"Della pazzia"

Vincenzo Chiarugi nasce ad Empoli (Toscana ), il 17 febbraio 1759, il 19 maggio del 1779 si laurea in medicina nell'Università di Pisa. Il suo nome si lega alla nascita della psichiatria.Nel 1785 viene in contatto con questa patologia al S. Dorotea, facendosi apprezzare dai suoi superiori per l'ottica nuova con cui affronta la cura degli  psicopatici, fino ad allora considerati pericolosi e tenuti in catene. Nel 1788 viene nominato primo infermiere dell'Ospedale di Bonifazio che viene appositamente rinnovato per la cura dei malati di mente. Le sue esperienze raccolte nell'opera Della pazzia,costituiscono all'epoca  una novità a livello Europeo. Egli affronta le varie argomentazioni sulla "pazzia", analizzandone  con metodo e osservazione i vari aspetti; il delirio , la divisione della pazzia, dello stato dei nervi, ed altro ancora. Al capitolo IV descrive in modo sistematico dell'azione dell'atmosfera, del  sole e della luna, dei venti e delle stagioni, sul sensorio comune. Tutt'ora la sensibilità dei disturbi dell'umore  alle influenze stagionali, ha suggerito l'ipotesi che cambiamenti nell'ambiente fisico esterno possano precipitare o risolvere episodi affettivi ed ha fornito, fin dall'antichità una base per le teorie patogenetiche di tali affezioni. Ne è un esempio l'antica "teoria umorale"secondo la quale la mania e la melanconia sarebbero determinate rispettivamente da un eccesso di bile gialla nella stagione estiva, e da un eccesso di bile nera in autunno.La ricorrenza stagionale dei disturbi affettivi ha stimolato in questi ultimi anni l'interesse di numerosi ricercatori ed ha condotto alla identificazione di entità patologiche che presentano peculiari caratteristiche cliniche ed epidemiologiche. Nel trattato Italiano di psichiatria , (G.B. Cassano, MASSON), al capitolo 49 si affronta in modo analitico il disturbo affettivo stagionale, (DAS), dagli aspetti epidemiologico-clinici, alla diagnostica e terapia.Dati attendibili sulla prevalenza e caratteristiche di tali disordini, necessitano tuttavia di una più approfondita valutazione epidemiologica con adozione di criteri diagnostici ampiamente accettati  e validati.

     da, L'ISULI DU SPRAFUNDU-Di Giancarlo Tusceri - premio Romagna 1992  per il romanzo SARDO 

Gian Carlo Tusceri nato a La Maddalena il 2 ottobre 1944,laureato in scienze politiche è responsabile dei servizi cultura e assistenza sociale del Comune di La Maddalena. Dal '90 al '99, ha scritto poesie, romanzi e racconti  ripercorrendo magistralmente momenti della storia Maddalenina..  E' vincitore di alcuni importanti premi letterari regionali, tra questi , il premio Romagna 1992 per il romanzo Sardo con la composizione: "l'isuli du sprafundu" 

 

Cronache del vento lungo - (cronachi du'entu longu )

Il "ventu longu", è il vento di ponente maestrale che viene da nord ovest , che soffia quanto e quando  vuole e,  sopratutto  che opera oltre l'umano e oltre il conoscibile.Il vento in quest'isola si abbatte flagellando gli alberi e il mare,il vento in questo arcipelago è qualcosa di diverso,di inevitabile di dominante!

          

-U 'entu longu si sprafunda supra a l'isuli da punenti. I scoddhi so sbuzzati a filu di pioda cume facci d'indiani cancarati, sempri aspittendi l'urtima prighiera, primma chi si scatinessi l'urtima battaglia. U 'entu longu s'infizza, rutulendi cum'una tamburlana, supra i scoddhi pinzuti, supra i tegghj, indrintìi perchj, s'inviloppa, s'invurtuligghja e a l'urtimu scioppa un de tavvoni cumi u biddhiccu du dialu, chi si crepa in corpu -( Il vento lungo aggredisce le isole da ponente.Gli scogli vengono scolpiti seguendo il filo del granito,come se fossero facce immobili di indiani,in attesa dell'ultima preghiera,prima dell'ultimo assalto.Il vento lungo si insinua, ruzzolando come una botte sugli scogli appuntiti,sulle lastre di granito,dentro le fenditure,si imbozzola, poi si aggomitola ancora e alla fine esplode negli anfratti, come l'ombellico del diavolo, che salta in aria con tutte le sue  viscere)

