Sentenza numero 5 del 10 gennaio 2000
La
Corte costituzionale ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8, della legge 27
marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto),
come modificato dal decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti
per i lavoratori del settore dell'amianto), convertito, con modificazioni,
nella legge 4 agosto 1993, n. 271, promossi con ordinanza emessa il 30 aprile
1998 dal Tribunale di Ravenna nei procedimenti civili riuniti vertenti tra
l'ENICHEM S.p.A. ed altri e Billi Giacomo ed altri, iscritta al n. 501 del
registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1998, nonché con ordinanza emessa il 24
settembre 1998 dal Pretore di Vicenza nel procedimento civile vertente tra M.
Cesare ed altro e la FERVET S.p.A. ed altro, iscritta al n. 873 del registro
ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50,
prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visti
gli atti di costituzione dell'ENICHEM S.p.A., di Billi Giacomo ed altri,
dell'INAIL e dell'INPS, nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito
nell'udienza pubblica del 12 ottobre 1999 il Giudice relatore Massimo Vari;
uditi
gli avvocati Luciano Spagnuolo Vigorita per l'ENICHEM S.p.A., Michele Miscione
per Billi Giacomo ed altri, Antonino Catania per l'INAIL, Carlo De Angelis per
l'INPS e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Ritenuto
in fatto
l. - Il
Tribunale di Ravenna, con ordinanza del 30 aprile 1998 (R.O. n. 501 del 1998)
emessa quale giudice di gravame nella causa fra gli appellanti ENICHEM S.p.A.,
INPS e INAIL e gli appellati Billi Giacomo ed altri, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 81, quarto comma, della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell'art.
13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione
dell'impiego dell'amianto) [1]
, come
modificato dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169
(Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto), convertito,
con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271. La disposizione prevede,
"per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo
superiore a dieci anni", che "l'intero periodo lavorativo soggetto
all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti
dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL", sia "moltiplicato,
ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5".
Il
giudice a quo muove dalla premessa che "l'unica interpretazione
tecnicamente corretta" della disposizione denunciata sia quella "che
attribuisce il beneficio a tutti i lavoratori dei quali sia stata provata una
qualunque esposizione ultradecennale all'amianto, a prescindere dal grado di
essa". Interpretazione ricostruibile, ad avviso del rimettente, oltre che
dal tenore letterale della norma e dal contesto nel quale essa si inserisce
(sistema misto di assicurazione delle malattie professionali), anche in virtù
di quanto è dato desumere, da un lato, dai lavori preparatori della legge n.
271 del 1993, che, nel convertire il decreto-legge n. 169 del 1993, individuò,
per l'appunto, i beneficiari semplicemente nei "lavoratori che siano stati
esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni", in tal modo
escludendo "che il beneficio potesse accordarsi a speciali categorie di
lavoratori"; dall'altro, in forza dei "tentativi", posti in atto
da un successivo disegno di legge (n. 2553 del 25 giugno 1997), di apportare
modifiche alla norma per introdurre delle limitazioni nella platea dei
potenziali destinatari".
Sicché,
la censurata disposizione è da reputarsi "svincolata nei suoi presupposti
applicativi da qualunque parametro predeterminato", potendo essere
"applicata o disapplicata sulla base di un solo dato. - l'esposizione
ultradecennale all'amianto - che senza alcun'altra specificazione tecnica può
essere, in sede giudiziaria, affidata a valutazioni, sensibilità, risultati
probatori, del tutto liberi da standard di riferimento, tali da consentire
uguali decisioni per casi di diversa pericolosità, o decisioni diverse per casi
sostanzialmente uguali"; donde il suo contrasto con l'art. 3 della
Costituzione [2].
Nel
rilevare, altresì, che la denunciata norma affida la sua esecuzione, in sede
amministrativa, "alla mera discrezionalità della pubblica amministrazione,
con potenziale lesione del principio di imparzialità", il rimettente osserva
che l'assenza di ogni riferimento a categorie di lavorazioni e di ogni
specificazione circa il tipo di contatto con le fibre (per inalazione o per
ingestione) allarga a dismisura la platea degli interessati, secondo una
casistica che può divenire infinita.
Pertanto,
"a causa dell'indeterminabilità di tutti i possibili destinatari del
beneficio", verrebbe meno, ad avviso del giudice a quo, il quale richiama
in proposito le valutazioni ed i calcoli dell'INPS e dell'INAIL riportati nella
relazione al già menzionato disegno di legge, "la possibilità stessa di
indicare la copertura finanziaria della legge", con conseguente violazione
anche dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione.
1.1. -
Si è costituita in giudizio l'ENICHEM S.p.a. appellante nel giudizio a quo - la
quale, all'esito di ampie e circostanziate argomentazioni, ha concluso per
sentir dichiarare l'incostituzionalità della disposizione denunciata, "ove
la norma stessa non possa essere interpretata" nel senso che "per
titolari del beneficio contributivo devono intendersi ... i lavoratori per i
quali l'azienda ha versato all'INAIL il premio supplementare per asbestosi, o
per i quali sussistono comunque i presupposti per il versamento", valendo
al riguardo il "principio razionalizzatore" della "graduazione
del rischio effettivo, che ha ispirato l'intera vicenda normativa".
Sicché,
in assenza del requisito del "rischio" (con riferimento "ad un
periodo decennale continuativo ... e collocato in immediata connessione
temporale con la domanda di riconoscimento" del beneficio), la parte
privata sostiene che il censurato art. 13, comma 8, arreca un vulnus agli artt.
3 e 41, primo comma, della Costituzione [3],
in
virtù della sua irrazionalità e della grave incidenza "sullo svolgimento
della privata iniziativa economica ... e sulla finanza pubblica".
