N°2 - GIUGNO 1999

COMMENTO CRITICO ALLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO : DELEGA AL GOVERNO PER LA REALIZZAZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E PER L'ADOZIONE DI UN TESTO UNICO IN MATERIA DI ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO DEL SSN. MODIFICHE AL DLG 30 DICEMBRE 1992 N. 502.

PREMESSA: IL MOVIMENTO DI LOTTA PER LA SALUTE ESISTE ANCORA?
E' una domanda che ci poniamo ciclicamente e che non vuole essere retorica. L'occasione ci è data dalla proposta di decreto legislativo approvato il 15 aprile dal Consiglio dei ministri che dovrà entro il 21 giugno portare a compimento la delega (Legge 419/1998) ricevuta dal Parlamento per modificare la legge di riordino del servizio sanitario nazionale (DLg 502/1992 e successive modifiche). Non esiste un Movimento di Lotta per la salute che pur diffiiso in varie situazioni territoriali risponde ad un'unità di idee e di intenti. Piuttosto vi sono molti movimenti, quasi esclusivamente monotematici, che sono nati e nascono per difendere la salute di una popolazione locale contro l'inceneritore o la discarica, oppure per opporsi agli insediamenti di antenne TV o altri trasmettitori portatrici di dannosi campi magnetici. Abbastanza sviluppato e per certi versi più unitario è il movimento che opera per l'eliminazione dell'amianto, per le bonifiche di ambienti di lavoro e di territori oltre che per il riconoscimento dei danni agli esposti. Inoltre significative sono quelle situazioni che si sono create a seguito di movimenti e che vedono aperti processi giudiziari a causa di impressionanti attentati alla salute, come, prima di tutto e sostanzialmente, è avvenuto a P.to Marghera per principale iniziativa di Medicina Democratica. Altri tipi di movimento potrebbero essere cercati nelle numerose associazioni che sono nate in questi ultimi anni, prevalentemente per difendere i diritti di persone colpite da gravi malattie o pesanti handicap. Le associazioni a tutela dei diritti non vanno confuse con quelle del volontariato "consolatorio", che mai si pongono il problema del perche' la persone cui prestano aiuto si trovano in condizioni di sofferenza e di mancanza di risposte adeguate. All'interno di questo discorso deve essere notato il silenzio degli operatori, tecnici, sociali e sanitari. Gli esperti ed i ricercatori sono nel loro mondo, si confrontano fra loro e nei loro congressi, forse fanno scoperte ed hanno importanti intuizioni che pressoché mai vengono portate al confronto democratico con chi potrebbe utilizzarle, pur all'interno di un processo di critica. Gli operatori in generale dei servizi e delle strutture sanitarie e sociali non escono dalla loro frustrazione di insoddisfazione per il lavoro che fanno, per ciò che gli manca , ricorrendo piuttosto a pratiche neocorporative per difendersi piuttosto che creare mobilitazione e rivendicazioni. I nuovi operatori nati a migliaia dalla flessibilità del lavoro e dalla volontà politica di ridurre pesantemente l'intervento sociale dello Stato sono, per condizione oggettive, talmente deboli, che non possono e non riescono, almeno nel breve periodo, ad organizzarsi efficacemente per rivendicare alcuni diritti fondamentali. Si è costituito proprio un organismo sociale neocorporativo, quindi interdassista, capace di soffocare o almeno di isolare le lotte, di impedire il raccordo fra queste, di chiudere qualsiasi organizzazione di massa che potrebbe mettere a nudo le concezioni e le scelte del sistema. La massima responsabilità, all'interno delle classe subordinate, nell'accettazione di questo nuovo ordine, è da attribuirsi ai sindacati confederali.
Prima di tornare alla nostra discussione sulla sanità e sul processo di riorganizzazione in corso non possiamo tacere il più grande e più grave avvenimento in corso. Parliamo della guerra aggressiva della NATO contro la Serbia, cui il governo italiano si è attivamente accodato creando un clima di servilismo e di subordinazione mai riscontrato fino ad oggi. Al di là della materialità della guerra con quello che produce in termini di morti, malati e distruzione, va considerato il clima che si è creato e si crea di passività e di indifferenza per la gran parte della popolazione, per cui il terreno per la nascita e la crescita di movimenti di critica e rivendicazione è sempre più difficile.
