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Scholè, La pedagogia cristiana nel Novecento tra critica e
progetto, (di autori vari), La Scuola, 2000, Brescia.
di Massimo Forti |
Quasi
annualmente dal 1954 gli incontri del Centro di Studi Pedagogici fra i docenti
universitari Cristiani (Scholè), hanno proposto una lettura molto ampia dei vari settori
socio-culturali della vita del nostro paese secondo un'ottica dichiaratamente cattolica.
Interessandosi principalmente delle tematiche e dei problemi che investono la pedagogia,
gli studiosi che hanno aderito nel corso degli anni a tale iniziativa, si sono
contraddistinti nella ricerca di motivi educativi validi ad una fattiva applicazione alla
realtà sociale quale il mondo occidentale andava vivendo, senza però mancare di additare
al modello cristiano come ispirazione di fondo da seguire.
Per
questo, pare particolarmente proficuo rileggere gli atti del convegno tenuto a Brescia il
7-8 settembre 1999, pubblicati lanno successivo dalla casa editrice La Scuola con il
titolo La pedagogia cristiana nel Novecento tra critica e progetto. A veder bene,
non sfugge infatti proprio la coincidenza con il tema del primo incontro indetto dal
Centro nel 1954 su La pedagogia cristiana. Nonostante però lapparente
identità di prospettiva trattati nei due incontri, va in effetti sottolineato
preventivamente che loggetto dei rispettivi studi appare notevolmente mutato.
Se
infatti nel 1954 si trattava di stendere le linee essenziali di una pedagogia di chiara
ispirazione religiosa, cercando di ricomporre le tante anime che contrassegnavano il
variegato panorama cattolico, quasi cinquantanni dopo, assunta a propria storia il
percorso che li aveva portati alla vigilia di un nuovo secolo, la riflessione assumeva
toni di rivisitazione delle molteplici strade già percorse, con lintento di
verificare, alla luce delle eventuali strategie di potenziamento del messaggio cristiano
nella società civile, quali nuove prospettive si aprissero nel prossimo futuro.
Quindi,
segnatamente a queste duplici finalità manifestatesi come storiografiche da un lato, e di
progettazione pedagogica dallaltro, prende dunque corpo la serie di interventi che
hanno caratterizzato il recente convegno bresciano.
Possiamo
ricondurre allindirizzo storico-critico le relazioni di L. Caimi e di H. A.
Cavallera, che, a nostro avviso, hanno il merito non soltanto di dare luce appropriata al
contributo cristiano al dibattito sulla pedagogia in Italia nel Novecento, ma hanno
altresì offerto i segni di una sostanziale autocritica verso certi atteggiamenti o
posizioni precedentemente assunte dal mondo cattolico in materia deducazione.
Il
periodo privilegiato da Caimi in La pedagogia cristiana in Italia tra totalitarismi
e democrazia (1929-1954) (pp. 27-79), è quello che vede la ripresa
dellinfluenza cattolica nel mondo filosofico e pedagogico dopo limportante
parentesi idealistica, che, proprio a ridosso del Concordato del 29, iniziava a dare
i primi segni inequivocabili di un progressivo declino.
Da
questo excursus storico di Caimi, vengono infatti riproposte le forme ed i modi
attraverso cui, dagli anni Trenta, lazione dei cattolici riusciva a ritagliarsi
spazi sempre più cospicui allinterno del mondo della scuola e delleducazione,
attraverso le numerose strutture di elaborazione teorico-pratiche di pedagogia che
andavano sviluppandosi con il patrocinio della Chiesa di Roma, e tollerate,
strumentalmente, dal regime fascista.
Ma
al di là della efficace ricostruzione avanzata dal relatore circa gli Istituti allora
esistenti e degli studiosi che li animavano (su cui ampiamente la storiografia educativa
ha scritto), ci pare che risulti degno di nota il discorso avanzato da Caimi relativo al
rapporto dei cattolici con il fascismo, il comunismo ed il nazismo. Questo perché oltre
ad alcune puntualizzazioni sullatteggiamento del mondo cattolico nei riguardi dei
regimi sopra indicati, e soprattutto nel confronto con le loro ideologie, ci sembra utile
sottolineare che lanalisi proposta da Caimi introduca elementi di autocritica di
portata non trascurabile per determinare lesatta collocazione del contributo
cattolico nel contesto politico-culturale dellItalia di quegli anni.
