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Guido Antonio Marcati. Una vita per la scuola e per i maestri
di Michele Monaco |
3. Capitolo II. La lotta del Risveglio Educativo per il miglioramento della
scuola primaria e della condizione del maestro.
Il Risveglio
Educativo doveva essere, e fu, un campo di studio, di esercitazioni e di lotte, aperto
alla classe magistrale e a tutto il mondo pedagogico italiano. Il Marcati aveva le sue
idee e le sosteneva con vigore e tenacia; ma dava la possibilità anche agli oppositori
più radicali di illustrare e difendere le loro tesi con piena parità di diritti. E ciò
non solo "in omaggio al principio di libera discussione sempre seguito dal
giornale" - come egli stesso scrisse nel settembre del 1888 -, ma perché credeva
sinceramente nellutilità della discussione ai fini della ricerca del meglio.
Le
colonne del Risveglio furono sempre aperte a tutte le personalità e a tutte le
idee: per tal motivo il Risveglio conquistò subito la maggioranza dei maestri e
concorse più di qualsiasi altro periodico scolastico al miglioramento della scuola
primaria e delle condizioni culturali, morali, economiche e organizzative della classe
magistrale.
Non
un solo problema sfuggì allattenzione del Marcati e del Risveglio, sia tra i
più semplici e particolari, sia tra i più complessi e generali: mai tali problemi
vennero considerati isolatamente, ma sempre furono inquadrati nel contesto della generale
situazione scolastica, culturale, politica e sociale del Paese.
Quando
il Marcati lanciò il Risveglio Educativo, lorganizzazione scolastica era
estremamente carente quasi dappertutto e la scuola primaria italiana ed i maestri
contavano ben pochi amici e molti, troppi nemici e detrattori. I Comuni, fatte poche
eccezioni, mal volentieri destinavano una parte delle loro scarse risorse alle scuole per
i fanciulli del popolo. Lo Stato mostrava di interessarsi, ma a parole, senza giungere mai
allapprovazione di provvedimenti radicali, e lasciava che le cose procedessero
fiaccamente, quasi per forza dinerzia; nè si decideva ad avocare a sè le scuole
per il popolo. La Chiesa, preoccupata per lo scarso rilievo dato nelle pubbliche scuole
allinsegnamento religioso e per la perdita del controllo sulleducazione dei
fanciulli, accusava violentemente la scuola e i maestri, e osteggiava qualsiasi sviluppo
della scuola popolare pubblica.
I
maestri soffrivano sotto le prepotenze municipali. Mai difesi efficacemente dalle
autorità statali, neppure quando le leggi in vigore lo avrebbero consentito ed imposto;
mal pagati, umiliati, sempre sotto minaccia di licenziamento, senza prospettive di
carriera e - salvo qualche eccezione - senza diritto a pensione nei giorni duri della
vecchiaia.
Era
quindi tutto da creare e bisognava lottare su più fronti. Occorreva smuovere
lavversione e linerzia del Parlamento, specie del Senato; costringere il
Governo ed il Ministro della pubblica istruzione a interessarsi dei problemi della scuola
primaria e prendere iniziative concrete, sostenendole fino a trasformarle in leggi dello
stato. Bisognava convincere la stampa quotidiana a dibattere la grossa questione
dellistruzione e delleducazione del popolo, base di qualsiasi autentico
rinnovamento nazionale; richiamare i maestri tutti a migliorare la loro preparazione
generale e professionale e costituire società magistrali di mutuo soccorso, di studio e
di lotta, in maniera da far pesare - sulle decisioni del Parlamento, del Governo e dei
Comuni - tutta la forza che la classe magistrale poteva esercitare.
Il
Marcati si impegnò proprio in tal senso e finalmente riuscì a smuovere la situazione.
Certo, il Risveglio non era solo su questo campo di lotta. Molti altri giornali
didattici e molti agitatori sindacali lottavano strenuamente, ma nessuno svolse
unattività paragonabile a quella del Risveglio e del Marcati. E ciò non
solo perché il Risveglio giungeva ad oltre la metà dei maestri italiani, e
continuamente li incoraggiava ed infiammava; ma per la personalità del Marcati, che
riusciva a dare alle sue tesi laltissima autorità che egli stesso aveva conquistato
nel mondo scolastico e pedagogico italiano.
Per
convincersi dellimportanza dellopera del Marcati basterà considerare che
nessun giornale didattico, fra le centinaia che videro la luce, anche per merito di
personalità illustri, ebbe, finché il Marcati rimase sulla breccia, uno sviluppo e una
diffusione appena paragonabili a quelli del Risveglio Educativo e dei Diritti
della Scuola. Basterà considerare che le leggi approvate nei primi anni di questo
secolo per la scuola primaria e per i maestri, furono strappate dalla ferma azione
dellUnione Magistrale Nazionale, la forte associazione unitaria dei maestri
dItalia, creata innanzitutto per iniziativa del Marcati.
Esaminiamo
ora rapidamente i problemi che il Marcati affrontò e risolse, o soltanto avviò a
soluzione, nei quattordici anni in cui tenne la direzione del periodico.