I n questo clima - se questa analisi viene condivisa - dobbiamo discutere di difesa del diritto alla salute, di organizzazione del servizio sanitario, di decisioni legislative di riordino e ristrutturazione del Servizio Sanitario Nazionale. Il Ministro Bindi ha predisposto un testo che - a proposito di movimento - ha suscitato feroci reazioni, da parte delle corporazioni mediche, da parte di diverse regioni e di membri dello stesso governo. Naturalmente da destra. Il nocciolo è forse questo: il ministro vuole rallentare il processo di privatizzazione, di destrutturazione del servizio sanitario nazionale. Il ministro tende a limitare alcuni privilegi, senza peraltro toglierli, dei dirigenti medici, dei nuovi amministratori; si vuole opporre ad alcuni processi di liberalizzazione terapeutica ed economica avanzati e praticati da diverse regioni pur politicamente diversamente orientate. Le nostre difficoltà quindi aumentano perché da un lato non condividiamo il taglio di fondo che deriva da questo nuovo decreto, quello dell'aziendalizzazione della sussidiarietà e della libera professione intramuraria, dall'altro ancora meno condividiamo la liberalizzazione assoluta, il passaggio al sistema assicurativo, la subordinazione della sanità all'economia voluto dalla gran parte del governo, dalle corporazioni mediche, dalla Confindustria, nonché dalle società profit e da molte non profit che sulle ceneri del servizio sanitario nazionale pensano poter fare vasti profitti o ottenere altri tipi di privilegi. Si deve essere in grado di rispondere in tutte e due le direzioni e di defmire forme di lotta adeguate. E' importante in questa occasione sforzarci tutti per vedere che cosa al proposito possiamo fare: Una manifestazione davanti al Parlamento, in occasione della discussione nella Commissione Affari Sociali?, Un presidio al Ministero della Sanità?, Una conferenza Stampa, delle iniziative locali ( ad esempio presentare contemporaneamente a tutti i direttori generali un nostro documento)? il pericolo è quello che sulle pressione dei soggetti di cui sopra il testo elaborato dal ministero e approvato a denti stretti dal governo venga ulteriormente peggiorato nel corso delle consultazioni con le regioni con le organizzazioni sindacali e su richiesta delle commissioni parlamentari che devono esprimere un parere obbligatorio.
IL PIANO SANITARIO NAZIONALE E IL FEDERALISMO FISCALE
I l testo è complesso e contraddittorio, Per il momento dobbiamo vedere quali sono gli obiettivi che vogliamo raggiungere cercando di puntare su alcune modifiche essenziali e possibili, successivamente stabilire quale utilizzo fame in termini rivendicativi a partire dai cambiamenti positivi che defmisce. Infatti la filosofia della legge cambia rispetto al vecchio 502, in quanto viene riposto al centro dell'intervento sanitario il diritto alla salute, cui contestualmente per la sua realizzazione devono essere defmite le risorse necessarie e si deve operare seguendo un piano sanitario. I piani sanitari regionali non possono prescindere da quello nazionale. Oggi noi abbiamo una situazione particolare: molte regioni sono prive di piano sanitario, altre hanno fatto piani, lontani dalle indicazioni di quello nazionale. Le regioni non possono rivendicare autonomia totale e assoluta, sia perché giustamente i livelli di assistenza devono essere omogenei su tuffo il territorio nazionale, sia perché dietro a certe prese di posizione delle regioni si nasconde la volontà di marginalizzare il SSN, di affidarlo nel senso della sussidiarietà, a enti e strutture esterne. Per la verità il governo si prepara ad emanare un atto che segnerà, in un tempo non lungo, la fme del servizio sanitario nazionale. Parliamo del federalismo fiscale, della eliminazione del fondo sanitario nazionale e del termine di tre anni nel quale ancora funzionerà la quota capitaria. Secondo questo provvedimento passati i tre anni in cui si avranno ancora delle compensazioni fra le regioni, si determinerà una situazione incerta: le regioni destineranno alla sanità quanto decideranno in base alle scelte politiche e alle risorse che riterranno opportuno mettere a disposizione. Si possono leggere nel decreto vari elementi che si muovono se non nella direzione del federalismo fiscale almeno in quello della sussidiarietà che, al tempo stesso, conduce alla fme del SSN: al proposito ci sembra inaccettabile il conuna 16 dell'articolo i che afferma: "le associazioni e gli organismi a scopo non lucrativo concorrono con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate di cui all 'articolo 4 comma 12, alla realizzazione dei doveri di solidarietà dando attuazione al pluralismo etico-culturale della persona." . Sappiamo che dietro a questo discorso si nasconde la volontà di affidare al non profit, in flinzione sussidiaria, i cosiddetti servizi alla persona. Dobbiamo pertanto richiedere che questo comma venga abrogato come cercare di eliminare la possibilità per le regioni di definire in modo autonomo il quantitativo di denaro necessario alla sanità. Quanto prevede il Piano Sanitario Nazionale come quota capitaria deve sempre comunque essere mantenuto.