Quanto
poi alla violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione [4],
la memoria osserva che "la norma,
irrazionalmente formulata in termini assolutamente generici e totalmente priva
di criteri per il governo del suo processo interpretativo,/applícativo",
non consente "di determinare la provvista dei mezzi finanziari per far
fronte agli enormemente rilevanti oneri a carico dello Stato".
1.2. -
Si è costituito in giudizio anche l'INAIL, appellante nel giudizio principale,
il quale - pur affermando la propria assoluta estrancità ai giudizi promossi
dai lavoratori interessati (stante il rivestito ruolo che "è unicamente
quello certificatorio") - ha, in ogni caso, concluso per la
"declaratoria di fondatezza della questione".
Al
riguardo, l'Istituto - eccependo, in via preliminare, il difetto di rilevanza
della questione poiché "tutti gli interessati risulterebbero ancora
lavoratori dipendenti e quindi non in posizione tale da poter far valere
diritti pensionistici" - osserva, che l'interpretazione data alla norma
dal rimettente (interpretazione che l'Istituto, peraltro, contesta) verrebbe,
come tale, "palesemente a confliggere con ì parametri di cui agli artt. 3
e 81, quarto comma della Costituzione".
1.3. - L'INPS
ha depositato fuori termine (in data 15 dicembre 1998), una memoria di
costituzione.
1.4. -
Si sono costituiti, altresì, Billi Giacomo ed altri. appellati nel giudizio
principale e già ricorrenti in primo grado, per sentir dichiarare
l'inammissibilità e, comunque, l'infondatezza della questione.
Le
parti private sostengono, in primo luogo, che i profili di in costituzionalità
prospettati dal giudice a quo risultano contraddittori fra loro e
"finiscono per eliminarsi a vicenda". E ciò in quanto, il rimettente,
muovendo dalla denunciata "indeterminatezza" della norma, da un lato,
desume "una possibilità di selezione eccessiva", che creerebbe il
rischio di "esclusioni di casi di pericolosità non inferiore ad altri
ammessi" (donde la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione) e,
dall'altro, "ipotizza tutto il contrario e cioè, che mancherebbe la
selezione e tutti potrebbero conseguire i benefici, con la conseguenza di
rendere impossibile una previsione di spesa e la copertura finanziaria".
Ad
avviso delle medesime parti private, l'indicazione da parte della legge
"di un unico requisito preciso e rigoroso, qual'è l'esposizione
ultradecennale all'amianto, garantisce, non solo la "determinatezza"
della norma, ma anche una grande selezione", nonché una uniformità di
trattamento, tanto da far cadere le prospettate violazioni degli artt. 3 e 81,
quarto comma, della Costituzione.
In
realtà - argomentano ancora le parti costituite "il Tribunale di Ravenna
cade nell'errore di confondere la genericità con la determinabilità della
norma", che rappresenta il portato di una tecnica legislativa molto
diffusa, sia in ambito penale che di lavoro.
Oltretutto,
si osserva ancora nella memoria, "per i benefici dell'amianto, la legge
non si limita a dettare criteri di determinabilità, ma indica direttamente
requisiti immodificabili (esposizione ultradecennale)".
Quanto,
infine, all'ipotizzata violazione dell'art. 81 della Costituzione, la difesa
delle parti private eccepisce il difetto di rilevanza della questione, in quanto
non risulterebbe dimostrata la carenza di copertura finanziaria "per il
caso sottoposto" al giudizio del rimettente; elemento, questo, che
potrebbe emergere "solo in una fase di esecuzione della sentenza di
condanna, se a quel punto l'Istituto previdenziale avesse dimostrato di non
avere la copertura di bilancio". E questo a tacer del fatto che, ad avviso
delle medesime parti costituite, in sede di vaglio di costituzionalità, l'art.
81, quarto comma, della Costituzione, può venire in rilievo unicamente "per
la copertura delle spese dello Stato".
1.5. E'
intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale, "riservando ogni
più ampia difesa", ha chiesto che la sollevata questione "venga
dichiarata inammissibile e comunque manifestamente infondata".
1.6. -
In prossimità dell'udienza, le parti private costituite hanno depositato
memorie illustrative.
1.7. -
L'ENICHEM S.p.A., nel ribadire le conclusioni rassegnate nell'atto di costituzione,
rileva che le istanze presentate ai fini del riconoscimento dei benefici di cui
trattasi sono, nel frattempo, ulteriormente lievitate, risultando così
confermata la mancanza di una seria copertura degli oneri finanziari.
Quanto,
poi, alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, si sostiene che la dedotta
irrazionalità dell'art. 13, comma 8, trova ulteriore argomento rafforzativo
"con riferimento all'intervento legislativo in punto di "lavori
usuranti"", previsto dall'art. 1, comma 35, della legge 8 agosto
1995, n. 335 [5],
il quale non solo richiede il requisito della
"maggiore penosità nel lavoro, in termini di rilevante esposizione al
rischio e diminuzione delle aspettative di vita", ma è anche
"rigorosamente parametrato sull'arco temporale di effettivo svolgimento
dell'attività lavorativa particolarmente usurante".
Detto
ultimo requisito emerge ancor più chiaramente
dall'art. 2 del decreto ministeriale 19 maggio 1999 [6], "in cui
sono considerate "particolarmente usuranti" non tutte le attività di
asportazione dell'amianto, ma solo quelle svolte continuativamente, e con
carattere di prevalenza nei confronti di altre mansioni".
1.8. -
Le altre parti private costituite (e cioè gli appellati nel giudizio
principale) insistono, invece, perché la sollevata questione venga dichiarata
inammissibile o, comunque, infondata.
Sotto
il profilo dell'ipotizzata violazione dell'art. 3 della Costituzione, si
sostiene l'inammissibílità della questione, attenendo essa "non al
contenuto della legge ordinaria in discussione, ma alla sua eventuale e futura
applicazione". Peraltro, non essendo espressamente denunciata dal
rimettente alcuna ingiustificata disparità di trattamento, ovvero una
ingiustificata parificazione di situazioni diverse, l'ordinanza "si espone
altresì alla censura di assoluta genericità".