Per
quanto riguarda lattenzione verso il fascismo, poiché la comunità dei
pedagogisti e degli studiosi dei problemi educativi di matrice cattolica si collocò, per
gran parte degli anni Trenta, su posizioni di sostanziale consenso verso gli indirizzi del
regime (p. 39), Caimi ritiene quantomeno doveroso interrogarsi sulle ragioni
di un così diffuso spirito di allineamento (ibidem). Se le ideologie naziste e
comuniste furono infatti condannate con sostanziale energia da parte del mondo cristiano,
la prima con accuse di intolleranza e razzismo per voce di M. Bendiscioli e da L.
Stefanini, ed addirittura la seconda con quella di satanismo" da parte di padre
Barbera, A. Gemelli e M. Casotti, sembra che invece il fascismo, al contrario, abbia avuto
un trattamento di favore nella considerazione dei cattolici almeno fino al 1938, anno
della pubblicazioni in Italia delle tristemente famosi leggi razziali.
Cè
evidentemente una motivazione politica nellapprezzamento dei programmi educativi e
scolastici del fascismo da parte dei cattolici; la strumentalità con la quale questi
hanno accettato di buon grado molti provvedimenti legislativi oltre che didattici, induce
però a pensare che si tratti anche di unaffinità di tipo culturale. Il fine ultimo
delleducazione fascista non escludeva quello auspicato dalla Chiesa cattolica,
semmai aveva sensibilmente contribuito a facilitare il ripristino di alcuni privilegi; da
una parte, il fascismo aveva infatti riportato la religione a scuola ed aveva
temporaneamente risolto il problema della libertà dinsegnamento, e dallaltra,
aveva consacrato la pratica del cattolicesimo come uno dei fondamenti delleducazione
dellitaliano nuovo in continuità con lopera del Risorgimento.
Ma
terminata lesperienza del regime in Italia, il decennio successivo la conclusione
del conflitto mondiale vedeva ancora i
cattolici impegnati a fondo nel discutere le problematiche principali
delleducazione, nonostante il contesto apparisse del tutto mutato. Il confronto con
lormai depotenziato attualismo lasciava il posto a quello con le diverse correnti
culturali emergenti nellItalia post-bellica (esistenzialismo, pragmatisco,
problematicismo, ecc.), nonché con quel comunismo che doveva essere fronteggiato oltre
che sul piano culturale, anche su quello politico.
I
toni aspri talvolta usati dalle diverse parti in causa sono facilmente documentabili; ma
ciò che più ci preme sottolineare in questa sede è lautocritica che Caimi rivolge
allatteggiamento cattolico di quegli anni, in relazione allortodossia da loro
dimostrata nei riguardi delle correnti di pensiero che venivano ad affollare il panorama
pedagogico nazionale. Resta da domandarsi dice lo studioso riferendosi
principalmente al fronte comunista e a quello laico se accanto a queste
riflessioni, da parte della pedagogia cattolica vi fu adeguata capacità di elaborazione
circa i problemi che lo sviluppo della società democratica e il progresso
scientifico-tecnico andavano gradualmente ponendo in ordine ai processi formativi. Di
sicuro, sino al 1954, la ricerca compiuta in tale direzione, benché presentasse alcuni
contributi di qualche interesse, mostrava ancora caratteri incerti e pertanto bisognosi di
approfondimento che, a onor del vero, non sarebbero mancati negli anni precedenti
(p. 64-65).
Il
riconoscimento di una non troppo elevata elasticità di parte del mondo cattolico di
quegli anni, attesta dunque, da parte di Caimi, una attenta riflessione alle polemiche
intercorse tra i vari schieramenti, ognuno dei quali, secondo lo studioso, si trovava ad
essere portatore di valori e prospettive, pur nella discordanza delle opinioni,
riconosciute come egualmente valide e legittime.
Un
ulteriore contributo di autocritica, o quantomeno di ripensamento delle origini della
moderna pedagogia cristiana, è offerto dallintervento di Hervè A. Cavallera. In
La pedagogia cristiana tra le due guerre: il confronto con lidealismo
(pp. 81-131), lautore sostiene una tesi che non mancherà di suscitare le obbiezioni
di alcuni degli intervenuti, tra cui vale la pena di ricordare quelle di Sira Serenella
Macchietti.