Il ventu longu è l'invenzione narrativa di Tusceri, l'ingrediente essenziale della narrazione de "l'isuli du sprafundu", la causa di quanto accadeva allora agli abitanti dell'isola, afflitta dalla "sindrome da vento lungo".Espediente narrativo, ma non solo, poichè il Dottor Virdis, lasciava alla sua morte, alla biblioteca comunale insieme ai libri sui quali si era formato all'Università,  il suo quaderno di appunti e di considerazioni contrassegnato dalla scritta , lapidaria come una diagnosi : "sindrome da vento lungo"Al vecchio dottore Maddalenino, il ruolo di garante dei fatti, e della "follia di l'isulani", a  Tusceri il merito di una sorprendente  trasposizione artistico letteraria.

" U macchìnu di l'isulani" (la follia degli isolani) "

U macchìnu,  in quist'isuli, scricchisci da sempri in quisti taneddhi infummicati , cun porti e barconi sarrati a morti, quandu fora buinigghja u'entu  longu. Qiddha nota di burdoni, rozza fa trimmà in corpu u ciarbeddhu , aggrunchjatu indrint'a quiddhi scatuleddhi d'ossu, brusgjati da u soli, passendi atraverzu l'aricchj,scardinendi l'ossareddhi d'indrintu e sfurcunendi unde carrugghj più appiattati du capu, a la ricerca d'una purticina, d'un barcunettu chi però nun esisti. U sangui buddhi e bumba, indrint'a i veni, e u ciarbedhu sciaccatu s'allarga, livitigghja   indrint'a so scatuleddha d'ossu e spugna dinò u sangui chi avali allaga a marra du coddhu ,quasi a fallu sciuppà, cumi a circà un sfogu attraverzu l'aricchj, undi miglioni d'apiroli, parini riunissi in cuncertu e allora a gula si sarra pe l'arsura , u nasu s'attappa, l'occhj s'ingunfini cume dui patecchi e i parpiddhi sicchi , risciummati cume dui linticchj, diventini vìi e ponni espludì da un momentu al'antru : è u primmu mar di capu da ventu longu. L'isulani cunnoscini quistu stuntunamentu da sempri e proìni acuntrullallu cumi ponnu.Si mettini, quandu si sentini cussì intuvvunati, u mandillu da gruppu inturcinatu cum'una benda, supra a fronti, e si lu strignini  a la morti, da daretu au capu, passendi supra a l'ariichj.U mandillu cussì alligatu, veni chiammatu da l'isulani "bindò".( La follia in queste isole, si sviluppa sempre in quelle casette basse, affumicate, con porte e finestre sprangate , proprio quando fuori, per le stradine, ulula il vento lungo.Quella nota tesa di Bordone, rozza, fa vibrare le più intime fibre del cervello, rattrappito in quella scatoletta d'osso, bruciato dal sole, passando per i padiglioni auricolari, scardinando gli ossicini interni, e sconvolgendo il flusso sanguigno contenuto dalla dura madre, alla ricerca di una via di fuga che non esiste. Il sangue bolle e scoppia, nelle vene, e il cervello compresso, si dilata, lievita dentro la sua scatoletta d'osso e si rattrappisce nuovamente e il sangue allaga adesso la radice del collo, quasi a volerlo fare esplodere,come a cercare ancora uno sfogo attraverso le orecchie, dove milioni di piccole api sembrano riunite in concerto .... La gola si chiude per l'arsura, il naso si tappa, gli occhi si gonfiano come due angurie, e le pupille secche, ravvivate come due lenticchie, ora diventano vive e sembrano esplodere da un momento all'altro: è il primo mal di testa da vento lungo.Gli isolani conoscono bene questo stordimento da sempre e provano a controllarlo come possono. Si mettono, quando si sentono in questo stato debilitante, un telo da cucina, piegato a triangolo e poi avvolto come una benda, sulla fronte, e se lo stringono per quanta forza anno, dietro la nuca, passando sulle orecchie. Il telo sistemato amò di benda, cosi legato, viene chiamato dagli isolani "bindò".)

