BOLLETTINO N° 6- OTTOBRE 2000


LETTERA APERTA

 

 

 

Al Segretario di Medicina Democratica

Fulvio Aurora

 

Medicina democratica ha diffuso recentemente, con comunicati stampa e via Internet, alcune considerazioni a margine e successivamente al Convegno “Operaio da morire” svoltosi a Genova il 16 settembre 2000.

 

Mi riferisco, in particolare, al Suo intervento ed a quello di Dario Miedico.

 

Premesso che per alcuni dati riportati invito a consultare più attentamente sia il Bilancio di previsione 2000 dell’INAIL sia il Rapporto annuale del 13 luglio u.s. entrambi presenti sul nostro sito Internet (www.inail.it), mi limito in questa sede a rilevare che l’affermazione di Dario Miedico secondo il quale l’INAIL gestisce un bilancio annuo di 55 mila miliardi, denota una lettura superficiale, non solo degli atti dell’Istituto, ma anche degli atti parlamentari, oltre che della stampa, in quanto quella cifra è il costo stimato delle conseguenze del fenomeno infortunistico per l’intera collettività.

 

Ciò premesso ritengo di doverLe esprimere il rammarico per il modo in cui la filosofia operativa dell’INAIL, l'attività dei Professionisti - e dell'intero Personale dell'Istituto - vengono presentate negli articoli.

 

E' certo comunque - e per questo ritengo doveroso un mio intervento al di là delle iniziative che gli interessati intendono assumere a tutela della loro dignità professionale e personale - che dagli articoli traspare un elemento conduttore di fondo: i comportamenti dei medici non sono frutto, o solo frutto, di atteggiamenti personali, ma di una precisa scelta di politica gestionale dell'Istituto, che sarebbe volta unicamente a contenere i costi ed a privare gli infortunati ed invalidi di quanto loro spettante.

 

Da ciò, con “ineccepibile” passaggio logico, la proposta di trasferire ad un altro organismo, le ASL nella specie,  le funzioni di accertamento e valutazione medico legale per l'infortunistica del lavoro.

 

 

Sul motivo conduttore di fondo ritengo che le iniziative dell'Istituto degli ultimi anni siano chiaramente di segno totalmente diverso rispetto a quanto affermato nell'articolo.

 

Basti considerare la vicenda delle malattie professionali non tabellate per le quali, tenendo conto sia della sentenza della Corte costituzionale sia dell’obiettiva difficoltà di prova per gli interessati, si è impiantato un articolato sistema che, sfruttando al meglio l'integrazione fra professionalità del territorio e centrali, punta a fornire al lavoratore un concreto supporto nella individuazione degli elementi che consentano di riconoscere come professionali malattie non tabellate.

 

La stessa fase di accentramento delle valutazioni, prevista all’inizio, ha avuto lo scopo di monitorare la diffusione di una nuova cultura supportata dalla predisposizione di protocolli diagnostici che siano di aiuto e garanzia contro il rischio di diagnosi negative non sufficientemente meditate.

 

Basti considerare la stessa riforma del decreto 38/2000, giunta in porto anche grazie all'impegno dell'Istituto nel promuovere il concerto delle parti sociali, che ha portato al riconoscimento del valore sociale del danno biologico ed alla costruzione di un meccanismo di gestione delle malattie di confine che non sembra colto in tutta la sua rilevanza operativa.

 

Sempre a conferma della coerente strategia operativa di massima attenzione per i lavoratori infortunati e tecnopatici e per i rischi di ritardi nell'attuazione di riforme che sono innanzi tutto culturali, l'attuazione della normativa sul danno biologico è già, da questi primi passi, sistematicamente accompagnata da un monitoraggio strutturato - sul territorio ed al centro, - per verificare gli andamenti, i punti di criticità, gestionali e di impianto stesso delle tabelle, base costruttiva per un confronto di analisi e valutazione dialettica con le Parti Sociali.

 

In questo quadro protagoniste sono ovviamente le funzioni sanitarie dell'Istituto rispetto alle quali si sta realizzando un articolato piano di formazione - per l'adeguamento dei comportamenti stessi alla nuova realtà del danno biologico - di aggiornamento professionale, con l'obiettivo finale di creare le condizioni per un confronto ed un'integrazione continua di ciascun professionista e del corpo sanitario nel suo complesso con le professionalità esterne.

 

Si tratta di una filosofia operativa che caratterizza l’intero modello gestionale che, come si è avuto modo di rappresentare nel Rapporto annuale INAIL per il 1999,

 

intende orientare tutte le funzioni interne verso la "presa in carico" del lavoratore rispetto alle patologie professionali ed alle loro conseguenze lesive.

 

Il ruolo del medico, quindi, lungi dall'essere quello di "conta" dell'invalidità, come sembra emergere dagli articoli richiamati, è quello di un professionista che, integrandosi con le altre professionalità presenti nelle Sedi operative, definisce - soprattutto per i casi più gravi - il percorso attraverso il quale l'infortunato o il tecnopatico possa recuperare al meglio integrità fisica, possa valorizzare le proprie capacità residue, trovi un riconoscimento economico puntuale della invalidità permanente.

 

Ed in questo trova un supporto concreto nel meccanismo del nuovo sistema di valutazione che consente proprio al medico di attribuire un coefficiente superiore a quello "automatico" in presenza di circostanze da lui accertate.

 

Se a quanto precede si aggiungono le iniziative che l'Istituto sta assumendo in materia di riabilitazione, reinserimento sociale e professionale, ne risulta un quadro che conferma come le scelte strategiche degli Organi e quelle operative delle tecno strutture siano di segno esattamente opposto a quelle richiamate nell'articolo.

