BOLLETTINO N°4 - FEBBRAIO 2000

LA RIFORMA SANITARIA HA FUNZIONATO

 

Il Sistema Sanitario pubblico ha presumibilmente determinato il più grande avanzamento della salute che la nostra storia ricordi. L’aspetto più odioso, in termini di sanità pubblica, è che il processo contro- riformatore e reazionario che ha caratterizzato gli anni sino alla legge De Lorenzo, e che ora è presente nelle politiche del centro destra e nei referendum radicali, non ne ha tenuto conto. La modifica regressiva del sistema viene rivendicata indipendentemente dai reali risultati che il sistema pubblico ha ottenuto. E’ anni che della sanità si parla senza mai far riferimento ai veri indicatori che la analizzino.

Già agli inizi degli anni ‘80, subito dopo l’approvazione della Riforma (L.833 del 1978), mentre ancora sui bilanci statali gravava il peso della precedente gestione sanitaria di tipo mutualistico, si iniziò a porre la questione dei vincoli economici sul sistema sanitario, a prescindere dalla valutazione del processo e dai risultati che esso produceva. Questo orientamento politico ideologico ha attraversato tutti gli anni ‘80, proprio mentre il Sistema Sanitario Riformatore diventava prevalente nel Paese. Grandi interessi economici sono stati il motore della campagna ideologica contro la Riforma Sanitaria: è la campagna sulla MALASANITA’. Singoli episodi di ritardo nella erogazione di specifiche prestazioni assistenziali o di cura sono stati utilizzati come indicatori delle disfunzioni generali. Le pessime condizioni alberghiere dei grandi nosocomi del nord o le fatiscenti strutture ospedaliere del sud sono state additate come esempio dello sfascio dell’intera sanità. Una grande alleanza di interessi economici ha sostenuto e sostiene il progetto reazionario di critica alla sanità pubblica. Secondo questi interessi, la sanità deve essere trasformata in un mercato di sistemi diagnostici e di cura (si parla quindi sempre di code per gli esami) e deve abbandonare l’obiettivo primario di promuovere la salute per tutti abbattendo i fattori di rischio e garantendo al più possibile le migliore terapie a ciascuno (non si parla mai infatti della riduzione della mortalità complessiva).

Così come dobbiamo duramente criticare la contro- riforma De Lorenzo, dobbiamo al contrario giudicare positivamente il decreto Bindi. La riproposizione del diritto alla salute, come diritto fondamentale della persona, presente nel decreto Bindi, è un elemento fondamentale perché costringe alla valutazione degli esiti del processo (cioè: a tutti è stato garantito tale diritto?) e ci allontana dalla semplice valutazione degli indicatori di efficienza che possono essere positivi anche quando la condizione reale di salute peggiora: si fanno tanti esami – magari non utili - e chi è più debole non ottiene la terapia efficace. Mentre sappiamo da tutti gli indicatori sanitari che vent’anni di Riforma hanno comportato grandi miglioramenti, non sappiamo quale sarà l’esito del processo reazionario di tipo economicista che ha interessato la Sanità nell’ultimo decennio.

Nell’affrontare il tema della valutazione di un Sistema Sanitario in una popolazione è necessario rifarsi a due elementi entrambi essenziali: 1. gli indicatori di processo che descrivono la capacità del sistema di combattere e controllare le malattie 2. Il grado di democrazia del sistema: la capacità cioè di rispondere direttamente alla popolazione coinvolta. E’ certo che sul primo punto, i risultati della Riforma Sanitaria del 1978 sono fortemente positivi e una conoscenza reale del fenomeno, è la base per una risposta definitiva a chiunque tenti di affossare un sistema che funziona; al contrario, ritardi sono evidentemente visibili sul secondo versante, quello del controllo sulla organizzazione sanitaria, sulle modalità con cui essa si presenta, sulla questione relativa della ‘medicina separata dal paziente’. Si tratta in questo caso di affrontare correttamente la questione. Si tratta di porre le giuste domande e individuare le trasformazioni necessarie per una medicina per i cittadini.