Invero,
conclude al riguardo la memoria, più che alla violazione dell'art. 3 della
Costituzione, il giudice a quo sembra "alludere ad una pretesa di rigorosi
obblighi di tassatività e di necessaria determinatezza", i quali assumono
rilievo in riferimento alle sole norme penali
(art. 25 della Costituzione) [7].
In ogni
caso, le parti private - nel ribadire le ragioni già illustrate nell'atto di
costituzione - escludono "che il legislatore fosse vincolato sul piano
della razionalità normativa a fare riferimento ad una ristretta "categorìa
di lavorazioni" o di lavoratori", con una delimitazione che,
peraltro. avrebbe significato "ignorare il problema dell'impiego
dell'amianto su larga scala ed in molteplici attività lavorative".
Le
medesime parti sostengono, inoltre, che "non esistono limiti al di sotto
dei quali possono escludersi patologie da asbesto", sicché è da negare,
anche, che "il legislatore fosse vincolato sul piano della legittimità
costituzionale a delimitare l'area dei destinatari in funzione di valori
limite".
Pertanto,
aver ancorato l'erogazione del beneficio al solo fatto dell'esposizione
ultradecennale all'amianto "risulta essere stata una chiara e meditata
scelta discrezionale del legislatore", non sindacabile se non viene
indicato "quale sia il parametro logico, tecnico, scientifico, normativo
(di coerenza interna o esterna) che il legislatore avrebbe violato andando
oltre i limiti della sua discrezionalità".
Quanto
all'asserita violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, la
memoria insiste sulla "carenza di rilevanza ed inammissibilità per
genericità e contraddittorietà della questione prospettata", avanzando
"molte perplessità" in ordine alle previsioni di spesa formulate
dall'ordinanza di remissione, sulla base di dati "sprovvisti di qualsiasi
riscontro" e di contraddittorie valutazioni dell'onere finanziario medio
pro capite.
Le
parti private rammentano, infine, sia la procedura da attivarsi allorché si
verifichino "scostamenti rispetto alle previsioni di spesa", anche
nel caso di "sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte
costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di
determinare maggiori oneri", sia l'orientamento della giurisprudenza
costituzionale (sentenze n. 384 del 1991, n. 12 del 1987 e n. 1 del 1966) in
punto di copertura di una spesa "futura", secondo cui non è richiesta
una rigorosa puntualità di indicazione, tanto più se la spesa, per sua natura,
"a priori è solo determinabile e solo a posteriori determinata nella sua
esatta entità".
2. Con
ordinanza in data 24 settembre 1998 (R.O. n. 873 del 1998), anche il Pretore di
Vicenza, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento
all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del
menzionato art. 13, comma 8, "nella parte in cui non indicando un limite
quantitativo o qualitativo della esposizione all'amianto consente
l'applicazione del beneficio previdenziale ad una serie indeterminata di destinatari".
Quanto
alla rilevanza della sollevata questione, il rimettente osserva che i
ricorrenti nel giudizio principale "sono dipendenti di datore di lavoro
privato assicurato presso l'INAIL; che l'INAIL e l'INPS hanno riconosciuto
l'esposizione a rischio sino al 1985", mentre gli interessati ne chiedono
l'accertamento sino al 1998.
In
punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che
l'interpretazione letterale della disposizione censurata "può portare a
ritenere che qualsiasi esposizione all'amianto, prescindendo da limiti
quantitativi e qualitativi, e dunque da qualsiasi parametro di potenziale
rischio di malattia (possibile, probabile o effettivo), sia in sé e per sé
sufficiente per godere del beneficio previdenziale, purché ultradecennale".
Ma una
siffatta esegesi della norma - osserva l'ordinanza di rimessione - "in
sostanza equipara, sotto il profilo del godimento dei benefici previdenziali,
situazioni di fatto assolutamente non omogenee ..., atteso che consente il
godimento del pensionamento anticipato in presenza tanto di situazioni di
possibile rischio da esposizione all'amianto, quanto di situazioni di probabile
o di sicuro rischio dall'esposizione alle stesse sostanze morbigene, purché
ultradecennale".
Donde
la prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione, "in forza del
quale, se da un lato non possono essere trattate diversamente situazioni
identiche, non possono nemmeno essere trattate ugualmente situazioni
obiettivamente diverse".
2.1. -
Si è costituito in giudizio l'INPS rilevando, preliminarmente, che non può
essere ritenuta sufficiente, per il godimento dell'eccezionale beneficio
previsto dalla norma, una teorica, o presunta, o pura e semplice esposizione
all'amianto, risultando necessaria una esposizione tale da comportare effettivo
rischio e pericolo per la salute del singolo lavoratore. Tuttavia, nel
richiamare la diversa interpretazione accolta dal rimettente, l'Istituto ha
concluso "per la fondatezza della questione".
2.2. -
E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, per sentir dichiarare
"inammissibile" la proposta questione di costituzionalità.
In
proposito la difesa erariale ha eccepito, anzitutto, "il difetto di
congrua motivazione sulla rilevanza della questione", assumendo che, prima
di sollevarla, "il Pretore avrebbe dovuto verificare se la domanda dei
ricorrenti fosse o meno coperta da giudicato che stabiliva il loro diritto solo
nei periodi in cui era stata superata la soglia minima determinata a norma del
decreto legislativo n. 277 del 1991".
Evidenzia,
inoltre, l'Avvocatura dello Stato, relativamente alla situazione creatasi a
seguito della legge n. 271 del 1993, che "l'onere globale
dell'applicazione del comma 8 in questione, non è evidentemente sorretto da
adeguata copertura finanziaria", tanto che l'impossibilità di contenere il
numero dei beneficiari in sede amministrativa ha determinato la
predisposizione, "fin dal 23 maggio 1996", di una norma di
interpretazione dell'art. 13, comma 8.
