BOLLETTINO N° 6- OTTOBRE 2000
RISPOSTA ALLA LETTERA APERTA DEL PROFESSOR ADRIANO OSSICINI, MEDICO DIRIGENTE DELL’INAIL. |
Chiarissimo prof. Adriano Ossicini ROMA La ringrazio per la sua lettera aperta a proposito della nostra proposta di passaggio delle funzioni di riconoscimento degli infortuni e delle malattie professionali dall’INAIL alle A-USL; la ringrazio anche di avere dimostrato il suo disaccordo, credo sia comunque importante per discutere e trovare la soluzione migliore. Non sono però stato convinto dalle sue argomentazioni, in quanto, come Medicina Democratica, non solo conosciamo la situazione in generale, ma abbiamo riscontri quotidiani da lavoratrici e lavoratori, oltre che da sindacalisti che operano nei patronati sindacali, della fatica che i questi fanno per essere riconosciuti dall’INAIL, di fonte a danni evidenti. Non si tratta di mettere in dubbio la professionalità dei medici INAIL, infatti altri medici del lavoro e legali (questo lo si vede soprattutto nelle controversie in tribunale) contestano in tutto o in parte le posizioni dell’INAIL, magari affermando il contrario. Non per questo si può affermare che sono degli incompetenti; hanno solo una visione diversa, si pongono da un altro punto di vista. Noi pensiamo che se, ad esempio, i medici INAIL, fossero al di fuori di questo istituto, per le funzioni di riconoscimento, a fare il medesimo lavoro, arriverebbero a conclusioni diverse (in effetti non vogliamo licenziare nessuno). Credo che la storia dei medici aziendali del lavoro sia nota a tutti a partire dall’IPCA di Ciriè o, quella, diversa, dell’ACNA di Cengio (dove il medico del lavoro che aveva denunciato i danni alla salute dei lavoratori venne licenziato). Senza andare molto oltre occorre sempre ricordare che la scienza, o meglio gli scienziati, non sono neutrali, come affermava il fondatore di Medicina Democratica, prof. Giulio Maccacaro, alla fine devono scegliere da che parte stare. Le denunce di tumori professionali non superano il migliaio, come lei sostiene e di cui non dubitiamo; la ragione pensiamo debba essere trovata in due semplici motivi: il primo sta nella mancanza di informazione sul diritto (cui l’INAIL da questo compito, sembra di capire, si senta estraneo) ad ottenere una rendita, il secondo negli effetti, nei risultati, cioè come dicevamo , nella fatica che deve fare un lavoratore (o i suoi famigliari) per essere riconosciuto. Molti ritengono che non ne vale la pena Del resto quanti di quei 390 riconosciuti dall’INAIL hanno ottenuto il riconoscimento senza andare in causa? E ancora come mai la gran parte dei riconosciuti erano lavoratori affetti da mesotelioma, quando l’esposizione ad asbesto produce in maniera maggiore tumori dei polmoni e in misura più limitata tumori in altre sedi? Per questo è difficile il dialogo perché non si tiene conto della realtà dei soggetti che vengono colpiti. Mi permetto anche di ribadire che l’INAIL non è stato fondato cento anni fa, probabilmente, caro professore, si confonde con la prima legge sugli infortuni sul lavoro del 1898 ( 17 marzo 1898 n. 80 “sugli infortuni degli operai sul lavoro”, cui seguì un regolamento: R.D. 18 giugno 1899 n. 230 “regolamento generale per la prevenzione degli infortuni nelle imprese e nelle industrie”) che ha a quell’epoca finalmente posto il problema, ma l’INAIL (INFAIL) è nato proprio negli anni trenta (si veda il libro di Carnevale e Baldasseroni, Mal da Lavoro storia della salute dei lavoratori – Laterza 1999 pagina 82 e ancora quanto afferma lo stesso dott. Carnevale: “L’assicurazione obbligatoria, per un numero ridotto di malattie professionali diventa legge in Italia solo negli anni 30 ed assume subito e prevalentemente il significato di assicurazione dei datori di lavoro più che dei lavoratori”in La prevenzione nel terzo millennio, - Salute e territorio n. 117/1999). Le cose sono cambiate, forse, ma non abbastanza per potere dire che l’intendimento dell’INAIL sia totalmente altro. Anche l’esempio