Nella
lunga disamina dello studioso, tra le varie affermazioni che colpiscono, primeggia quella
che vede la pedagogia ottocentesca cattolica come eminentemente spiritualistica,
conseguenza di unimpostazione metodologica ricollegabile esclusivamente alla pratica
dellapostolato, che nulla aveva a che fare con la logica e la scienza.
Atteggiamento, questo, che secondo lautore era dovuto alla condanna del modernismo
ed al rifiuto di accettare le posizioni più avanzate della pedagogia contemporanea, che
pur con i limiti di uneducazione di una visione didatticistica si pensi al
positivismo cercava tuttavia di sostenere una alternativa valida
alleducazione tradizionale.
Opinione
di Cavallera è che fu proprio lidealismo a dare un impulso tutto nuovo al modo di
pensare e programmare leducazione; fatto, questo, che non poté conseguentemente non
riflettersi anche sulla pedagogia cattolica del tempo. Lautore può quindi sostenere
a questo proposito che lincontro con il neoidealismo è stato fondamentale per
il pensiero cattolico italiano tra i due conflitti mondiali, anzi si può asserire, per
certi versi, che il neoidealismo ha determinato il costituirsi della pedagogia cattolica,
sia nelle profonde convergenze sia nelle accese divergenze, pur essendone, in altra
misura, una derivazione (p. 81).
La
nuova proposta teorica che lattualismo in particolare offriva alla pedagogia
rispetto alle vecchie metodologie, consistente nel privilegiare laspetto
propriamente spirituale del rapporto alunno-maestro, trovava per Cavallera il punto di
partenza nellidentificazione filosofia-pedagogia avanzata da Giovanni Gentile.
Rispetto
a questo punto, lautore considera fondamentalmente criticabile
linterpretazione, ormai diventata opinione corrente per la storiografia odierna, che
la pedagogia soffrisse del soverchiante peso della filosofia in questa impari
associazione. Questa è una lettura sostiene Cavallera , e non la più
avveduta, del testo gentiliano, il quale poteva essere e doveva essere letto in altro
modo: era sì la pedagogia che si riconduceva alla filosofia, ma era altresì la filosofia
che diveniva pedagogia (ivi, p. 85).
Da
questa importante riflessione che attiene ad una nuova e apparentemente prolifica
contestualizzazione epistemologica della pedagogia, deriva la conseguenza che
lattualismo gentiliano ha potuto ridisegnare, sia in sede teorica che in che sede
pratica, una dialettica filosofica intrinsecamente legata alla religione, tanto da
rappresentare il primo grado nella scala del divenire dello Spirito Assoluto. Se il
cattolicesimo, assunto a modello per levidente peso storico-tradizionale che esso
occupava nella cultura italiana, veniva elevato dallattualismo a mezzo
indispensabile per formare luomo come entità spirituale, il discorso riconducibile
al rapporto didentificazione tra filosofia e pedagogia veniva conseguentemente
spostato verso quello religioso. Sostiene Cavallera a questo proposito che
lattualismo, in breve, si presentava come una filosofia che era una pedagogia
e come una filosofia che riprendeva i temi della religione (p. 86).
A
queste argomentazioni dello studioso, che tendono a mettere in luce le positive novità
introdotte da questa supposta coincidenza di filosofia e pedagogia, possono essere
contrapposte anche le riflessioni che sottolineano i guasti provocati dalla conseguente
applicazione sistematica di tale principio. La letteratura storico-educativa e
critico-pedagogica di matrice laica del secondo dopoguerra ha soprattutto messo in
evidenza questo aspetto, considerandolo limitante per un autentico sviluppo della pratica
educativa e della teoresi pedagogica in senso scientifico. Fatto sta che, al di là della querelle
sulla validità della identificazione filosofia-pedagogia nelle considerazioni
epistemologiche e metodologiche, va rilevato che molti studiosi cattolici videro in essa
il seme per una ulteriore crescita del pensiero cristiano in ambito pedagogico.
