione del figlio. Il connotato fondamentale di una madre, anche per la Vegetti,
è, quindi, costituito dalla dedizione.
La
dedizione materna, in quanto tende a soddisfare i bisogni e evitare i rischi, non
incentiva direttamente l'autonomia, ma costituisce quella base sicura dalla quale il
bambino può partire perché sa di potervi tornare.
[1] F.Savater, A Mia Madre, Mia prima maestra, Laterza, Bari,
1997.
[2] A. M. Nicolò Corigliano, Capacità di riparazione e
genitorialità, in Interazioni, II Semestre 1994, n. 4, pag. 31.
[4] D. Norsa, G. C. Zavattini, Psicodinamica degli
affetti nella coppia genitoriale e relazione con il figlio: rappresentazioni e
interazioni, in Interazioni, op. cit., pag. 63.
[5] A. M. Nicolò Corigliano, Capacità di riparazione e
genitorialità, in Interazioni, op. cit., pag. 30.
[6] G. Pietropolli Charmet, Un
nuovo padre. Il rapporto padre-figlio nelladolescenza, Mondatori, Milano, 1995,
pag. 118.
[8] J. A. Strindberg, Il Padre,
Einaudi, Torino, 1991, pagg. 13-14.
[9] G. Pietropolli Charmet, op. cit. , pag. 121.
[10] A. Carotenuto, Lautunno
della coscienza, Bollati Boringhieri, Torino, 1985, pag. 118.
[11] A. Samuels, IlPadre,
Borla, Roma, 1991, pag. 35.
[16] A. Carotenuto, op. cit.,
pag. 115.
[17] G. Bollea, Le madri non
sbagliano mai, Feltrinelli, Milano, 1997, pag. 20.
[18] P. Brustia Rutto, Genitori,
una nascita psicologica, Bollati Boringhieri, Torino, 1996, pag. 155.
[19] M. S. Mahler, F. Pine, A.
Bergman, La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino, 1984, pag.
79.
[22] D. W. Winnicott, La
famiglia e lo sviluppo dellindividuo, Armando Editore, Roma, 1972, pag. 25.
[23] M. Davis, D. C. Wallbridge, Introduzione
allopera di D. W. Winnicott, Psycho di G. Martinelli,
Firenze, 1994, pag. 115.
[24] G. Bollea, Le madri, op.
cit., pag. 14.
[25] D. W. Winnicott, Gioco e
realtà, Armando Editore, Roma, 1979, pagg. 191 - 192.
[26] D. W. Winnicott, Dal
luogo delle origini, Cortina, Milano, 1990, pagg. 125-130.
[27] M. Klein, Invidia e
Gratitudine, Martinelli & C., Firenze, 1985, pag. 13.
[29] A. Imbasciati, Introduzione
alle Scienze Psicologiche, Utet, Torino, 1986, pag. 248.
[32] Cfr. M. Klein, I primi
stadi del conflitto edipico, Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino, 1978.
[33] S. Vegetti Finzi, Volere
un figlio. La nuova maternità fra natura e scienza, Mondatori, Milano, 1997,
pag. 47.
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