Considerato
in diritto
1 - Le
ordinanze in epigrafe dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 13,
comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione
dell'impiego dell'amianto), come modificato dall'art. 1, comma 1, del
decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del
settore dell'amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto
1993), n. 271.
La
disposizione denunciata concede, ai "lavoratori che siano stati esposti
all'amianto per un periodo superiore a dieci anni", il beneficio, da far
valere "ai fini delle prestazioni pensionistiche", di una
rivalutazione dei periodi assicurativi e ciò attraverso il meccanismo della
moltiplicazione, "per il coefficiente di 1,5", dell'"intero
periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL".
1.1. -
Il Tribunale di Ravenna (R.O. n. 501 del 1998), reputando che "l'unica
interpretazione tecnicamente corretta" del censurato art. 13, comma 8, sia
quella che "attribuisce il beneficio a tutti i lavoratori dei quali sia
stata provata una qualunque esposizione ultradecennale all'amianto, a
prescindere dal grado di essa", denuncia, anzitutto, il contrasto della
disposizione in parola con l'art. 3 della Costituzione, giacché, in assenza di
"qualunque parametro predeterminato", di "specificazioni
tecniche" e di "standards di riferimento", la stessa
risulterebbe applicabile, in sede giudiziaria, in termini "tali da
consentire uguali decisioni per casi di diversa pericolosità o decisioni
diverse per casi sostanzialmente uguali". Ciò, peraltro, non senza
rilevare la "potenziale lesione del principio di imparzialità"
derivante dalla circostanza che l'esecuzione della menzionata norma in sede
amministrativa è affidata "alla mera discrezionalità della pubblica
amministrazione".
Inoltre,
secondo il giudice a quo, il censurato art. 13, comma 8, pretermettendo ogni
riferimento "a categorie di lavorazioni" e "al tipo di contatto
con le fibre", allarga "a dismisura la possibile platea degli
interessati": sicché, proprio "a causa dell'indeterminabilità"
di tutti i potenziali destinatari del beneficio, verrebbe meno "la
possibilità stessa di indicare la copertura finanziaria della legge", con
conseguente violazione anche dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione.
1.2. -
Dal suo canto, il Pretore di Vicenza (R.O. n. 873 del 1,998), muovendo dall'
"interpretazione letterale della disposizione denunciata", reputa che
sia, sufficiente, per l'accesso al beneficio della rivalutazione dei periodi
assicurativi, "qualsiasi esposizione all'amianto", a prescindere da
ogni "parametro di potenziale rischio di malattia"; in tal modo,
l'art. 13, comma 8, "nella parte in cui non indicando un limite
quantitativo o qualitativo della esposizione all'amianto consente
l'applicazione del predetto beneficio previdenziale ad una serie indeterminata
di destinatari", verrebbe a provocare - ad avviso del rimettente - un
possibile vulnus all'art. 3 della Costituzione, a causa dell'irragionevole
equiparazione di "situazioni di fatto assolutamente non omogenee" e
cioè quelle "di possibile rischio da esposizione all'amianto" e
quelle "di probabile o di sicuro rischio" di esposizione alla stessa
sostanza morbigena, purché ultradecennale.
2. - 1
giudizi, avendo ad oggetto la medesima disposizione, rispetto alla quale
vengono formulate censure in parte analoghe o comunque connesse, vanno riuniti
per essere decisi con un'unica sentenza.
3. -
Preliminarmente deve essere rilevata la tardività della costituzione dell'INPS
nel giudizio di cui all'ordinanza di rimessione del Tribunale di Ravenna (R.O.
n. 501 del 1998, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 28, prima serie speciale,
del 15 luglio 1998), effettuata con memoria depositata oltre il termine
stabilito dagli artt. 25, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, e 3 delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale; onde
l'inammissibilità della costituzione stessa.
4. -
Ancora in via preliminare, va esaminata l'eccezione di inammissibilità che
l’INAIL ha formulato avverso la questione proposta dal menzionato Tribunale,
evidenziando, in particolare, che "tutti gli interessati risulterebbero
ancora lavoratori dipendenti e quindi non in posizione tale da poter far valere
diritti pensionistici", con conseguente Metto di rilevanza della questione
nel processo pendente dinanzi al rimettente.
Tale
eccezione non può essere accolta, essendo sufficiente rilevare che - come
emerge dall'ordinanza di remissione -- il giudizio a quo ha per oggetto una
domanda di accertamento del diritto al beneficio previdenziale contemplato
dalla denunciata disposizione, il cui eventuale riconoscimento verrebbe ad
incidere attualmente sulla posizione pensionistica degli interessati, in guisa
di incremento della contribuzione utile ai fini di un futuro trattamento
pensionistico.
5. --
Occorre, infine, delibare, sempre preliminarmente, l'eccezione di
inammissibilità avanzata dall'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri
avverso l'ordinanza di remessione del Pretore di Vicenza (R.O. n. 873 del
1.998), in ordine alla quale si assume la carenza di congrua motivazione sulla
rilevanza della proposta questione, per non aver il giudice a quo verificato
"se la domanda dei ricorrenti fosse o meno coperta da giudicato che
stabiliva il loro diritto solo nei periodi in cui era stata superata la soglia
minima determinata a norma del decreto legislativo n. 277 del 1991".
Anche a
prescindere dal fatto che la difesa erariale non chiarisce quale sia il
giudicato che, nel pendente giudizio di primo grado, ostacola l'eventuale
riconoscimento del diritto vantato dai ricorrenti, l'eccezione non può trovare,
in ogni caso, accoglimento, dovendosi a tal fine rilevare, in modo assorbente,
che il giudice a quo - alla stregua di quanto è dato evincere dalla stessa
ordinanza di remessione - ha adeguatamente esplicitato i fatti e le ragioni del
contendere, che fanno leva sulla necessaria applicazione della disposizione
censurata, e ciò tramite una plausibile motivazione che consente di apprezzare
la sussistenza del requisito della pregiudizialità tra incidente di
costituzionalità e giudizio principale.