È
così che si spiegano molti rapporti di filiazione dallattualismo di pedagogisti di
primo piano del mondo cattolico: Casotti, Stefanini, Carlini, soltanto per citarne alcuni
tra i più significativi.
In
relazione al legame intercorso tra molti di questi autori e Giovanni Gentile, in special
modo quello tra Padre A. Gemelli ed il filosofo di Castelvetrano, Cavallera dedicherà una
approfondita analisi che tenderà ad evidenziare come proprio il neoidealismo sia stato
storicamente lartefice di una indubitabile rinascita della pedagogia cristiana.
Questo
perché esistevano convergenze di fondo tra le due correnti che andavano al di là del
formale riconoscimento di legittimità. Tra le più importanti che lautore ricorda
cè quella per cui la pedagogia è filosofia, ed è
unidentificazione che non è affatto una diminutio, bensì una condizione di
fondo per cui la pedagogia non possa essere più considerata una tecnica di
secondordine (insomma una didattica) e divenire veramente una attività che conti e
che possa contare in quanto filosofia (p. 93).
In
realtà il discorso che per molte parti univa idealismo e cattolicesimo es.
pedagogia come retto vivere, e dunque come animus religioso si differenziava
però per molti aspetti. Come si può infatti notare dalle motivazioni che spinsero molti
autori ad abbandonare lidealismo per il cattolicesimo ortodosso, le contestazioni
più marcate venivano a sottolineare lincapacità dellattualismo di fornire un
corretto significato trascendente alla verità contenuta nello Spirito Assoluto. Casotti,
Stefanini, ma anche Gemelli ed Olgiati dallinterno della struttura della Chiesa, non
contestavano tanto laspetto della logica pedagogica, quanto piuttosto i suoi
presupposti teorici (cfr. p. 104). Ciò veniva ulteriormente ad interessare i
problemi pratici di egemonie culturali, perché se lattualismo si considerava una
filosofia (e quindi una pedagogia) cristiana, il cattolicesimo ortodosso (neotomismo) non
aveva alcuna intenzione di lasciarsi superare nelle sue zone dinfluenza, tanto più
se il contenuto del messaggio idealistico si basava su posizioni di errato immanentismo.
Ma
come è stato poco sopra accennato, posizioni politiche e posizioni culturali camminavano
parallele. Oltre alla Riforma del 23, centrale per la edificazione di una
scuola dal netto profilo spiritualistico, i motivi di forte conversione di progetti (oltre
che di idee) sembravano piuttosto evidenti. Dice a questo proposito Cavallera che la
pedagogia attualistica non era altro che la trasposizione dellanimus
cattolico in una concettualizzazione fuori dalla logica del confessionalismo ortodosso.
Ossia era una lettura non confessionale dellimpegno e dellincontro cristiano.
Il fatto che tale interpretazione avvenisse in un momento di forte tensione tra Stato e
Chiesa, momento a cui seguì poi, col Concordato, la riappropriazione della centralità di
guida spirituale della Chiesa nel contesto socio-politico, acuì il contrasto, anche
perché, diversamente da quanto avvenne molto dopo, con il Concilio Vaticano II, la Chiesa
non era affatto disponibile a consentire forme di pensiero divergente, sia pure entro
certi limiti. Non erano certo i tempi del pluralismo e dellecumenismo (p.
116).
È
da rilevare che questa ammissione di Cavallera circa un certo atteggiamento di rigidità
tenuto dalla Chiesa, e dagli autori che si riconoscevano nelle direttive essenziali
dellorganismo religioso cattolico, rappresenta in un certo qual modo una salutare
autocritica rispetto alla comprensione dei fatti storici che hanno caratterizzato
levoluzione della cultura pedagogica italiana per più di mezzo secolo. Nonostante
infatti si mantenga fermo da parte dellautore il riconoscimento dei meriti che il
cattolicesimo introdusse e promosse nella sua opera di svecchiamento delle proprie
posizioni sulleducazione, è chiaro che la non trascurabile attività politica che
la Chiesa condusse per non perdere (o riacquistare) la sua influenza sullistruzione
non poteva non ripercuotersi anche sulle questioni teoriche e didattiche.
Su
questa riflessione di fondo, dunque, Cavallera costruisce un intervento senza dubbio ricco
di importanti implicazioni, che rimandano senzaltro ad ulteriori approfondimenti.