Dalle
colonne del Risveglio i grandi pedagogisti e educatori del tempo, superata la
ristretta cerchia dei lettori di libri, poterono rivolgere periodicamente ad oltre
venticinquemila lettori la loro calda e saggia parola, che svecchiò la scuola e portò
nuova luce nelle attività dei maestri e dei dirigenti scolastici. Fu così in gran parte
ovviato alle numerose carenze della classe magistrale, dovute allaffrettato
reclutamento dei maestri avvenuto dopo lunificazione ed alla insufficiente
preparazione fornita dalle scuole normali. Basti ricordare, per tutti, gli articoli di
Aristide Gabelli, scritti - come lo stesso autore dichiarava - "alla buona, senza
prosopopea cattedratica", e pubblicati spesso come "Lettera al Direttore".
Innumerevoli
furono anche gli articoli di psicologi, come Giuseppe Sergi, di igienisti, di esperti di
diritto e legislazione scolastica, che aprivano dinanzi ai maestri, specie a quelli
isolati nelle sperdute scolette, un orizzonte culturale sempre più vasto, nel quale pur
dovevano tentare di inserirsi. Nè venivano trascurate le grosse questioni politiche e
sociali, sulle quali il Marcati si soffermava brevemente in ogni numero del giornale,
ribadendo il dovere di pensare al popolo, per migliorarne le condizioni economiche, morali
e intellettuali.
In
quanto alla guida didattica e più strettamente professionale, il Marcati non poteva fare
di più. Durante le prime quattordici annate della rivista la didattica fu curata
personalmente, da solo e con integrazioni del tutto marginali, quando da Carlo Tegon,
quando da Pietro Pasquali, e, per gli ultimi due anni, da Ettore Berni. Chi conosce
lingegno, la cultura, lesperienza scolastica, il senso di responsabilità di
tali collaboratori non può avere dubbi sulla validità del contributo dato dal Risveglio
alla scuola ed ai maestri anche in questo settore.
Lo
spirito che animava la didattica del Risveglio, le stesse dichiarate intenzioni
degli autori, ma innanzitutto la lettura diretta di quelle migliaia di pagine, ci fanno
testimonianza della ventata di modernità che penetrò, con esse, nelle aule delle nostre
scuole primarie. La didattica del Risveglio non era una pappa scodellata ad uso
degli "insegnanti scansafatiche", ma un insieme di contenuti, di consigli, di
scritti pedagogici e didattici, con accenni alle esigenze psicologiche, che miravano a
mettere il maestro in grado di fare una scuola viva. Non si raffazzonava su due piedi, ma
veniva preparata di lunga mano, passando "attraverso il filtro di una lunga pratica e
duna matura riflessione" (Marcati, il Risveglio del 20 ottobre 1897).
Il
Marcati, che vegliava su tutto con profonda sensibilità, non intervenne che di rado nel
campo della didattica. Scelti gli uomini atti a realizzare le idee nelle quali credeva, ad
essi si affidava ciecamente, anzi con devozione e ammirazione, lasciandoli completamente
liberi nella loro ardua e dura fatica. Ma con quanta trepidazione seguiva il loro lavoro.
Parlando
dellopera di Carlo Tegon, sul Risveglio Educativo del 24 dicembre 1896
scrisse: "Il suo spirito rigeneratore passò sulle scuole dItalia quando
imprese a parlare, con la stampa, il sapiente linguaggio della sua illuminata e lunga
esperienza". E più oltre, consapevole che per rinnovare le singole scuole occorreva
portare le lucide teorie nella pratica quotidiana dellinsegnamento, scrisse questo
elogio del Tegon: "Mirò ad un unico fine: giovare alla scuola, ricercando
pazientemente, per via di esperimenti, la formula pratica per convertire in succo e sangue
le teorie seminate e condensate nei trattati scientifici".
E
un elogio che va anche a Pietro Pasquali e ad Ettore Berni: e noi sentiamo di poterlo
estendere allo stesso Marcati, perché fu lui che seppe assicurare ai maestri
dItalia lopera appassionata di così eletti ingegni.
Ma
occorre anche ricordare che il Marcati era dotato di una profonda sensibilità educativa e
pedagogica. Contrario allenciclopedismo e allaridità cattedratica, voleva che
la scuola primaria più che dispensare nozioni si impegnasse a formare libere
personalità, buoni padri di famiglia e buoni cittadini. A tal fine sollecitò nuovi
programmi per le scuole elementari ed elogiò quelli del Gabelli, specie le
"Istruzioni". In un incontro col Ministro Martini nel febbraio del 1893,
raccomandò di alleggerire i programmi, perché "anche nelle scuole elementari il surmenage
impera, ed anche qui perdemmo in profondità quanto immaginammo di guadagnare in
estensione!!". Non volle mai favorire le polemiche sullinsegnamento religioso e
accolse volentieri gli scritti del Gabelli, del Bacci e di altri autori favorevoli a tale
insegnamento (del resto - scrisse nel marzo del 1891 - "è un argomento sul quale
ognuno rimane della propria idea anche dopo le discussioni "). Incoraggiò la
compilazione di buoni libri per le scuole elementari e difese sempre la libertà di scelta
dei testi scolastici da parte degli insegnanti, intervenendo con eccezionale durezza
quando i direttori, ispettori o altre autorità tentavano di sovrapporre la loro volontà
a quella dei maestri. Si dichiarò, fin dal dicembre 1884, favorevole alla
"coeducazione". In una parola volle sempre che i maestri fossero educatori più
che insegnanti, non meschini ripetitori dellalfabeto, ma forza viva di civiltà e di
progresso.