I DIRETTORI GENERALI
I direttori generali, rispetto alla normativa precedente, vengono sottoposti a qualche ulteriore controllo senza che il loro potere di fondo venga modificato. Ci si era battuti perché i comuni potessero avere un potere determinante nella nomina e nella revoca dei direttori, senza farsi eccessive illusioni sulla loro volontà e capacità di intervento sulla organizzazione sanitaria e sul diritto alla salute. Nello schema di decreto è passata la possibilità di richiesta formale e "pesante" da parte dei comuni di rimozione del direttore generale in caso di grave inadempienza, soprattutto per mancata attuazione del piano attuativo locale. Viene istituito al proposito un organismo chiamato "Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale" nella quale sono chiamati ad intervenire in modo permanente i comuni. Il medesimo discorso vale anche per i distretti che vengono reistituiti e definiti nelle loro funzioni in modo dettagliato. Una migliore organizzazione dei distretti e un più puntuale - ma non essenziale - intervento dei comuni costituiscono una maggiore opportunità per gli utenti, ma non modificano la sostanza dei poteri e delle funzioni dei direttori generali. In effetti si possono fare anche ottimi piani attuativi delle A-USL, ma si può, al tempo stesso prendere delle decisioni quotidiane che smantellano il SSN. Quando si chiudono servizi territoriali, si riduce il personale, quando, in altri termini, i direttori generali operano in flinzione del bilancio prima che della salute si raggiunge tale obiettivo. In questo il decreto legislativo proposto in nulla modifica le fimzioni del direttore generale. Per quanto ci riguarda in termini rivendicativi dobbiamo, a partire dai comuni dove siamo presenti, sia all'opposizione che in maggioranza, fare prendere coscienza ai comuni delle possibilità giuridiche e soprattutto politiche, che i sindaci hanno in tema di salute pubblica e di controllo dell'organizzazione sanitaria. Quello che prevederà il decreto dovrà essere puntualmente esaminato e ampiamente utilizzato. I comuni devono intervenire soprattutto nella realizzazione dei distretti, visto che dal decreto vengono decisamente sottolineati. Devono entrare nel merito delle delimitazioni territoriali e devono fare la massima attenzione a non confondere i compiti loro propri di assistenza sociale, passibili di delega, da quelli sanitari di competenza della A-USL. Occorre nella misura in cui è possibile proporre emendamenti più chiari in merito al potere di revoca da parte dei comuni del direttore generale.