"I macchi di Rizzeddhu" (I matti di Rizzeddu) 

A i tempi di baddhalandola, unu pinzàia chi tutti quiddhi malati di ciarbeddhu, crisciuti cumi un babbauzzu indrint'a una pianata ammusciata, erini mezz'ommi, senza pinzeri boni, senza valori.Quandu quarchidunu arrivaia a u puntu di mittissi u bindò, vulìa di chi u 'entu g'aia ghjà tuccatu i sentimenti e chi quiddha nun era più una parzona da fa affidamentu pe qualunqui sia cummissioni ..Quistu, puri si qua si troa in certi mumenti, tuccatu da u macchìnu du  'entu, riesci  a  ffa cosi chi l'antri - chi tuttu u mondu  cunnosci cume sani e ghjudiziosi - nun riescini mancu a pinzà. Quistu fattu è pussibbili, perchè i macchi di ventu g'hanni una libertà di ghjudiziu e una capacità di crià u so mondu cu a fantasia, chi nun cala a cumprumissi cun nuddha. Propiu u  'entu longu, di li vorti, libirigghja  u tappu da gerra undi ognunu di no appiatta i so sintimenti, i so pinzeri e i so pauri..... Monda malatìi mintali , si nun tutti, erini - a quantu dicìini i duttori di Rizzeddhu (u manicomiu di Sassari), cumpruendi quiddhu chi dicìa duttor Virdis, i cunsiguenzi privisti di quiddhi malatìi presi in casinu.U  'entu longu, turnendi tutti i iorni a suminà in quisti ciarbeddhi ghjà malati, truàia tirrenu grassu pe fagh'atticchì u so macchìnu. U punenti era cunsidiratu allora cum'un palanchinu chi incugnatu indrint'a u capu, facìa sartà fora  i malattìi ereditari, magari finu a quiddhu momentu cuati in quarchi catagnonu du ciarbeddhu, e si scatinàini cussì cumpurtamenti viulenti e senza sensu, alumancu apparenti. Tra l'isula e Sassari gh'era cussì un trafficu cuntinuu di malati di ciarbeddhu : ghjenti chi partìa indrint'a cammisgja di forza e chi facia ritornu a l'isula imbuttitu di medicini e droghi, strunatu da i scarichi elettrichi e di li vorti ancòra da i bastunati. (Quando la  scienza per i Maddalenini era soltanto una ipotesi, si era soliti credere che tutti i matti dell'isola, dal depresso al melanconico allo schizofrenico, cresciuti come un bozzolo di larva in una pianta avvizzita, fossero una via di mezzo tra gli umanoidi e i vegetali, senza pensieri degni di tal nome, senza valori di alcun tipo.Quando uno di questi, infatti, arrivava al punto di stringersi la fronte. le tempie e la nuca con fazzoletto stretto ("bindò"), voleva dire per loro che  il vento gli aveva già sconvolto i sensi e che conseguentemente la comunità non poteva in alcun modo fare più affidamento su di lui. E ciò- si noti- sebbene il matto conclamato , "contagiato" a loro avviso dal vento, riuscisse talvolta a realizzare progetti che, coloro i quali erano ritenuti sani di mente, difficilmente riuscivano soltanto a pensare. Ciò in effetti è possibile, perché i matti di vento, possiedono una libertà di giudizio e una capacità creativa che consente  loro di inventarsi il mondo con una fantasia che non scende a compromessi con nulla. Proprio il vento lungo, a volte, dà la stura all'otre dove ogni individuo nasconde gelosamente i propri sentimenti, i sogni, le paure. Molte malattie mentali, se non proprio tutte, erano secondo quanto riferivano i medici di Rizzeddu (il manicomio di Sassari), confermando ciò che asseriva il dr. Agostino Virdis, le conseguenze di malattie veneree contratte nelle case di tolleranza.Il vento lungo, portando quotidianamente scompiglio in questi cervelli già sofferenti, trovava terreno fertile per farvi attecchire le uova della follia che portava con sé.Il ponente era considerato come una leva, che puntava tra i meandri cerebrali, faceva esplodere all'improvviso le malattie ereditarie fino a quel momento nascoste in un angolo recondito del cranio. Si scatenavano in tal modo comportamenti violenti e, almeno apparentemente senza senso. Tra l'isola e Sassari si creava in tal modo un flusso continuo di malati mentali: persone che partivano con la camicia di forza e che facevano ritorno all'isola imbottiti di medicine e  di droghe, intontiti dalle scariche elettriche e a volte pure dalle bastonate.)

 

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