 

 

La speranza di vita alla nascita

Il principale successo delle politiche sanitarie è rappresentato dal notevole invecchiamento della popolazione negli ultimi decenni. Anche per la contemporanea caduta della natalità, l’Italia è diventato il paese più vecchio d’Europa e del mondo. Viene stimato che nel corso degli ultimi decenni del ‘900 la popolazione italiana abbia guadagnato un anno di vita ogni anno di calendario. Mentre ancora negli sessanta riconoscevamo come anziani le persone con età superiore a sessant’anni, e’ ormai esperienza comune incontrare ultra- ottantenni nel pieno della proprie facoltà fisiche e mentali. Rispetto ad una media europea di 74 anni per gli uomini e 80 per le donne, in Italia la speranza di vita è rispettivamente 75 e 81. D’altra parte in Italia permangono differenze geografiche importanti nell’attesa di vita che indicano la presenza di differenti livelli di protezione sanitaria.

La riduzione della mortalità

La maggior longevità in Italia è soprattutto associata alla:

La riduzione della mortalità infantile

Il tasso di mortalità infantile è il più comune indicatore per giudicare lo sviluppo dei sistemi sanitari ed è in generale utilizzato anche per valutare il grado di sviluppo economico di un paese. Nel 1994 (ultimi dati disponibili e comparabili) il tasso di mortalità infantile era 6,4 per 1000 nati vivi, di poco superiore a 6,18, che è la media europea. Rispetto agli anni ’80, prima che la Riforma Sanitaria esplicasse i suoi effetti la mortalità in Italia si è ridotta del 50%, è il maggior miglioramento riscontrato in Europa nel periodo. Il valore medio italiano è il frutto di valori al nord prossimi ai più bassi in assoluto in Europa a fianco di valori ancora superiori a 8 per 1000 nelle regioni meridionali.

Incidenti e infortuni

Il tributo a incidenti stradali (8500 decessi l’anno), domestici (7800 decessi l’anno) e sul lavoro (1200 decessi l’anno) è inaccettabile. Rappresenta il risultato di una inadeguatezza dei sistemi di prevenzione, per i quali le richieste di modifica del sistema pubblico non faranno che aumentare il rischio. Particolarmente colpiti da questi gravi ritardi nel controllo sanitario sono le casalinghe, i giovani e i lavoratori così da determinare un rischio differenziale di morte per gruppo sociale.

La sopravvivenza per tumore

Negli anni ’80 e ‘90L’Italia ha conosciuto il miglior incremento della sopravvivenza per tumore in Europa e attualmente per la gran parte delle patologie tumorali la probabilità di sopravvivere alla malattia e pari alla media europea e a volte non lontana dai massimi dei paesi del nord.

Sopravvivenza per tumore a 5 anni dalla diagnosi per i pazienti diagnosticati nel 1987-89. Europa

 

Colon

Mammella

Prostata

Paesi nordici

50%

81%

66%

Italia

49%

79%

53%

Europa

48%

74%

58%

La sopravvivenza per il tumore della prostata che risulta più basso della media europea è spiegabile con una diversa scelta di inclusione di casi nelle statistiche italiane.

 

Sopravvivenza per tumore a 5 anni dalla diagnosi per i pazienti diagnosticati nel 1985-89

Province italiane

 

Mammella

Tutti i tumori, Uomini

Tutti i tumori, Donne

Varese

79%

34%

55%

Romagna

86%

37%

55%

Ragusa

64%

26%

45%

L’alto valore medio di sopravvivenza per tumore in Italia si accompagna a valori altissimi in Romagna, e decisamente bassi al sud, evidenziando una diseguaglianza tra aree nella capacità di cura e controllo della malattia.

Questi dati relativi alla patologia tumorale e in generale i dati di mortalità differenziale suggeriscono che il problema italiano non sia quello del sistema sanitario nel suo complesso: perché esso ha dato ottima prova di sé raggiungendo punte di alta qualificazione e efficacia. il problema italiano è quello delle diseguaglianze geografiche e per strati sociali che richiedono politiche adeguate e la partecipazione dei cittadini.