6. -
Nel merito le questioni non sono fondate.
Onde
valutarne compiutamente la portata, conviene muovere dal contesto normativo in
cui esse si collocano, e cioè dalla legge 27 marzo 199-9, n. 257, la quale,
preceduta da una disciplina comunitaria, già da tempo, consapevole della
necessità di protezione contro i rischi connessi all'esposizione ad amianto sul
luogo di lavoro (direttiva del Consiglio n. 477 del 1983, modificata dalla
direttiva n. 382 del 1991), ha dettato "norme relative alla cessazione
dell'impiego" di tale sostanza, esplicitando, tra le proprie finalità,
quelle della dismissione dalla produzione e dal commercio dell'amianto medesimo
e dei relativi prodotti, nonché della decontaminazione e della bonifica (art.
1).
Il
medesimo provvedimento legislativo ha individuato, altresì, i "valori
limite" di concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di
lavoro, rinviando a tal fine a quelli fissati dall'art. 31 del decreto
legislativo 15 agosto 1991, n. 277, che ha provveduto essa stessa a modificare
tramite l'art. 3, comma 4, a sua volta recentemente sostituito dall'art. 16
della legge 24 aprile 1998, n. 128 [8].
Nella
stessa legge n. 257 del 1992 si rinvengono, inoltre, talune "misure di
sostegno per i lavoratori" (capo IV, art. 13), costituite da una
diversificata gamma di benefici previdenziali, tra i quali sono da rammentare,
segnatamente, quelli:
1)
dell'accesso, per i lavoratori occupati in imprese che utilizzano o estraggono
amianto, impegnate in processi di ristrutturazione e riconversione produttiva,
al pensionamento anticipato in costanza di determinati requisiti contributivi,
beneficiando di una maggiorazione dell'anzianità assicurativa e contributiva
(comma 2);
2)
della rivalutazione, ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche
da parte dei lavoratori delle miniere e cave di amianto, del numero di
settimane coperto da contribuzione obbligatoria relativa ai periodi di
prestazione lavorativa (comma 6);
3) di
analoga rivalutazione per il periodo di provata esposizione all'amianto in
favore dei lavoratori che abbiano contratto, a causa di detta esposizione, malattie
pro-
fessionali
documentate dall'INAIL (comma 7);
4)
della rivalutazione, altresì, dei periodi assicurativi in favore dei lavoratori
che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a 10 anni (comma
8).
Proprio
in riferimento a quest'ultimo beneficio va, peraltro, segnalato che la norma
che lo contemplava - prevedendo che "ai fini del conseguimento delle
prestazioni pensionistiche i periodi di, lavoro soggetti all'assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione
all'amianto gestita dall'INAIL", quando superavano i 10 anni, fossero
"moltiplicati per il coefficiente di 1,5" - aveva dato luogo ad
incertezze interpretative in ordine all'entità delle agevolazioni accordate dal
legislatore; incertezze risolte attraverso una disposizione, contenuta
nell'art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169, la quale, in
sostituzione dei comma 8 dell'art. 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257,
stabiliva che "per i lavoratori dipendenti dalle imprese che estraggono
amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di
dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse, che
siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero
periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, è
moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente
1,5".
In sede
di conversione del predetto provvedimento d'urgenza, la legge 4 agosto 1993, n.
271, ha soppresso la locuzione "dipendenti dalle imprese che estraggono
amianto o utilizzano -amianto come materia prima, anche se in corso di
dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse",
così intendendo soddisfare - secondo quanto si evince dai lavori preparatori -
l'esigenza di attribuire centralità, ai fini dell'applicazione del beneficio
previdenziate, all'assoggettamento dei lavoratori all'assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto,
escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che potesse derivare dal
riferimento alla tipologia dell'attività produttiva del datore di lavoro.
Ne è
derivata la disposizione oggetto del presente scrutinio di costituzionalità,
alla quale fa riscontro, sotto il profilo finanziario (comma 22 del già
menzionato art. 1 del decreto-legge n. 169 del 1993, nel testo risultante dalle
modifiche adottate in sede di conversione), uno specifico stanziamento di lire
35 miliardi per il 1994 e di lire 37 miliardi per il 1995, aggiuntivo di quello
a suo tempo previsto dal comma 12 dell'originario art, 13 della legge n. 257
del 1992 (6 miliardi di lire per il 19921, 60 miliardi di lire per il 1993 e 44
miliardi di lire per il 1994).
7. -
Così ricostruite le vicende legislative che sono alla base della denunciata
dìsposizione, va rilevato che i rimettenti muovono entrambi dall'assunto che il
censurato art. 13, comma 8, delinei una fattispecie legale attributiva di un
beneficio previdenziale, la quale, concentrandosi sull'unico dato
dell'esposizione ultradecennale all'amianto, sarebbe di per sé insufficiente
per una congrua selezione degli aventi diritto. Donde il denunciato contrasto
della disposizione stessa con l'art. 3 della Costituzione.
Secondo
il Tribunale di Ravenna, a causa della indeterminabilità di tutti i potenziali
destinatari della norma, risulterebbe, altresì, violato l'art. 81, quarto
comma, della Costituzione, mancando "la possibilità stessa di indicare la
copertura finanziaria della legge".