Circa
lattività vera e propria di lotta, il Marcati agì sempre, con encomiabile
concretezza, in due direzioni fondamentali: per un verso mirò ad assicurare alla scuola
ed ai maestri tutto ciò che era possibile nella situazione obiettiva del momento e nel
rispetto delle leggi vigenti; per laltro lottò strenuamente per mutare la
situazione ed ottenere lapprovazione di nuove leggi favorevoli alla scuola e alla
classe magistrale.
Esaminiamo
come attuava, nella pratica quotidiana questo suo metodo di lotta.
La
preparazione culturale e professionale dei maestri lasciava molto a desiderare ed il
Governo, poco convinto della necessità e dellopportunità di migliorarla, non si
decideva a riordinare le scuole normali. Anzi lasciava cadere nel nulla lintensa
attività della stampa scolastica e delle associazioni magistrali, le quali chiedevano a
gran voce listituzione di un regolare e completo corso di studi per la preparazione
dei maestri, labolizione della patente inferiore, lampliamento dei programmi
delle scuole normali e listituzione di un corso universitario di pedagogia.
Il
Marcati da una parte cercò, mediante il Risveglio, di soddisfare il vivo desiderio
dei maestri di migliorare la loro cultura; dallaltra lottò, con decisione e
singolare chiarezza di idee, per ottenere una radicale riforma delle scuole per la
preparazione dei maestri. Basti qualche accenno.
Subito
dopo lapprovazione della legge sulla istituzione dei corsi triennali preparatori
alle scuole normali, il Presidente del Consiglio on. Crispi ricordò, in un discorso
tenuto a Palermo, come titolo di vanto per il suo Governo, listituzione di 16 scuole
normali. Il Marcati reagì duramente, affermando che occorreva ben altro per essere
soddisfatti, perché quelle scuole ormai non rispondevano più alle esigenze per le quali
erano state istituite e dovevano essere radicalmente riformate.
"Le
scuole normali - scrisse sul Risveglio del 20 ottobre 1889 -, a parte le onorevoli
eccezioni, sono grette ed infeconde; ma sono rappezzature, rammendi di altre scuole dello
stesso grado, e i giovani che le frequentano, fossilizzati da professori spesso ignoranti,
molte volte inerti, sempre o quasi sempre ignari delle più elementari norme pedagogiche,
vi escono imbottiti di stoppa enciclopedica, incapaci di muoversi nella scuola, costretti
a rifare da se medesimi la propria cultura pedagogica se forti e volenterosi, o a
diventare ignobilissimi mestieranti se non li sorregge unalta idea del dovere e un
alto sentimento della loro dignità".
Finalmente,
con la legge del 12 luglio 1896 si diede un nuovo ordinamento alle scuole normali, con
conseguente abolizione della patente inferiore. In quella occasione il Marcati rivelò
ancora una volta di quale obiettività di giudizio fosse capace. Al Ministro Gianturco
espresse la propria soddisfazione per la riforma; in pari tempo, però, lo esortò a
modificare la norma che lasciava liberi i Comuni di buttare sul lastrico "come limoni
spremuti" i maestri inferiori. "Le riforme, dico io, sono belle e buone; ma un
po' di carità nellapplicarle non guasta" (Il Risveglio del 20 dicembre
1896). Ai maestri inferiori che chiedevano la concessione della patente superiore per soli
titoli, raccomandò la moderazione: limitarsi, cioè, a chiedere la conversione della
patente inferiore in quella superiore non per tutti, ma solo per i colleghi che avessero
prestato almeno dieci anni di lodevole servizio.
I
maestri, e con essi il Marcati, lottarono anche per ottenere listituzione di un
corso universitario di perfezionamento. Anche su questo problema il Marcati mostrò di
avere idee ben chiare.
Nel
1885 la Regia Accademia scientifico-letteraria di Milano istituì, su "preghiere dei
maestri", un corso di pedagogia. I maestri di Milano vi accorsero tutti come "a
festa", e il Risveglio salutò lavvenimento come "una bella pagina
pedagogica" da aggiungere "al grosso volume della storia milanese". Ma il
corso fu diviso in "pedagogico per le maestre, didattico per i maestri".
Il
Marcati criticò tale decisione e ne spiegò limpidamente i motivi: "Un corso di
pedagogia in una Università, o in una Accademia - scrisse - non può nè deve essere una
scuola di tirocinio (.