di quanto sia avvenuto e stia avvenendo intorno alla vicenda dei benefici previdenziali dei lavoratori esposti ad amianto di cui alla legge 257/92 e successive modifiche, lo dimostra. (Mi permetto in proposito di allegare un volantino distribuito oggi da alcuni lavoratori in occasione dello sciopero generale contro gli infortuni a Milano). Certo c’è differenza fra risarcimento e indennizzo, e vi è ancora più differenza fra chi è stato colpito e quanto riceve di indennizzo e/o di risarcimento, del resto una delle ragioni per cui si fa poca prevenzione, come tutti lamentano, è che il costo (i famosi 55.000 miliardi all’anno ) degli infortuni grava prevalentemente sulla società, per cui i responsabili di questi fatti, che noi chiamiamo crimini, si guardano bene dal porre un efficace rimedio. La ringraziamo per l’attenzione e le inviamo i nostri migliori saluti Milano, 6 ottobre 2000 Fulvio Aurora (Medicina Democratica) - Allegato - L’INAIL CON i padroni ? Ogni
giorno ci dobbiamo difendere dal disprezzo padronale nei confronti della nostra
salute. Ma
oggi siamo qui a protestare anche contro l’Inail perchè da troppo tempo si
schiera contro di noi. Noi, lavoratori
della aziende operanti nell’ex area Breda di viale Sarca, siamo stati esposti
per anni all’ aggressione dell’amianto. Decine di nostri compagni sono già
morti per mesotelioma pleurico, tumore classico provocato dall’amianto.
Un’indagine sui lavoratori ancora presenti nell’area ha riscontrato una
percentuale sproporzionata di lavoratori già oggi portatori di patologie
addebitabili alla presenza di amiato nei bronchi. E nei prossimi anni è
prevista una recrudescenza del fenomeno.
La legge riconosce il diritto a
maturare, per ogni anno di esposizione all’amianto, un anno e mezzo di
pensione. Abbiamo dovuto rivolgerci ai tribunali perchè questo diritto venga
riconosciuto. Le procedure si trascinano
all’infinito perchè l’Inps si nasconde dietro l’alibi offertogli dal mancato
riconoscimento da parte dell’Inail della avvenuta esposizione all’amianto . L’Inail ci prende in giro.
Non solo si è ben guardata nel passato di far pressione sulle aziende che utilizzavano
amianto perchè pagassero i contributi aggiuntivi previsti dalla legge, ma oggi
utilizza il fatto che le aziende non li hanno pagati per dedurne che l’amianto
non c’era. Il danno e la beffa. Nonostante tutte le prove e
le testimonianze documentali che noi abbiamo portato, l’ Inail e il suo organismo
tecnico, il Contarp, si sta comportando nè più nè meno di una compagnia di d'assicurazione d’auto. Animata dalla passione contabile di
ridurre le spese, ci tratta alla stregua di “carrozzerie” : contesta i danni
che abbiamo subito e, così facendo, nasconde le responsabilità di chi ce li ha
provocati. Emblematico è
il caso dei tredici lavoratori per i quali la Clinica del lavoro di Milano ha
avanzato la richiesta di “malattia professionale” per amianto. Mentre da tutta
Italia vengono inviati lavoratori a questo Istituto, ritenuto il più competente
in materia, l’Inail di Milano ne ha contestato i risultati costringendo i
lavoratori a ulteriori esami presso la radiologia del Fatebenefratelli. Mentre la
tematica legislativa sui lavori usuranti è caduta nel dimenticatoio più
assoluto, siamo costretti a subire anche l’affronto di non essere riconosciuti
neppure come lavoratori usurati. Noi chiediamo che : ·
da
subito
l’Inail esca da questo ruolo ambiguo e funzionale a coprire le responsabilità
dei padroni che, pur sapendo da tempo che l’amianto costituiva un rischio
mortale per i lavoratori, hanno continuato a goderne i vantaggi economici che
esso rappresentava ·
in prospettiva vengano tolte all'Inail le funzioni di
riconoscimento degli infortuni e delle malattie professionali per attribuirle
ai dipartimenti di prevenzione delle Asl. Troppo plateale è la constatazione che
l’Inail, in quanto ente pagatore, ha tutto l'interesse a non riconoscere o
sottostimare i danni. I lavoratori dell’ex Area
Breda di viale Sarca |