8. - In
relazione al primo degli accennati profili di censura, occorre rilevare che,
trattandosi di stabilire se la disposizione sia tale da determinare la
irragionevole equiparazione dì situazioni non tutte meritevoli di eguale
tutela, il giudizio richiesto alla Corte si incentra, così come altra volta
rilevato (vedi, in particolare, sentenza n. 89 del 1996), sul
"perché" una determinata disciplina operi, all'interno del tessuto
egualitario dell'ordinamento, quella specifica equiparazìone (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto di corretto uso del potere normativo. Solo nel caso in cui
una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa o ragione della
discipliria introdotta potrà dirsi realizzato un vizio di legittimità
costituzionale della norma, proprio perché fondato sulla irragionevole
omologazione di situazioni diverse. Va da sé, al tempo stesso, che, non essendo
consentito al controllo di costituzionalità di travalicare in apprezzamenti che
sconfinino nel merito delle opzioni legislative, non può ovviamente venire in
considerazione, agli effetti di un ipotetico contrasto con il canone del
l'eguaglianza, qualsiasi incoerenza, disarmonia o contraddittorietà che una
determinata previsione normativa possa, sotto alcuni profili o per talune
conseguenze, lasciar trasparire.
9. -
Ciò posto, è da escludere che la disposizione denunciata si configuri,
contrariamente a quanto ritengono i giudici a quibus, in guisa tale da inibire,
in virtù della latitudine del suo dettato, ogni possibilità di sua ragionevole
interpretazione ed applicazione, sì da risultare portatrice di una
ingiustificata omologazione di situazioni tra loro diverse tali da ritenere
infatti che il censurato art. 13, comma 8, possa trovare, attraverso la
convergenza degli ordinari criteri ermeneutici (letterale, sistematico e
teleologico), congrua definizione nella sua portata, in vista della sua piana e
puntuale applicazione.
Lo
scopo della disposizione censurata, secondo quanto si evince dalla accennata
ricostruzione della relativa vicenda normativa, va rinvenuto nella finalità di
offrire, ai lavoratori esposti all'amianto per un apprezzabile periodo di tempo
(almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante
di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene. Il
criterio dell'esposizione decennale costituisce un dato di riferimento
tutt'altro che indeterminato, specie se si considera il suo collegamento, contemplato
dallo stesso art. 13. comma 8, al sistema generale di assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto, gestita
dall'INAIL.
Nell'ambito
di tale correlazione, il concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l'elemento
temporale con quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di
tutela previdenziale (artt. 1 e 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965), viene ad
implicare, necessariamente, quello di rischio e, più precisamente, di rischio
morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l'amianto è capace di
generare per la sua presenza nell'ambiente di lavoro; evenienza, questa, tanto
pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a
fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell'ambiente
lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (decreto
legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche).
La
disposizione denunciata poggia, quindi, su un sicuro fondamento, rappresentato
sia dal dato di riferimento temporale sia da quella nozione di rischio che,
come noto, caratterizza il sistema delle assicurazioni sociali.
Ne
consegue che la norma censurata, esprimendo, nella sua effettiva portata, un
precetto adeguatamente definito negli elementi costitutivi della fattispecie
che ne è oggetto e congruamente correlato allo scopo che il legislatore si è
prefisso, non vulnera, in conclusione, il parametro dell'art. 3 della
Costituzione evocato da entrambi i rimettenti.
10. -
Anche l'ulteriore doglianza, avanzata dal Tribunale di Ravenna, facendo leva
sulla pretesa violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, non
merita accoglimento.
Una
volta accertata l'infondatezza della prima censura esaminata, non possono non
cadere automaticamente anche le ulteriori implicazioni che detto Tribunale
tende a trarne, sul piano della supposta indeterminabilità dei destinatari e
della conseguente impossibilità di stabilire l'entità degli oneri finanziari
connessi alla norma denunciata. E questo a tacere del fatto che la censura di
mancato rispetto dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, si richiama a
dati privi di adeguato riscontro (in quanto desunti dalla relazione ad un
disegno di legge di gran lunga successivo all'epoca di emanazione della disposizione
censurata, il quale, a sua volta, attinge ad ulteriori fonti). Si tratta perciò
di elementi non utili per quel giudizio di attendibilità che, in tema di
copertura degli oneri finanziari pluriennali, questa Corte è chiamata qui a
svolgere (vedi, tra le altre, sentenze n. 25 del 1993 e n. 384 del 1991);
giudizio in vista del quale, stando ai termini in cui la censura viene
prospettata, si è portati piuttosto a considerare, a smentita dell'assunto del
rimettente, sia il fatto che non manca nella legge una specifica disposizione
di copertura finanziaria delle spese derivanti dal denunciato art. 13, comma 8,
sia, infine, che la copertura stessa è stata a suo tempo ritenuta adeguata
anche dalla Corte dei conti, nell'esercizio della funzione di referto quadrimestrale
al Parlamento sulle leggi di spesa (vedi delibera n. 6/REF/93, del 5 novembre
1993).
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8,
della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell'impiego
dell'amianto), come modificato dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno
1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto),
convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271, sollevate, in
riferimento agli artt. 3 e 81, quarto comma, della Costituzione, dal Tribunale
di Ravenna, e, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di
Vicenza, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 10 gennaio 2000.
(Firme)
Depositata
in cancelleria il 12 gennaio 2000
Note
1. L'articolo 13 comma 8 della legge
27 marzo 1992 n. 257 (Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto)
prevede che tutti i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per più di
dieci anni godano, ai fini della pensione, di una moltiplicazione per 1,5
dell'intero "periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria
contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto,
gestita dall'INAIL".
2. L'articolo 3 della Costituzione è
il seguente: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto
la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
3. L'articolo 41 della Costituzione
dice: "L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo
da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge
determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali".
4. Ecco il testo dell'articolo 81
della Carta fondamentale: "Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il
rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del
bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori
complessivamente a quattro mesi.Con la legge di approvazione del bilancio non
si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi
nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte".