) deve dunque a nostro avviso avere di mira gli alti precetti,
gli alti insegnamenti della scienza pedagogica. La parola calda ispirata del professore li
illumina, li rende comprensibili a tutte le menti, ne mostra i pregi, ne accenna i
difetti, ne deduce chiare, limpide conclusioni. E a queste conclusioni, figlie di
scientifiche teorie, combattute ma vincitrici, il provetto maestro ispira la sua didattica
o la controlla".
Insieme
a una migliore preparazione culturale e professionale, il Marcati rivendicò per i maestri
una larga possibilità di carriera, sia nella scuola primaria che nelle scuole secondarie,
e, in pari tempo, unapertura verso gli altri uffici, come quello di segretario
comunale e di ufficiale dellesercito. Ancora sul Risveglio dell8
gennaio 1898 scriveva: "La palestra degli studi, aperta a tutti, è, o quasi, chiusa
per il maestro o la maestra italiana... Fosse pure il più umile maestro dItalia,
egli dovrebbe avere il diritto di salire a grado a grado al posto di direttore, di
ispettore, di provveditore".
Il
Marcati lottò continuamente anche perché fosse assicurato ai maestri un più equo
trattamento economico. Il suo interesse fu principalmente rivolto ai più umili ed ai più
bisognosi. Prese innumerevoli iniziative per ottenere il miglioramento delle pensioni e la
loro estensione alle vedove ed agli orfani; sollecitò sempre il Governo a prendere i
necessari provvedimenti per costringere anche i Comuni abitualmente morosi a pagare alle
scadenze previste, ed integralmente, gli stipendi; lottò per il miglioramento delle
retribuzioni e perché sparissero, finalmente, tutte le differenze di stipendio esistenti
fra maestri e maestre, fra grandi e piccoli Comuni, fra classi superiori e inferiori;
sostenne anche con numerose offerte personali, tutte le iniziative tendenti ad alleviare
la triste sorte degli orfani dei maestri (incremento del collegio di Assisi, fondazione
del collegio di Anagni, ritenuta di una lira allanno a vantaggio dei due collegi).
In
particolare basti ricordare soltanto qualche episodio.
Circa
le innumerevoli disparità di trattamento economico, sul Risveglio del 13 maggio
1896 scrisse: "E uningiustizia potente che il maestro di campagna non
possa arrivare anche senza muoversi dal suo posto ad una modesta agiatezza. - Il
giorno in cui il sole della giustizia risplenderà sulle cose umane, (quando?) si dovrà
fare per gli insegnanti tutti, quanto si fa ora dal Governo per gli Ispettori scolastici,
i quali non hanno già lo stipendio in ragione del circondario ove risiedono, bensì in
rapporto alla classe alla quale appartengono e a cui sono arrivati per merito o per
anzianità".
In
difesa dei diritti delle maestre scrisse sul Risveglio del 3 aprile 1895:
"...fra il lavoro delle maestre e quello dei maestri non può nè deve farsi nessuna
dannosa distinzione, e quindi la mercede degli uni deve essere pari a quella delle
altre...Sono anni ed anni, anzi si può dire secoli e secoli che un pregiudizio sociale
pesa sulla donna.E questo pregiudizio sociale nè domato, nè vinto ancora, inferocisce
contro lingegno, lo studio, la pazienza, la bontà del sesso gentile, negandogli
ogni più evidente conquista nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti".
Importante
anche lattività del Marcati nei confronti dellamministrazione scolastica. In
quel tempo lorganizzazione provinciale della scuola elementare poggiava sul
provveditore agli studi, che presiedeva anche alle scuole secondarie, e sui pochi
ispettori scolastici (n. 218 nel 1893). Vi erano anche i delegati scolastici mandamentali
e i sovrintendenti comunali, ma il loro ufficio, privo di un vero e proprio rapporto di
lavoro e non retribuito, era più simbolico che reale. Peraltro, molti comuni erano andati
istituendo volontariamente le direzioni didattiche.
Il
Marcati fin dallinizio della sua attività di pubblicista concepì in maniera ben
diversa lorganizzazione della scuola dellobbligo: direttori didattici almeno
in ogni mandamento e provveditori agli studi per le scuole primarie in ogni capoluogo di
provincia. E sempre lottò tenacemente per la realizzazione di questo suo obiettivo.
Egli
vedeva nel provveditore la "forza motrice e regolatrice di tutto lorganismo
scolastico provinciale" e lo voleva "libero da ogni soggezione politica",
quindi autonomo nei confronti del prefetto. In pari tempo voleva che il provveditore
limitasse la sua attività, perché potesse essere veramente efficace,
"allinsegnamento popolare, che è di supremo interesse per lo Stato e per tutti
i cittadini" (Il Risveglio del 6 aprile 1890). E quando il ministro Villari,
in un progetto di legge del 1891, divise "la scuola primaria dalla secondaria con due
provveditori distinti", il Marcati manifestò il suo vivo apprezzamento per la
decisione del Ministro.
