BOLLETTINO N° 6- OTTOBRE 2000
Alla cortese attenzione del dott. A.Ricciotti Direttore generale INAIL Sono
un lavoratore che ha partecipato al convegno “Operai da morire” promosso da
Medicina Democratica a Genova il 16 settembre scorso. Mi è stato dato modo di
leggere la sua lettera di “replica alle posizioni assunte” in quell’occasione. Al
di là della contestazione di alcuni dati ( su cui non sono in grado di entrare
nel merito ) mi sembra che la sua lettera sia animata dalla comprensibile
esigenza di difendere la serietà professionale dei medici dell’Inail. Serietà
che lei vede infangata dalla denuncia,
emersa nel convegno, di un interesse dell’Inail, in quanto ente
erogatore, a limitare il numero dei casi riconosciuti. E dalla conseguente
provocatoria proposta di separare operativamente il soggetto “erogante” da
quello “constatante il danno”. Noi
operai costruiamo i nostri giudizi sui fatti. Gliene voglio raccontare, a mo di
esempio, due. Augurandomi
che il suo sguardo, che cala dall’alto e dalla visione generale della struttura
di cui è direttore, abbia l’umiltà di intrecciarsi con quello che invece emerge
da chi vede ( e subisce ) le cose dal di sotto. §
In un recente
infortunio, ancora in corso, ho subito un grave trauma a un ginocchio che
rischiava di compromettere la mia possibilità di deambulazione : cosa
evidentemente non di poco conto. Nonostante la mia richiesta di essere aiutato,
il medico Inail con cui mi sono imbattito tutto ha fatto tranne che “ definire
un percorso attraverso il quale fossi messo in grado di recuperare al meglio la
mia integrità fisica” ( come da lei scritto). La drammatica vicenda che mi ha
visto scappare da un ospedale (dove mi stavano rovinando) ad un altro,
puntualmente documentata, ha visto il medico dell’Inail in posizione di freddo
spettatore. Non solo. Troppo sfacciatamente emergeva nel rapporto con lui la
sensazione che l’unica cosa a cui fosse interessato era quella di “chiudere” al
più preso il decorso dell’infortunio incurante del fatto che io non fossi
assolutamente in grado di gestirmi. E infatti, in seguito ad un ulteriore esame
da me autonomamente richiesto, ho dovuto subire un secondo intervento
chirurgico. La scandalizza se le confesso che da questo medico mi sono sentito
dire : “ Quando uno non è più in barella non è più a carico nostro !”. Il mio
disperato bisogno di riconquistare il più possibile la mia integrità fisica ha
avuto davanti non un medico ma un burocrate che era animato unicamente da
interessi amministrativi. §
Nella ditta in
cui lavoro siamo stati esposti ad amianto. La nostra richiesta di
riconoscimento della avvenuta esposizione è stata respinta dall’Inail : perché
l’Azienda lo negava e non risultava tra quelle che avevano versato i contributi
aggiuntivi previsti dalla legge (!). In seguito a un’indagine svolta su 120
operai dalla Clinica del Lavoro di Milano, a quattordici di loro, tra cui io,
sono state riscontrate placche pleuriche. Sottoposti a broncolavaggio alveolare
(Bal) a tutti e quattordici sono state inividuate fibre di amianto nei bronchi.
La Clinica del Lavoro avanzava per noi la richiesta di malattia professionale,
che avrebbe comportato il riconoscimento automatico dei benefici pensionistici.
A un anno di distanza l’Inail ci ha imposto ulteriori esami presso un altro
ente. Le sembra così strano che di fronte ad un Inail che mette in discusssione
l’esito diagnostico non di un qualsiasi medico privato ma di una struttra
pubblica di riconosciuta competenza come la Clinica del Lavoro di Milano a noi
possa venire in mente che essa sia animata da una accanita volontà di ridurre a
tutti i costi i danni da riconoscere ? Ai
fatti non si risponde con una sdegnata difesa delle proprie nobili
intenzionalità teoriche ma con altri fatti. Che
sono quelli che stiamo aspettando e che rivendichiamo. Qui
non c’è in ballo la nostra onorabilità professionale ma la dignità del nostro
“corpo”. Che,
mi permetta, viene un po’ prima. Che
i padroni non se ne facciano carico è cosa che ci è ben nota. E l’Inail ? Buon
lavoro. P.S. Vorrei approfittare dell’occasione di questa lettera per aggiungere una nota di “malcostume” che forse le può servire a mettere i piedi per terra. Dodici anni fa ho subito, sempre sul lavoro, la lesione somatica di una vertebra. Ho passato 40 giorni infernali di totale gessatura del torace. Al momento della rimozione del gesso mi veniva prescritto, per altri 40 giorni, un “corsetto ortopedico a tre punte”. Attrezzo ortopedico che acquistavo da un rivenditore presente in ospedale, perché altrimenti non sarei stato dimesso. Al momento di ottenere dall’Inail il rimborso della spesa sostenuta sono stato aspramente rimproverato perché avrei dovuto acquistare l’apparecchio da una ditta convenzionata con l’Inail : pretesa kilometricamente lontana dalla situazione reale in cui mi ero venuto a trovare. In ogni caso mi si disse che mi avrebbero rimborsato solo il prezzo da loro concordato con le aziende convenzionate. Che cosa le fa pensare quando ho scoperto che un “corsetto a tre punte” acquistato privatamente da me costava molto meno di quello che mi avrebbero dato loro attrraverso le loro convenzioni ? A me sono venute in mente cose turpi. Veda un po’ lei. |