LA PARTECIPAZIONE
L a partecipazione è una conquista, non può essere definita delle istituzioni, certo le istituzioni la possono favorire, la possono riconoscere nel momento in cui i soggetti utenti del SSN cercano di promuoverla. Le istituzioni, nonostante le leggi, in particolare l'articolo 13 della 833/78 hanno da sempre cercato di negare la partecipazione, oppure di contro hanno promosso un tipo di partecipazione ad uso loro proprio, a sostegno delle proprie scelte. Del primo tipo di partecipazione le istituzioni, in questo caso l'organizzazione sanitaria ha paura. Quello che viene dato con una mano viene tolta con l'altra. La legge delega (n.419/88) dice all'articolo 2 comma 1 lettera e): "realizzare la partecipazione dei cittadini e degli operatori sanitari alla programmazione ed alla valutazione dei servizi sanitari; dare piena attuazione alla carta dei servizi anche mediante verifiche sulle prestazioni sanitarie, nonché la più ampia divulgazione dei dati quantitativi ed economici inerenti alle prestazioni ero gate". Il decreto legislativo proposto dice tutt'altro, svuotando il senso delle parole della legge delega: "Le regioni, entro 150 giorni dall 'entrata in vigore del Piano Sanitario Nazionale, adottano o adeguano i piani sanitari regionali, prevedendo forme di partecipazione dei comuni, ai sensi dell 'articolo 2, comma due bis, nonché delle formazioni private non aventi scopo di lucro impegnate nel campo dell 'assistenza sociale e sanitaria, delle organizzazioni sindacali degli operatori pubblici e privati e delle strutture private accreditate del SSN". Anche il punto ff) dell'articolo 2 della legge delega, in merito alla partecipazione afferma che si debbano "definire i criteri generali in base ai quali le regioni determinano istituti per rafforzare la partecipazione delle formazioni sociali esistenti sul territorio e dei cittadini alla programmazione ed alla valutazione dell 'attività delle aziende sanitarie secondo quanto previsto dagli articoli 13 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 e 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 e successive modifiche", mentre nella bozza di decreto, inserito nell'accreditamento istituzionale (articolo 8-quater) si dice: "L 'atto di indirizzo e coordinamento è emanato nel rispetto dei seguenti criteri e princtpi direttivi: J) prevedere la partecipazione degli operatori a programmi di valutazione sistematica e continuativa della appropriatezza delle prestazioni e della loro qualità, interni alla struttura ed interaziendali; h) prevedere forme di partecipazione dei cittadini e degli utilizzatori dei servizi alla verifica dell 'attività ed alla formulazione di proposte rispetto alla accessibilità dei servizi offerti, nonché 1 'adozione e l'utilizzazione sistematica della carta dei servizi per la comunicazione con i cittadini, inclusa la valutazione di cui alle lettere e) ed 4). " Come si può notare la delega è più precisa e determina chiaramente un intervento dei soggetti della partecipazione nella valutazione e programmazione dei servizi, non solo come semplice proposta. Il nostro soffermarsi puntiglioso sul tema della partecipazione deriva da una constatazione storica e da una nostra convrnzione profonda: la salvezza del SSN e la sua rispondenza ai bisogni di salute della popolazione dipende dall'intervento diretto di quelle che sono state chiamate formazioni sociali sul territorio, cioè dei movimenti di base, delle associazioni dei diritti, anche di singoli cittadini: Chi non ha perso la memoria sa che le condizioni di salute, quindi di lavoro, dentro le fabbriche, negli anni 68-73 hanno subito una svolta positiva di 180 gradi quando i lavoratori si sono organizzati, a partire dalle condizioni omogenee di rischio e di possibile danno ed hanno rivendicato ed anche indicato, miglioramenti e modifiche radicali dell'organizzazione del lavoro. P ertanto il decreto legislativo deve seguire la legge delega ed affermare che: "ogni volta che sul territorio si costituiscono organismi di cittadini e di operatori, di formazioni sociali esistenti ed operanti, allo scopo di perseguire le finalita' del servizio sanitario nazionale e, al proposito, di intervenire nella verifica, nella programmazione e nella valutazione dei servizi e delle strutture, le amministrazioni delle A-USL e delle Aziende ospedaliere, le riconoscono quali Comitati di Partecipazione e mettono loro a disposizione per potere svolgere i compiti, definiti da un apposito regolamento approvato con delibera dal Direttore generale, d'intesa con i medesimi comitati, la strumentazione e le sedi adeguate."
Milano, 5 maggio 1999
Fulvio Aurora

Ultima modifica: 1° ottobre 1999