Come
diretti collaboratori dei provveditori egli vedeva non gli ispettori scolastici ma i
direttori didattici. La direzione didattica - affermava - "porta infiniti
vantaggi" e se si vuole dare allistruzione primaria "un aspetto consono ai
tempi", la si deve rendere obbligatoria. "Un giorno o laltro, se Dio vuole
- scrisse in una lettera aperta al Ministro Coppino, apparsa sul Risveglio del 13
novembre 1887 - il direttore didattico sarà reso obbligatorio almeno per ogni capoluogo
di mandamento. E una necessità, Eccellenza, una necessità".
Il
Marcati rivendicò anche, per la scuola militante (maestri, direttori, ispettori), un
posto di rilievo nellamministrazione scolastica e precisamente nei consigli
provinciali scolastici e nel consiglio superiore della pubblica istruzione, affinché la
rappresentanza della categoria potesse imprimere maggiore concretezza e nuovo vigore
allattività di detti organi, che allora avevano molte più attribuzioni che non
ora.
Quando,
nel 1896, il ministro Gianturco manifestò lintenzione di riformare il Consiglio
superiore, il Marcati lo incoraggiò ad agire e sul Risveglio del 3 giugno scrisse:
"Ma Egli acquisterebbe a mille doppi diritto alla riconoscenza degli Educatori, se,
non arrestandosi a mezza via, desse alla decrepita istituzione la fisionomia che le
conviene, e mercè cui potessero rispecchiarsi in essa, le tre facce del poliedro
scolastico, dallelementare alluniversitaria".
Altrettanto
intensa fu lazione svolta, su un piano più ampio e con prospettive più lontane,
direttamente per la scuola, intesa quale complessa istituzione sociale addetta
allistruzione e alleducazione delle classi popolari. Il Marcati vedeva
"nelleducazione nazionale il primo interesse dei popoli civili" (16 maggio
1886) e nellistruzione popolare "il cardine della società moderna" (12
dicembre 1886), la "base dellordinamento civile di un popolo" (5 maggio
1898), la matrice di un sano patriottismo e di un ordinato progresso.
LItalia
ufficiale di fine Ottocento, senza più gli eroismi delle lotte risorgimentali e in preda
a un profondo "sfibramento morale", tutta chiusa "nellegoismo più
bronzeo" dei benestanti, dimentica dei diritti delle classi lavoratrici e poco
rispettosa delle leggi in vigore, amareggiava lanimo del Marcati. Il suo autentico
patriottismo gli faceva bramare unItalia protesa verso alte mete di civiltà e
progresso morale e sociale, grande e rispettata del concerto delle nazioni civili. La sua
integrità di carattere e la dedizione totale al bene comune lo rendevano quanto mai
esigente nel chiedere il pieno adempimento dei doveri da parte di tutti gli italiani, dal
più umile al più potente. Il suo rispetto per la dignità della persona umana lo portava
al fianco degli umili e dei bisognosi, per riscattarli finalmente dalla miseria,
dalloppressione, dallignoranza. La sua fede nei "sani principi
democratici" (1891) lo portava a sollecitare lapprovazione di leggi elettorali
che allargassero "il suffragio verso il popolo" (novembre 1897) in modo da
favorire la presenza dei rappresentanti delle classi lavoratrici nella direzione della
vita nazionale ad ogni livello. La sua fiducia nei poteri delleducazione e
dellistruzione lo portava, senza ombra di illusioni illuministiche, ad esigere che
si muovesse alla rigenerazione della patria fondando sullopera di una scuola
primaria efficiente per organizzazione, diffusione, contenuto culturale, livello
pedagogico, preparazione e dedizione del corpo insegnante.
E
pertanto, intensa e senza sottintesi fu la sua azione a sostegno dei diritti del popolo
allistruzione e contro chi tale diritto volutamente ignorava o conculcava.
Già
sul Risveglio del 28 giugno 1885 scrisse: "Limportanza
delleducazione del popolo solo da poche, nobili, e solitarie menti è compresa nei
suoi effetti; ma a poco a poco mostrandone colloperosità intelligente la potente
efficacia, romperemo il freddo cerchio di apatia e di noncuranza peccaminosa che
lavviluppa".
I
progressi erano però pressoché insensibili ed il Marcati non lesinò mai incitamenti ed
accuse.
La
stessa Milano, che pure era fra le poche città dItalia che curavano con qualche
larghezza listruzione del popolo fu presa di mira - ed a ragione - sul Risveglio
del 26 ottobre 1890: "Ma se Milano manca di scuole per i figli del popolo, quel
popolo che paga e soffre e per il quale listruzione è il più prezioso dei doni, si
pavoneggia però degli istituti secondari, e a quelli rivolge cure e spese. - Il popolo,
ma che cosa è mai il popolo? - Ignorante deve essere e restare. - Avete ragione.
Conservatelo ignorante questo povero popolo, perché se dovesse un giorno aprire gli occhi
e misurare la sua forza, ahi! quel giorno sarebbe un brutto giorno per voi, che non avete
mai compreso i suoi sacri diritti, e che ogni senso di libertà e di progresso annegate
nellegoismo più bronzeo. - Delenda Chartago. - Le scuole allo Stato".