5. La legge 8 agosto 1995 n. 335 è la
"Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare". Il
comma 35 dell'articolo 1 dice: "All'articolo 2, comma 1, del decreto
legislativo li agosto 1993, n. 374, è aggiunto, in fine, il, seguente periodo:
"Per i lavoratori impegnati in lavori particolarmente usuranti, per le
caratteristiche di maggior gravità dell'usura che questi presentano, anche
sotto il profilo delle aspettative di vita e dell'esposizione al rischio
professionale di particolare intensità, viene, inoltre, ridotto il limite di
anzianità contributiva di un anno ogni dieci di occupazione nelle attività di
cui sopra, fino ad un massimo di ventiquattro mesi complessivamente
considerati"".
6. Il decreto 19 maggio 1999 detta i
"Criteri di individuazione delle mansioni usuranti". Questo il testo
dell'articolo 2: "1. Nell'ambito delle attivita' particolarmente usuranti
individuate nella tabella A, allegata al decreto legislativo 11 agosto 1993,
n.374, sono considerate mansioni particolarmente usuranti, in ragione delle
caratteristiche di maggiore gravita' dell'usura che esse presentano anche sotto
il profilo dell'incidenza della stessa sulle aspettative di vita,
dell'esposizione al rischio professionale di particolare intensità, delle
peculiari caratteristiche dei rispettivi ambiti di attività con riferimento
particolare alle componenti socioeconomiche che le connotano, le seguenti,
svolte nei vari settori di attività economica: lavori in galleria, cava o
miniera": mansioni svolte in sotterraneo con carattere di prevalenza e
continuità; "lavori nelle
cave" mansioni svolte dagli addetti alle cave di materiale di pietra e
ornamentale; "lavori nelle gallerie" mansioni svolte dagli addetti al
fronte di avanzamento con carattere di prevalenza e continuità; "lavori in
cassoni ad aria compressa"; "lavori svolti dai palombari";
"lavori ad alte temperature": mansioni che espongono ad alte
temperature, quando non sia possibile adottare misure di prevenzione, quali, a
titolo esemplificativo, quelle degli addetti alle fonderie di 2 fusione, non
comandata a distanza, dei refrattaristi, degli addetti ad operazioni di colata
manuale; "lavorazione del vetro cavo": mansioni dei soffiatori
nell'industria del vetro cavo eseguito a mano e a soffio; "lavori
espletati in spazi ristretti", con carattere di prevalenza e continuità ed
in particolare delle attività di costruzione, riparazione e manutenzione
navale, le mansioni svolte continuativamente all'interno di spazi ristretti,
quali intercapedini, pozzetti, doppi fondi, di bordo o di grandi blocchi
strutture; "lavori di asportazione dell'amianto" mansioni svolte con
carattere di prevalenza e continuità. 2. Viene riconosciuto, per le mansioni
elencate nel comma 1, un concorso dello Stato, che non puo' superare il 20% del
corrispondente onere ed e' attribuito nell'ambito delle risorse preordinate a
tale scopo ai sensi dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo 11agosto
1993, n. 374, come introdotto dall'art. 1, comma 34, della legge 8 agosto 1995,
n. 335. 3. Le organizzazioni sindacali, di cui all'art. 1, comma 1, dovranno
congiuntamente formulare, entro il medesimo termine previsto dall'art. 1, comma
2, le proposte per la determinazione delle aliquote contributive, relative alle
mansioni individuate nel comma 1, tenuto conto delle previsioni di cui al comma
2. Decorso infruttuosamente il predetto termine, si applicano le disposizioni
di cui all'art. 3, comma 3, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n.374, come
sostituito dall'art. 1, comma 34, della legge 8 agosto 1995, n. 335".
7. L'articolo 25 della Costituzione è
il seguente: " Nessuno può essere distolto dal giudice naturale
precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge
che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere
sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge".
8. Ecco il testo dell'articolo 16
(Modifiche alla legge 2 7 marzo 1992, n. 257, recante norme relative alla
cessazione dell'impiego dell'amianto).della legge 128 del 1998 (Comunitaria
1995-97):
"1,
il comma 2 dell'articolo 1 della legge 27 marzo 1992, n. 257, è sostituito dal
seguente:
"2.
Sono vietate l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la
commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di
prodotti contenenti amianto".2.
L'articolo
3 della legge 27 marzo 1992, n. 257, è sostituito dal seguente.. "Art. 3 -
(Valori limite). –
La
concentrazione di fibre di amianto respirabili nel luoghi di lavoro ove si
utilizza o si trasforma o si smaltisce amianto, nei luoghi ove si effettuano
bonifiche, negli ambienti delle unità produttive ove si utilizza amianto e
delle imprese o degli enti autorizzati alle attività di trasformazione o di
smaltimento dell'amianto o di bonifica delle aree interessate, non può superare
i valori limite fissati dall'articolo 31 del decreto legislativo 15 agosto
1991, n. 277, come modificato dalla presente legge.
2. 1
limiti, le procedure e i metodi di analisi per la misurazione dei valori
dell'inquinamento da amianto, compresi gli effluenti liquidi e gassosi contenenti
amianto, sono disciplinati dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 114.3.
Eventuali aggiornamenti o modifiche dei limiti di cui ai commi 1 e 2 sono
disposti, in coerenza con la normativa comunitaria, anche su proposta della
commissione di cui all articolo 4, con decreto del Ministro della sanità, di
concerto con il Ministro dell'ambiente e con il Ministro dell'industria, del
commercio e dell'artigianato. 4. La lettera a) del comma 1 dell'articolo 31 dei
decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, è sostituita dalla seguente:
"a) 0,6 fibre per centimetro cubo per il crisotilo". 5. Il comma 2
dell'articolo 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, è
abrogato". 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 hanno efficacia
decorsi centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge".