Ma
è da sottolineare che, allinterno dello stesso Convegno di Brescia, alcuni autori
sentirono la necessità di precisare alcuni punti che Cavallera sembrava sostenere con
apodittica certezza. Ricordiamo ad esempio lobiezione di Sira Serenella Macchietti
secondo cui è dubbio il fatto che Gentile avesse avuto in animo di realizzare lo spirito
del Cristianesimo con il suo attualismo (Domande, sottolineature e qualche
integrazione, p. 204). Oppure, da un punto di vista più specificatamente
metodologico della critica storico-educativa, può essere sottolineato il senso delle
riserve avanzate da Cosimo Laneve in Per lautonomia della ricerca storica in
pedagogia (pp. 195-198).
Secondo
il giudizio di questultimo sui lavori presentati da Cavallera e da Caimi in questo
convegno, verrebbe a mancare la dovuta attenzione ai fattori specificatamente educativi e
pedagogici in una ricostruzione storica che vorrebbe, o dovrebbe essere,
storico-educativa. Il rischio, secondo Laneve, di far arenare la storia della
pedagogia e delleducazione o della scuola e delle
istituzioni educative nei sirti della ricerca storica tout court (p. 195)
si presenta qualora limportanza della contestualizzazione nella ricerca storica
diventi preponderante rispetto ai temi principali riguardanti la pratica stessa
delleducazione, vero oggetto dello studio della ricerca storico-educativa.
La
critica di Laneve si specifica ulteriormente in considerazione all ordine
epistemologico sulla relazione tra storia ed educazione, che si riflette allo stesso
momento anche con una riflessione attenta su molti degli interventi tenuti a Brescia.
Se queste giornate sono state è certo unoccasione importante
per ricostruire uno spaccato del Novecento pedagogico (e questo mio giudizio si rivolge
sovrattutto alle relazioni Cavallera e Caimi) sarebbe forse il caso che si utilizzassero
anche per qualche riflessione sui problemi del fare storia della pedagogia
[
] (p. 197). A questo proposito unindicazione di Laneve può risultare
molto significativa: nel ricostruire un periodo storico delleducativo (o della
pedagogia) occorre, infatti, che si abbiano gli occhiali della pedagogia, la
quale, nel ricostruire leducativo o la specifico pedagogico, non può trascurare di
attingere anche a dimensioni pratiche e progettuali (ibidem). Secondo il critico è
proprio questo aspetto ad essere stato trascurato da Caimi e da Cavallera, ma anche, più
in generale, da molti storici delleducazione presenti nel panorama attuale.
La
corretta pubblicistica storico-educativa dovrebbe informare infatti anche della storia
della didattica, che non sia limitata esclusivamente a quella della scuola; tuttavia,
avverte Laneve, lo stato attuale degli archivi dei beni didattici non è certo
in grado di poter fornire materiale adeguato ad uno studio approfondito di questo settore
così importante della storia delleducazione.
Questo
tipo di lagnanze dello studioso ci sembrano una riedizione degli appelli lanciati da
Giovanni Calò (altro autore cattolico di inestimabile importanza) fin dal 1914 di una
pubblicazione di Monumenta Italiae Paedagogica sulla scorta dellesempio
germanico (e non solo). Pare, quindi, che a distanza di tanti anni e malgrado ripetuti
appelli, la necessità di ottenere una summa dei nostri precedenti educativi sia
teorici che pratici non sia ancora venuta meno. Infatti, nonostante i tanti progressi
conseguiti dallo studio storico in materia deducazione in termini di metodologia di
ricerca, esistono di fatto ancora zone dombra il cui approfondimento sembrebbe
certamente auspicabile.
A
questo proposito gli interventi di Franco Bertoldi La didattica
nellinsegnamento della religione cristiana nei testi scolastici
(pp. 149-158) e di Paolo Calidoni Tra paradigmi e narrazioni: la didattica come
disciplina pedagogica (pp. 159-172) offrono un esempio di come una certa
ricostruzione storica dei fatti riguardanti la didattica soprattutto quella di
ispirazione cattolica sia indispensabile per arricchire un quadro di così vitale
importante, nonostante, a nostro avviso, non manchino di fatto studi eccellenti come ad
esempio quelli offerti negli anni 50 e 60 dalla Bertoni Jovine, o in quelli
più recenti da Cives, Semeraro, Becchi, ecc.