Quando
il Ministro Villari affermò che i figli del popolo chiedevano "più pietà che
scienza", il Marcati gridò dalle colonne del Risveglio del 7 giugno 1891:
"E perché chiedon pietà? Perché sono figli di padri ignoranti ed affamati.
Continuate a tenere nellignoranza anche i figlioli, e i figli dei figli
continueranno sempre a chiedere quella pietà che non è certo il più alto onore
della Patria nostra".
Altra
volta, polemizzando col "gaudente Popolo Romano", scrisse: "Un po'
di ignoranza alle masse non guasta, credetelo, e , per i vecchi bacchettoni come il Popolo
Romano, la radice dogni sapienza di governo ha il fondamento
nellignoranza delle plebi... e nella miseria di voi (maestri) che dovete
istruirle".
Ma
lignoranza del popolo non era soltanto un disonore per il giovane regno
dItalia; era anche un pericolo gravissimo. "Il popolo italiano, educato
allombra dellalbero municipale" veniva su "pronto a piegarsi come
canna al soffio di ogni reazione". "E così - scrisse il Marcati sul Risveglio
del 17 febbraio 1892 - camminiamo da un pezzo, noncuranti mentre lorizzonte
soscura, mentre bollono con sordo mormorio le plebi affamate ed ignoranti, e la
questione sociale preoccupa i più. - Chi vivrà vedrà. Ma lindifferenza
nostra verso le cose delleducazione del popolo, non potrà che produrre dei
disastrosi effetti. Noi seminiamo vento... Voglia il cielo non sabbia in ultimo a
raccogliere tempeste". E il 10 novembre 1894 scrisse: "Chi semina vento,
raccoglie tempesta, quanti segni forieri nel cielo, quanti!!".
Ma
di fronte a così alte aspirazioni, la realtà rimaneva ben diversa: ed il Marcati non
perdeva occasione per spronare il Governo ed il Parlamento a dedicare maggiore interesse
ai problemi delleducazione popolare.
Nello
stesso tempo protestava continuamente per la scarsezza dei mezzi posti a disposizione
della scuola popolare. Convinto, "da buon italiano" delle limitate
disponibilità del bilancio statale, criticava lingiusta ripartizione dei fondi
disponibili, sia perché si lasciava alla pubblica istruzione una parte ben misera del
bilancio generale dello Stato, sia perché nel bilancio della Minerva solo una minima
parte veniva destinata allistruzione popolare.
Non
approvava, innanzitutto, le ingenti spese del Ministero della guerra e la continua ricerca
di economie sul bilancio della Pubblica Istruzione. Con vero coraggio morale, di fronte
alla fuga di immense risorse verso lAfrica, gridò dalle pagine del Risveglio
del 20 aprile 1890: "Quanta Africa in casa nostra! quanta Africa!". Sarebbe ora
di "togliere - scrisse sul Risveglio del 17 dicembre 1890 - qualche decina di
milioni al bilancio militare per destinarlo allistruzione popolare, alla formazione,
cioè, dei futuri cittadini e soldati". E più tardi, sul Risveglio del 7
giugno 1891, lamentava: "Minerva ha dovuto sempre cedere il posto allinvadente
Marte e, povera tapina, accontentarsi delle briciole cadute dalla tavola del ricco
Epulone". Ma la situazione non migliorava affatto, anzi peggiorava; e non gli restava
che affrettare con lansia del suo animo, il tempo in cui si sacrificasse "un
cannone ad una scuola, una nave ad una qualche riforma scolastica, o unimpresa pazza
e cruenta ad un riordinamento generale e serio dellistruzione primaria" (Il Risveglio
del 29 maggio 1897).
Per
quanto riguardava, in particolare, il bilancio della pubblica istruzione soleva spesso
ripetere che la piramide delle spese era illogicamente rovesciata. Lo Stato - scrisse il
10 ottobre 1886 - deve "efficacemente soccorrere anche gli studi secondari e
universitari; ma agli ultimi, che alla fin fine servono a una classe privilegiata , ci
pare si possa, anzi si debba pensare più tardi, quando sullimmensa maggioranza del
paese, sarà diffusa largamente tanta luce che basti almeno ad illuminare le coscienze,
rendendole consce dei loro diritti e dei loro doveri".
E
perché tali obiettivi potessero realizzarsi, reclamò sempre una radicale riforma delle
strutture e dei contenuti delle scuole primarie e normali, e la creazione di una scuola
nazionale che rompesse finalmente con un passato di oscurantismo e avviasse il Paese verso
quel generale progresso che già si andava realizzando in altri stati europei ed
americani. Bisogna far comprendere a chi ha il dovere di provvedere - scrisse fin dal 1
marzo 1885 - che è tempo ormai di farla finita con le leggine che poco o nulla
concludono, e che vha bisogno di serie e ponderate riforme, nelle quali i troppo
ormai famosi apostoli di civiltà trovino pace, e attingano quella serena fortezza
danimo e di mente, che è tanta parte del progresso della scuola e della
società".