Ci sembra cosa utile riportare di seguito la
circolare numero 40 del Ministero del lavoro a firma del sottosegretario Guerrini a proposito del diritto dei
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) ad accedere e disporre del
documento della valutazione dei rischi. L’articolo 19 punto e) del decreto
legislativo 626/94 è chiaro: “Il
rappresentante per la sicurezza riceve le informazioni e la documentazione
aziendale inerente la valutazione dei rischi e le misure di prevenzione
relative, nonché quelle inerenti le sostanze e i preparati pericolosi, le
macchine, gli impianti, l’organizzazione e gli ambienti di lavoro, gli
infortuni e le malattie professionali”, mentre invece dalla circolare
esplicativa sembra che questo diritto diventi un’opportunità per la direzione
che, in determinati casi, può anche sottrarsi a questo obbligo. Il tutto è
alquanto singolare!
CIRCOLARE N. 40/2000
16 giugno 2000
PROT. 21114/RLA5
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
Direzione Generale Rapporto di Lavoro
OGGETTO:
Partecipazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza alla gestione
della sicurezza. Art. 19 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 e successive
modifiche ed integrazioni
ALLE
OO.SS. DEI DATORI DI LAVORO
ALLE
OO.SS. DEI LAVORATORI
ALLE
REGIONI - ASSESSORATI ALLA SANITA’
ALLE
DIREZIONI REGIONALI E PROVINCIALI LAVORO
e, p.c.
ALLA
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
DIPARTIMENTO
DELLA FUNZIONE PUBBLICA
DIPARTIMENTO
DEGLI AFFARI REGIONALI
AL
MINISTERO DELLA SANITA’
Sono
pervenute numerose segnalazioni da parte di rappresentanti dei lavoratori (RLS)
per la sicurezza che denunziano difficoltà ed ostacoli frapposti dai datori di
lavoro in relazione alla possibilità di disporre del documento di valutazione
del rischio, sulla base di interpretazioni discordi del dettato dell’art.19
comma 5 del DLGS 626/94.
Al
riguardo , in via preliminare va tenuto presente che la corretta
interpretazione della norma deve essere fatta con riferimento al dettato della
direttiva quadro 89/391/CEE recepita dal titolo I del decreto legislativo
n.626/94, nonché alla luce di tutto il complesso delle disposizioni che
riguardano la figura del RLS.
Il Dlgs
626/94 traspone il criterio del legislatore comunitario volto ad attivare tutti
i soggetti interessati al perseguimento di idonee condizioni di sicurezza sul
luogo di lavoro. La direttiva quadro CEE 89/391, infatti, - pur mantenendo in
capo al datore di lavoro l’obbligo di garantire la sicurezza e la salute dei
lavoratori- ha, altresì, previsto la consultazione obbligatoria dei lavoratori
stessi o dei loro rappresentanti e, parallelamente, il loro diritto a
partecipare alla soluzione delle problematiche riguardanti la sicurezza nei
luoghi di lavoro. (art.11 direttiva 89/391/CEE).
In
conformità a tali disposizioni, il legislatore italiano ha disciplinato la
figura del RLS quale soggetto che partecipa al processo di gestione della
sicurezza del luogo di lavoro attraverso la forma della consultazione da parte
del datore di lavoro; tale consultazione deve avvenire, sia preventivamente,
nella procedura di valutazione del rischio , sia successivamente, nella
verifica della sufficienza ed efficacia delle misure di prevenzione e
protezione poste in atto .
La
legge citata ha disposto in favore del RLS, tra l’altro, il diritto di accesso
ai luoghi di lavoro , il diritto a ricevere anche le informazioni e la
documentazione aziendale inerente la valutazione dei rischi e le relative
misure di prevenzione (art. 19, comma 1 lettera e del d.lgs 626/94), e la
facoltà di ricorrere agli organi di vigilanza qualora non ritenga idonee le
misure di prevenzione e di protezione adottate. Il RLS è poi compreso fra i
soggetti attori della riunione periodica (art. 11 d.lgs 626/94) dedicata alla
valutazione della situazione di sicurezza aziendale mediante l’esame del
documento di cui all’art. 4 comma 2 del citato d.lgs. 626/94.
Il
legislatore, nell’art. 19 comma 3 dello stesso d.lgs. 626/94, ha demandato alla
volontà delle parti la individuazione delle modalità per l’esercizio delle
funzioni elencate al comma 1 dell’art.19 citato, mentre al successivo comma 5,
ha disciplinato direttamente, senza operare rinvii alla contrattazione
collettiva, la fruizione del documento di valutazione dei rischi, stabilendo in
favore dello stesso RLS, il diritto di accesso senza subordinarlo
all’intervento della contrattazione collettiva. Ciò non esclude, evidentemente,
la possibilità di una regolamentazione contrattuale del diritto di accesso, che
ne definisca in modo più puntuale le modalità anche in relazione alla
specificità dei singoli settori.
In ogni
caso, è interesse e dovere del datore di lavoro agevolare comunque l’esercizio
di tale funzione, senza irragionevoli limitazioni di spazio o di tempo,
fornendo luoghi idonei e concordando orari di consultazione.
Tenuto
poi conto della circostanza che, il RLS ha diritto di ricevere tutte le
informazioni e la documentazione aziendale inerente la valutazione dei rischi,
si ritiene che la consegna del documento di cui all’art.4, comma 2 del d.lgs.
626/94 – ove obiettive esigenze tecniche, organizzative, di sicurezza o
particolari oneri di riproduzione, non la rendano praticabile – costituisca la
migliore espressione del principio di collaborazione fra le parti, cui è impostato
il nuovo sistema di gestione della sicurezza sul lavoro.
Non
appare superfluo, infine, ricordare che, nel caso di consegna di copia del
documento, il RSL è comunque tenuto al segreto in ordine ai processi lavorativi
dell’azienda, secondo quanto previsto dall’art. 9, comma 3, del decreto
legislativo in oggetto.
IL SOTTOSEGRETARIO DI STATO DELEGATO
(ON.LE PAOLO GUERRINI)
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SUPPLEMENTO AL NUMERO 128-131 DI MEDICINA
DEMOCRATICA
Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 23 del
19 gennaio 1997
Direttore responsabile: Fulvio Aurora