In
questo contesto di riflessione lintervento di Bertoldi ha lo scopo di interessarsi
principalmente del ruolo svolto storicamente dalla didattica religiosa nelle scuole,
soprattutto a partire dal 1923, per arrivare fino ai nostri giorni ,
dimostrando che anche per il catechismo scolastico si è verificata una significativa
evoluzione metodologica. Tuttavia, lautore manifesta la sensazione che tale
evoluzione non sia stata di fatto veloce come quella maturata dalle altre discipline
intervenienti nel discorso pedagogico. Ciò evidentemente per due motivi fondamentali: il
primo è dovuto al legame esistente fra la Chiesa cattolica come istituzione e le
verità nonché le esperienze da essa proposte, che non presentano quella rapidità di
cambiamento alle quali le altre discipline sono soggette [
] (p.153); il
secondo, è principalmente dovuto al fatto che non è stato riconosciuto alla religione
quel carattere formativo attribuito invece alle altre discipline scientifiche connesse
alla pedagogia (psicologia, sociologia, bioetica, ecc.).
Maggiormente
riconducibile al dibattito attuale sulla didattica è invece la relazione svolta da Paolo
Calidoni, che tenta di riconoscere le valenze fondative di questa allinterno
delleducazione. Tra i vari paradigmi succedutesi negli ultimi decenni, la didattica
prendeva forma di riduzionismo sia nei confronti delloggettivismo delle tecniche
scientifiche, sia in quello di un soggettivismo di tipo narrativistico. Lanalisi di
Calidoni, prendendo le mosse dalla constatazione del rischio di chiudersi le possibilità
di percorrere altre vie di approccio didattico che un riduzionismo ortodosso altrimenti
escluderebbe, offre una serie di riflessioni sulla complessità/varietà delle proposte
metodologiche oggi presenti.
Il
progetto delledificazione di una didattica completa e non limitata da schematismi
precostituiti presuppone una dialettica fra la componente tecnico-scientifica e quella
etico-sociale, in cui si possano fondere leuristica dei problemi da risolvere
dellindividuo inteso come soggetto unico ed irripetibile, ad una prospettiva di tipo
sociale, assunta a fattore ineliminabile dal contesto educativo (cfr. p. 170).
Lintervento
di Calidoni avanza dunque una soluzione alla questione relativa allutilizzo della
didattica generale nella pratica pedagogica corrente, mutuando alcune idee dagli autori
del fronte più avanzato della ricerca educativa internazionale, anche non
specificatamente cattolici.
Più
attinenti alla meditazione sul messaggio cristiano in ordine al fattore culturale preso in
senso lato, sono invece le relazioni sul processo di secolarizzazione che investono anche
il tema delleducazione. Occorre ricordare a questo proposito le riflessioni di
Franco G. Brambilla in Il processo di secolarizzazione e leducazione
cristiana (pp. 7-26), a cui fanno seguito quelle di Sandra Chistolini in La
pedagogia della secolarizzazione (pp. 173-181). e di Pietro Viotto in La
secolarizzazione nella scuola italiana (pp. 249-254).
Particolarmente
importante risulta essere lintervento di apertura del Convegno presentato da
Brambilla. Non è infatti un caso che il cattolicesimo, e leducazione cristiana in
particolare, risentano notevolmente di quel processo di secolarizzazione che, secondo il
relatore, sembra ormai superato, nonostante abbia dato adito nel recente passato a
discussioni interminabili e provocato il versamento di veri fiumi
dinchiostro (p. 7).
Seppure
le critiche di quella che va sotto il nome di teologia della secolarizzazione
siano state apparentemente discusse ed inquadrate sia storicamente che socialmente,
individuandone per molti aspetti le forme della spinta con cui si è manifestata, il
problema di fondo consistente nella difficoltà delluomo contemporaneo ad
intendere il linguaggio religioso e quindi ad intendere il senso del discorso (cristiano)
sulla fede (p. 12). È la stessa problematicità che investe luomo odierno che
delinea i percorsi della critica e la revisioni di vecchie impostazioni di trasmissione
culturali, e che si dibatte nella ricerca di una nuova identità in un mondo sempre più
proiettato verso conquiste di nuove frontiere.