Di
fronte alla noncuranza del Parlamento ed alla inconcludenza del Governo, non nascondeva il
suo sdegno e fieramente precisava: "Le riforme della scuola, reclamate dal tempo e
dal progresso che incalza", non devono essere concesse come una elemosina a chi
troppo a lungo ha seccato, ma "come bisogno della Nazione al quale la mente del
legislatore deve pensare e provvedere presto e saviamente". (Il Risveglio
dell11 aprile 1886) .
Circa
le difficoltà da superare, non le sottovalutava affatto e per questo esortava i ministri
della Pubblica Istruzione ad operare con onestà e con tenacia. "Noi intendiamo
perfettamente - scrisse il 7 giugno 1891 - come le grandi riforme non possano essere opera
di un solo ministro; ma se nessuno di essi le inizia, se anzi combatte e distrugge quelle
iniziate dal suo predecessore, quando queste grandi riforme arriveranno?".
La
responsabilità della mancata attuazione delle riforme il Marcati lattribuiva, come
di fatto era, alla politica. Egli doveva molto spesso constatare che - a parte la
debolezza di alcuni titolari della Minerva - erano sempre i contrasti politici e le
ricorrenti crisi di governo a vanificare le migliori intenzioni ed i più importanti
progetti dei ministri della Pubblica Istruzione. E perciò sostenne che il titolare della
Minerva doveva essere un "tecnico" che potesse svolgere la sua azione al di
sopra dei giochi della politica.
A
questo punto si potrebbe pensare che sfuggissero al Marcati i profondi motivi politici che
erano alla base del faticoso travaglio della scuola primaria, ma non è così! Non gli
sfuggivano affatto le motivazioni politiche, ma riteneva che potessero superarsi proprio
ponendo il problema della scuola come problema tecnico di interesse generale.
"La
politica - scrisse il 27 marzo 1895 - inquina tutta la nostra vita amministrativa. Noi
mangiamo politica a colazione, a pranzo, a cena, e finiremo col morire di
indigestione". Con ciò non si estraneò mai dalle grosse questioni politiche e
lottò sempre - in modo particolare durante le elezioni - per sostenere i pochi amici
della scuola e per attrarre nel partito della scuola, che egli si adoperava in ogni
modo di costruire, sempre più numerosi e qualificati elementi. Il che significava che il
Marcati sapeva, in fondo, che la battaglia per la scuola si sarebbe vinta proprio sul
terreno politico, col concorso degli amici della scuola, a qualunque raggruppamento
politico appartenessero. Altrimenti non si spiegherebbero codeste amare parole, apparse
sul Risveglio del 16 ottobre 1897: "No, no, la verità non si vuol confessare:
e sarebbe che la scuola a molti fa paura, perché, insieme coi doveri, insegna anche i
diritti, e dice al popolo: oltre i muscoli ed il sangue, tu possiedi una mente che deve vedere,
un cuore che deve sentire. E ciò è una bestemmia per qualche reazionario feroce,
il quale si compiace di evocare con rimpianto la supina ignoranza daltri
tempi".
Peraltro,
il Marcati voleva che il maestro, pur professando onestamente e liberamente le proprie
idee, si limitasse a dibattere i grandi problemi politici della Nazione, senza lasciarsi
travolgere nelle "maledettissime questioni locali che dilaniano famiglia e famiglia,
e lasciano strascichi interminabili di antipatie, di rancori, di odi" (Il Risveglio
del 30 ottobre 1897).
Ed
ora seguiamo lazione da lui svolta per il passaggio delle scuole primarie allo
Stato. Problema, questo, di capitale importanza per lavvenire della Nazione, come
egli stesso rilevò sul Risveglio del 1° luglio 1888: "Lavocazione
delle scuole allo Stato vuol dire per noi la formazione della vera scuola nazionale ,
limpulso vigoroso, attivo del Governo centrale che dà carattere dunità
allinsegnamento elementare, che lo svolge e lo dirige al consolidamento della
libertà, dellindipendenza, della grandezza della patria!" Il Marcati era
altresì convinto che lavocazione avrebbe portato grandi benefici ai maestri,
sottraendoli "allinfluenza dissolvitrice del Comune" (30 luglio 1886) e
favorendo il sorgere di una classe magistrale "indipendente, e quindi più
libera" (14 ottobre 1888). E perciò dedicò per lunghi decenni, alla battaglia per
il passaggio delle scuole elementari allo Stato, assidue e tormentose cure, impostando
sempre lazione con sano realismo.
Abbiamo
ricordato che già prima del 1880, giovane poco più che ventenne, sostenne dalle colonne
del Maestro Elementare Italiano la necessità dellavocazione. Quando, in
seguito, fondò il Risveglio Educativo, quello di togliere "la scuola dalle
mani dei municipi" fu uno dei problemi che maggiormente assillarono il suo animo e la
sua intelligenza; e lottò con tenacia, senza mai sottovalutare le difficoltà da
superare. Il 12 ottobre 1884, polemizzando amichevolmente con Marcello Zaglia, scrisse:
"Il Parlamento non è ancora preparato ad accettare la riforma dellavocazione
allo Stato della Scuola Primaria?! - Te lo concedo; ma credi tu che a furia di battere con
pazienza il chiodo, questi non entrerebbe anche nel muro di granito?". E la sua
azione giovò proprio a far maturare nella coscienza comune il convincimento
dellutilità, anzi della necessità dellavocazione.
