BOLLETTINO N°4 - FEBBRAIO 2000

ASSOCIAZIONE ESPOSTI AMIANTO

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PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13,

comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione

dell’impiego dell’amianto), come modificato dall’art. 1, comma 1, del

decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del

settore dell’amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993,

n. 271, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 81, quarto comma, della

Costituzione, dal Tribunale di Ravenna, e, in riferimento all’art. 3 della

Costituzione, dal Pretore di Vicenza, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2000.

 

Questa è la conclusione della sentenza che, provocata dall’ENICHEM di Ravenna, ha ristabilito la legittimità del diritto alla salute. Perché è proprio di questo che si tratta: i benefici previdenziali che possono ottenere dei lavoratori esposti all’amianto per oltre dieci anni altro non sono che il riconoscimento di una situazione di rischio per tutti e di perdita della salute per molti .

Dobbiamo partire dalla legge 27 marzo 1992 n. 257, che ha definito la messa al bando dell’amianto in ogni sua forma, stabilendo sia le modalità di bonifica e di sostituzione, sia delle provvidenze per le aziende che manipolavano amianto e per i lavoratori impiegati ed esposti. Per questi ultimi una successiva modifica della 257, cioè la legge 4 agosto 1993 n. 271 ha stabilito che: "per i lavoratori che sono stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, sia moltiplicato ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5"

Molti lavoratori, circa 90.000 si sono rivolti all’ente previdenziale, in genere l’INPS, dimostrando di essere stati impiegati in aziende che a qualunque titolo, in modo indiretto o indiretto, manipolavano amianto, e quindi di essere stati esposti per oltre dieci anni alla famosa fibra killer che ha provocato, provoca e provocherà migliaia di morti e di malati. Per evitare di riconoscere tutte queste domande e per scoraggiarne delle nuove (sono certamente dell’ordine di 10 volte tanto i lavoratori che sono stati esposti all’amianto), è stato escogitata una procedura amministrativa in contrasto con la legge che affidava all’INAIL l’istruttoria delle richieste. In altri termini l’INAIL, tramite il suo organismo tecnico (CONTARP) verificava in ogni azienda se il lavoratore era effettivamente stato esposto chiedendolo alla direzione aziendale e stabilendo sulla base di un criterio dubbio oltre che sbagliato, che potevano essere riconosciuti solo quei lavoratori che erano stati esposti ad un livello quantitativo di amianto superiore alle 100 fibre litro. Tutti sanno, particolarmente l’Agenzia Internazionale di Ricerche sul Cancro (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che non esiste alcun livello di soglia, per quanto basso, al di sotto del quale si possa escludere la possibilità di contrarre una malattia, particolarmente un tumore, visto che l’amianto è un cancerogeno certo.

L’INAIL ha comunque certificato che circa 16.000 lavoratori erano nelle condizioni di esposizione, quindi l’INPS ha proceduto al riconoscimento dei benefici pensionistici. Per tutti gli altri lo ha negato, spingendo molti di questi a rivolgersi al giudice del lavoro per contestare il provvedimento.

Così è avvenuto per alcuni lavoratori della ENICHEM di Ravenna che nel 1998 hanno ottenuto una sentenza favorevole. Il giudice del lavoro nei fatti ha negato la procedura e ha riconosciuto il diritto dei lavoratori esposti indipendentemente dal quantitativo di amianto presente negli anni (sempre difficile da determinare), solo fondandosi sul chiaro dettato legislativo, quindi verificando semplicemente che essi erano stati esposti per almeno 10 anni.

L’azienda ha appellato il giudizio e, in sede di dibattimento in Corte d’Appello, ha chiesto e ottenuto il rinvio degli atti alla Corte Costituzionale accampando l’incostituzionalità dell’articolo di legge in questione sulla base degli articoli 3 e 81 della Costituzione. In altri termini ha cercato di dimostrare una disparità di trattamento fra i lavoratori esposti nel senso che non sarebbero stati selezionati in base all’esposizione, quindi trattati tutti allo stesso modo (violazione del principio di uguaglianza dell’articolo 3) e che in più questo avrebbe portato a riconoscere troppi lavoratori per le casse dello stato, quindi si sarebbe violato l’articolo 81 della Costituzione che prevede per ogni legge la relativa copertura finanziaria.

La Corte Costituzionale ha respinto con la sentenza n. 5 del 10 gennaio ambedue le eccezioni sostenendo per la prima che la selezione dei lavoratori era legata ai dieci anni di esposizione e che il rischio era reale per tutti proprio per la loro effettiva esposizione (indipendentemente dai quantitativi di amianto presenti nei luoghi di lavoro).

Una sentenza ricca di conseguenze:

  1. Viene ristabilito il diritto alla salute come principio assoluto, indipendentemente dalle esposizioni economiche delle aziende o dello stato. I lavoratori devono essere messi in condizione di non contrarre danni alla salute per l’attività lavorativa che svolgono (cfr. articolo 2087 del codice civile);
  2. I lavoratori che hanno un giudizio pendente, dopo questa sentenza, avranno ragione, sempre nella misura in cui saranno stati in grado di dimostrare che sono stati esposti. Pertanto la procedura amministrativa stabilita fra ministero del lavoro e parti sociali, attuata dall’INAIL e dall’INPS, risulta essere priva di senso oltre che in contrasto con la legge, quindi essa è anticostituzionale;
  3. I lavoratori che sono stati esposti per oltre dieci anni e che ancora non hanno fatto domanda, avranno più facilità ad essere riconosciuti.

Tutta questa vicenda da fiducia, nel senso che il vecchio slogan "la lotta paga" ritorna in uso e apre la strada a tutta quella grande lotta da tanto iniziata, sparsa per tutto il territorio nazionale, per la bonifica dei siti dove è presente amianto, per chiedere che gli ex esposti all’amianto vengano seguiti dal punto di vista sanitario anche quando hanno lasciato il lavoro ed infine per infilare il dito nella piaga dell’INAIL che riconosce pochissime malattie professionali, e fra queste ancor meno i tumori, per arrivare a affidare, invece, alle A-USL - dipartimento di prevenzione - i riconoscimenti di malattia professionale per i lavoratori aventi diritto.

Certo la vigilanza non sarà mai troppa, perché non si vorrebbe che quello che la Corte Costituzionale ha sancito, non venga modificato, in senso restrittivo, da una legge ordinaria.

Milano, 15 gennaio 2000

Fulvio Aurora

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