In
questo senso è più che appropriato cercare di conseguire una pedagogia che faccia
proprie le istanze di rinnovamento avanzate dalla società civile, individuando quelle
esigenze diventate ormai vitali che sono la libertà, la socialità, lapertura al
diverso e, non ultima, lintegrazione interculturale.
Brambilla,
a questo proposito, avanza il concetto di mediazione pedagogica; dizione,
questa, che come riconosce lautore è diventata ormai di uso comune, ma che non ha
certamente diminuito la portanza del suo significato intrinseco.
Ad
osservare bene, è altresì importante riconoscere una non trascurabile convergenza con i
temi proposti in Italia da alcuni autori appartenenti allarea laico-democratica, che
da alcuni decenni avanzano lipotesi della mediazione pedagogica come forma
mentis attraverso cui realizzare un progetto educativo fondato sul dialogo e
sullintegrazione del diverso.
Fu
Giacomo Cives già nel 1973 a rilanciare, con il volume dal titolo La mediazione
pedagogica (Firenze, La Nuova Italia), questa dicitura, che bene esprimeva
unesigenza di comprensione/compensazione dei diversi fattori in gioco in educazione,
e che ebbe, come abbiamo visto, notevole applicazione e frequenti richiami da più parti.
Se
anche da parte cattolica si sente dunque la necessità di rivedere le proprie posizioni
per sostenere quanto più fortemente lapertura mentale in sede educativa, superando
talvolta qualche chiusura preconcetta dovuta ad unortodossia ben verificabile in
passato, tuttavia rimane ben ferma la volontà di trovare una via cristiana alla
risoluzione dei problemi.
A
separare i diversi schieramenti ideologici (o post-ideologici) non è più una diversità
di fini che rimandano a metodologie distanti tra loro, semmai una questione di valori e di
convincimenti sui quali opera una visione della vita che mantiene inalterate le
differenze.
È
in questo modo che la pedagogia si solleva dai particolarismi meramente pratici per
diventare luogo dincontro di tendenze diverse, alle quali viene riconosciuto il
medesimo ruolo formativo nella realizzazione di un uomo cosciente di sé e perfettamente
integrato nel mondo che lo circonda. Certamente, le differenze che intervengono a
costituire le peculiarità dellinterpretazione del messaggio pedagogico e dello
stile educativo permangono, ma sono da interpretare come arricchimenti e non come ostacoli
ideologici insormontabili.
Per
ciò che riguarda ancora la prospettiva di una pedagogia cattolica, questa sente il
compito di realizzare un uomo e una società tra loro congiunte per mezzo di una
sintesi culturale [che] non può non prodursi che come critica e integrazione degli
schemi interpretativi spesso irrelati e contraddittori (p. 24), in cui proprio la
valenza etico-religiosa appare uno dei tanti elementi fondativi di un simile progetto.
In
questa visione, la centralità della fede non può essere disconosciuta nel suo ruolo
formativo di coscienze attraverso laccettazione del diverso come altro da sé,
avente gli stessi diritti e la medesima dignità allesistenza. Per cui è
indispensabile, per Brambilla, una mediazione decisiva per una pedagogia che approdi
alla pedagogia della fede (p. 26), per potenziare quella coscienza civile e renderla
umanamente più completa sotto ogni punto di vista: del cuore e della ragione.
Qui
si gioca la grande sfida della pedagogia contemporanea, cattolica e non. Limportante
è soprattutto il raggiungimento dei fini prestabiliti, lasciando da parte gli
atteggiamenti rigidi, fruttiferi di incomprensioni ed ortodossie sterili.
Il
mondo cattolico, nel corso del secolo appena trascorso, ha dunque rivisto le proprie
posizioni e compreso la necessità di una doverosa apertura di mentalità rispetto ai suoi
pregressi atteggiamenti, pur mantenendo il tesoro insostituibile del proprio punto di
vista. Operazione, questa, certamente encomiabile e degna di nota, che saprà contribuire
a costituire una pedagogia della libertà che sia veramente fattiva nella teoria e nella
prassi educativa. |