Egli
chiamò continuamente alla lotta la stampa pedagogica, gli ispettori scolastici, i
maestri, le società magistrali, i pedagogisti, perché "spianassero al Governo la
strada".
Nel
1886 "la vecchia questione" tornò drammaticamente a galla, spinta dal suicidio
di Italia Donati. Il Marcati fu il massimo promotore dellagitazione. Innanzitutto si
rivolse al Gabelli, da poco eletto deputato al Parlamento, per chiedergli incoraggiamento
e consigli, e lo esortò a presentare egli stesso un disegno di legge di iniziativa
parlamentare. Il grande pedagogista si dichiarò favorevole al passaggio delle sole scuole
rurali allo Stato ed il Marcati chiamò a raccolta i maestri: "Dobbiamo nel nuovo
anno segnare nel calendario scolastico una nuova vittoria: il passaggio delle scuole
allo Stato. Questa è la bandiera del Risveglio, e larruolamento è
aperto a tutti. Chi ama le emozioni tumultuose della battaglia si faccia avanti. Vinti o
vincitori ci resterà sempre il conforto daver combattuto, o colleghi, una nobile
onesta battaglia".
La
lotta si svolse con straordinaria decisione, ma non portò alcun frutto concreto. Ripresa,
su più vasta scala, nel 1888, sembrò dover dare risultati positivi perché lo stesso
presidente del Consiglio, on. Crispi, si era impegnato a presentare un progetto di legge
per l'avocazione delle scuole elementari allo Stato. Il Marcati manifestò la sua
soddisfazione sul Risveglio del 30 luglio 1888, affermando che la legge
sullavocazione era "destinata a rinsaldare lunità nazionale ed
affrettare ad alti destini il popolo italiano".
Furono
momenti di profondo entusiasmo, che ebbe pubblica esaltazione nel VI Congresso
dellAssociazione Nazionale dei maestri italiani, tenutosi a Bologna nel settembre
1888.
Al
Congresso intervennero i rappresentanti delle società magistrali e dei Comuni, maestri e
pedagogisti, i quali sostennero con insolito ardore le loro tesi a favore o contro
lavocazione. Contro lavocazione erano gli stessi rappresentanti del Comune e
della Società Magistrale di Bologna. Il Marcati, che fu eletto vice presidente, ebbe una
parte dominante in questo Congresso. Fu lui a promuovere e presiedere una riunione
preparatoria di oltre trecento congressisti favorevoli allavocazione; e fu lui a
presentare lordine del giorno per il passaggio di tutte le scuole primarie allo
Stato, approvato, dopo una lotta serrata e nella più viva commozione, con mille voti
favorevoli e trecento contrari.
Ma
anche questa lotta non fu seguita da concreti provvedimenti. Anzi la situazione peggiorò
di nuovo. Tra gli oppositori si schierò lo stesso Gabelli, che espose le sue tesi sulle
ospitali colonne del Risveglio e provocò una rispettosa, ma ferma e acuta risposta
del Marcati. LOn. Crispi, da parte sua, dimenticò le solenni promesse e al
Ministero della pubblica istruzione non si parlò più di avocazione.
Il
Marcati, dopo un anno di vana attesa, commentò amaramente sul Risveglio del 20
ottobre 1889: "Gli anni dovranno succedere agli anni prima che lavocazione
della scuola allo Stato si compia... ed è inutile parlarne fino a che i cannoni ed i
fucili terranno nel bilancio il posto delle scuole".
Ma,
nonostante tutto, la lotta continuò sempre intensa ed il Risveglio fu in prima
linea nel propugnare lavocazione, "la Riforma delle riforme - come il
Marcati la definì il 12 ottobre 1895 - dalla quale i maestri sperano - e non a torto - la
risurrezione morale della scuola, e la tranquillità necessaria per attendere al loro
ministero con fede e con costanza".
Torna
qui opportuno ricordare che il Marcati, nella sua lunga lotta per la scuola e per i
maestri, non dimenticò mai i fanciulli. Già nei testi per le scuole pubblicati nel 1879,
egli manifestava il più vivo amore per i fanciulli; nel 1883 affermava di essere pronto a
qualsiasi sacrificio personale, purché "avesse a portare frutti di salute morale ed
intellettuale ai nostri fanciulli".
In
particolare il Marcati lottò per la diminuzione del carico nozionistico; fu favorevole
alla riduzione dei numerosi esami che affliggevano continuamente gli alunni delle
elementari ed elogiò i Ministri che resero il diploma di licenza elementare titolo valido
per lammissione alle scuole secondarie; lottò con insistenza a favore
dellistituzione dei patronati scolastici per lassistenza ai fanciulli poveri;
fondò, e diresse per lunghi anni, come già si è detto, un giornale per i fanciulli: Frugolino.
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