 

La concretezza delle scelte, d'altra parte, trova riscontro nella circostanza che si è messo in piedi e si sta perfezionando un meccanismo di controllo e monitoraggio dell'azione amministrativa, ivi compresi i profili professionali, che intende garantire la migliore aderenza dei comportamenti dei singoli e delle strutture alle linee di strategia operativa così definite.

 

Ritengo, infatti, che i problemi complessi - e quello della uniformità dei comportamenti operativi sul territorio da parte di strutture nazionali lo è al massimo grado soprattutto quando si tratti di atti professionali di esclusiva responsabilità del professionista - non si superino con le generiche accuse, con gli slogan, ma con una azione di monitoraggio continua, attenta e strutturata che consenta di cogliere gli eventuali punti di criticità e di organizzare i conseguenti interventi correttivi.

 

Rispetto a queste scelte strategiche, e già concretamente operative, l'azione dei singoli professionisti dell'Istituto è in questo momento pienamente coerente, pur nella inevitabile diversità di valutazione dei casi di specie, nell'operatività quotidiana e nell'attenzione personale e professionale per interpretare, nei fatti e sul campo, il nuovo ruolo dell'Istituto, la presa in carico dell'infortunato o tecnopatico, il confronto continuo che questo comporta con il mondo scientifico, con gli operatori sanitari delle Parti Sociali, con le strutture del S.S.N.

 

Il richiamo a queste ultime osservazioni mi consente di soffermarmi sul punto finale del Vostro ragionamento che vede la soluzione del problema nel trasferimento alle ASL  delle valutazioni medico-legali per l'infortunistica del lavoro con un singolare incrocio con parallele proposte di altri: l'infortunistica del lavoro alle ASL; l'invalidità civile al sistema previdenziale.

 

E’ un tema più volte riproposto, anche dopo la riforma del 1978, e per il quale gli approfondimenti successivi e l'esperienza operativa mi sembravano avessero dimostrato, non che le ASL non siano preparate – aspetto quest’ultimo che sarebbe comunque un elemento contingente, superabile in presenza di una chiara volontà politica, di forti investimenti finanziari, di formazione ecc. - ma che un sistema di tutela sociale specifica richiede:

 

-         una piena integrazione di responsabilità fra i vari momenti della tutela stessa;

 

-         una adeguata specializzazione delle professionalità preposte.

 

Sono, in ogni caso, valutazioni politiche che appartengono ad altra sede. Richiamare piuttosto l'attenzione - per una riflessione che deve essere comune a tutti coloro che operano per la tutela dei rischi del lavoro - sulla circostanza che qualsiasi operazione organizzativa rischia di non produrre effetti se non si è consapevoli che detta tutela è il frutto di integrazione fra professionalità, esperienze, patrimoni informativi ed epidemiologici.

 

Una integrazione che bisogna costruire e per la quale è ormai indifferente il "luogo" ove i vari specialisti si collocano: anzi, può essere estremamente produttiva la circostanza che ciascuno muova da una specifica lettura, da una missione aziendale diversificata per concorrere ad un risultato equilibrato nel rispetto delle finalità sociali dei vari interventi.

 

Finalità sociali - e questo consente di tornare al punto di partenza del Vostro ragionamento, relativo al comportamento dei medici dell'Istituto, ed anche dei Patronati a quanto sembra - che occorre avere sempre ben chiare per comprendere le motivazioni dei comportamenti di struttura e dei singoli.

 

L'INAIL, nello specifico, non è un ente che effettua meccanicistiche valutazioni medico legali - ammesso che esse siano possibili - slegate dal fine delle valutazioni stesse: garantire un recupero pieno dell'integrità psico fisica, garantire un indennizzo equo per come definito dal legislatore, concorrere alla prevenzione dei rischi.

 

Il tutto in un quadro di scelte legislative che impongono all’Istituto di dare “il giusto ai soggetti giusti nei modi e tempi giusti”, con un duplice impegno: rispetto ai singoli lavoratori; rispetto alla collettività dei lavoratori che, in definitiva a proprio carico, costruiscono un sistema di tutela che non può essere confuso con meccanismi assistenziali.

 

Da ciò l'attenzione del personale medico dell'Istituto a non superare mai i confini di un assistenzialismo fine a se stesso, che sarebbe fonte di confusione sulla stessa entità dei fenomeni riconducibili al lavoro ed alle sue patologie. Questo – sia chiaro – non vuol dire attestarsi su meccanicistiche operazioni di disconoscimento dei diritti dei lavoratori; lo escludo con forza testimoniando in questa sede l'apprezzamento dell'ente tutto per l'opera dei propri sanitari.

 

Al riguardo ritengo che il terreno concreto sul quale potremmo confrontarci è proprio quello delle malattie professionali non tabellate ed in particolare di quelle malattie muscolo scheletriche che più di altre potrebbero prestarsi ad operazioni meccanicistiche e per le quali, invece, si stanno impostando linee guida e monitoraggi proprio per assicurare un riconoscimento sicuro e rapido a tutti quei casi che si collocano al di qua del confine prima ricordato.

 

In questa opera ci auguriamo che vogliate contribuire ad una dialettica propositiva che, superando i toni gratuitamente offensivi per una intera classe di lavoratori quotidianamente impegnati sul campo:

 

·        consenta all'Istituto ed ai singoli professionisti di arricchire conoscenze ed esperienze su temi complessi per una costante evoluzione nelle metodiche, nelle tecniche di accertamento, prima, di valutazione poi;

 

·        contribuisca a promuovere sinergie professionali, informative e funzionali fra il mondo della sanità ed il mondo dell'assicurazione.

 

 

 

IL DIRETTORE GENERALE

   (Dr. Alberigo RICCIOTTI)

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