BOLLETTINO N° 6- OTTOBRE 2000
Precisazioni sulla proposta di trasferimento dall' INAIL alle A-USL delle competenze di riconoscimento degli infortuni e delle malattie professionali La lunga
risposta del dottor Franco Carnevale alla breve lettera di Vito Totire e del
sottoscritto nella quale è stato chiesto il parere all'associazione italiana di
epidemiologia sul possibili trasferimento delle competenze di riconoscimento
degli infortuni e delle malattie professionali dall'INAIL alle A-USL, non aiuta
ne a risolvere ne a chiarire il problema. Invece
che rispondere punto per punto coinvolgendo i lettori in una serie di
altrettanto lunghe quanto noiose contro deduzioni, è preferibile spiegare i
fondamenti della nostra proposta, il più brevemente possibile. Il punto
di partenza sono le condizioni di insicurezza di un gran numero di lavoratori
che portano a registrare un inaccettabile verificarsi di infortuni sul lavoro
sia mortali che con conseguenze di invalidità permanente, nonostante negli
ultimi due decenni si siano verificati
delle enormi modificazioni nell'organizzazione del lavoro dovute all'impiego di
nuove ed evolute tecnologie. Queste non sono servite o non sono state
impiegate, di norma, a migliorare la condizione di lavoro degli addetti, anzi,
in molte situazioni, dove il lavoro è stato reso grandemente flessibile e
precario si è avuto un peggioramento. Le vecchie e tradizionali nocività del
lavoro manuale sono rimaste e a queste si sono aggiunte nuove nocività,
soprattutto di ordine psicologico, con effetti diversi, ma non meno gravi. . La strategia che è stata individuata per rispondere a
questo stato di cose promana dalle direttive europee sulla sicurezza e salute
dei lavoratori nei luoghi di lavoro che sono state recepite in Italia
soprattutto con il decreto legislativo 626 del 1994 (e successive modifiche). La filosofia di queste leggi (e di quella che le hanno
precedute, il DLg 277/92) attiene ad un coinvolgimento di tutti i
soggetti interessati, dai datori di lavoro ai lavoratori, passando attraverso
gli organi pubblici di vigilanza nonché i rappresentanti tecnici delle
direzioni aziendali e i rappresentanti dei lavoratori. Una filosofia ben
radicata nel sistema capitalista che non ha però dato prova, almeno in Italia,
di efficacia in quanto non ha portato ad un effettivo miglioramento delle
condizioni di lavoro, ne alla cosiddetta "cultura della prevenzione". Ci si
dimentica, forse, che vi sono degli interessi in gioco che prevalgono per cui
la valutazione dei rischi di competenza delle direzioni aziendali diventa un
atto prevalentemente burocratico, in cui rischi e danni vengono sottovalutati
per non dire nascosti, anche in considerazione delle difficoltà e della
sporadicità dei controlli degli organi di vigilanza. Nemmeno
la concessione di incentivi economici per la prevenzione non sembra servire.
Infatti lo scopo per l'azienda non è il miglioramento delle condizioni di
lavoro, ma l'ottenimento di appetibili risultati economici. I costi degli
infortuni e delle malattie professionali, almeno in gran parte, vengono
scaricati sulla collettività. . Le leggi sulla sicurezza del lavoro non sono efficaci "in sé",
cioè non producono automaticamente gli effetti desiderati. La storia e
l'esperienza insegnano che solo quando i soggetti interessati vengono coinvolti
o si coinvolgono nella difesa delle loro condizioni di salute si ottiene un
effettivo miglioramento. Il lavoro conoscitivo e tecnico degli organi di
vigilanza, attualmente al di sotto di un buon 50% di quello stabilito, deve
andare in questa direzione. Ai lavoratori stessi devono essere dati gli
strumenti per valutare i rischi cui sono sottoposti e giudicare la valutazione
dei rischi predisposta dall'impresa. Ad esempio se si legge,
nell'articolo 3 del DLg 626/94 che si devono eliminare i rischi in relazione
alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non sia
possibile, si debbano ridurre al minimo e altrettanto che si deve sostituire
ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso; si può
concludere che con le attuali tecnologie si possono eliminare i rischi,
sostituendo i prodotti nocivi con prodotti non nocivi. Non vi è dubbio che gli agenti nocivi cancerogeni possono
essere eliminati sia per un motivo tecnico, ma, diremmo, soprattutto per un
motivo etico, Inaccettabili dunque anche sul piano etico, oltre che
scientificamente infondate, sono le posizioni di chi propone ancora dei valori
limite, pur con dei distinguo, come fa il dott. Carnevale. Capisco che si
tratta di una polemica con una ragione d'essere perché dal riconoscere o meno
che l'unico livello di rischio ammissibile per i cancerogeni è il livello di
rischio zero, dipende non solo il mantenimento della salute degli esposti (o
non esposti), ma anche la condanna penale per il datore di lavoro inadempiente
e, non ultimo, il risarcimento del danno al lavoratore colpito. Al
proposito tornando al problema da cui siamo partiti quello dell'INAIL,
proponiamo un'incentivazione rovesciata: non riteniamo che si debbano pagare i
ladri perché non rubino, ma che si debbano produrre delle condizioni perché i
furti non si verifichino, che siano cioè i datori di lavoro a sopportare tutto
il peso degli infortuni e delle malattie professionali di cui sono
responsabili. L'INAIL è un'assicurazione sociale, e noi siamo ben
contenti che la Corte Costituzionale abbia respinto il referendum proposto dai radicali,
che ne voleva l'abrogazione, ma, prima del sociale, viene l'assicurazione che
è quello che conta. Come dice in altra
parte il dott. Carnevale; "L'assicurazione obbligatoria, ma per un numero
ridotto, di malattie professionali, diventa legge in Italia solo negli anni 30
ed assume subito e prevalentemente il significato di assicurazione dei datori
di lavoro più che dei lavoratori "
(La prevenzione nel terzo millennio, in Salute e territorio n.117/1999). Il
problema è tutto qui, l'INAIL non ha cambiato sostanza da quando si chiamava
INFAIL (F stava per fascista) ed è essenzialmente rimasta un'assicurazione. I
lavoratori infortunati, anche per gli infortuni minori, devono sudare sette
camicie per essere riconosciuti ed avere quel poco di rendita che gli spetta,
non parliamo delle malattie professionali ed in particolare del riconoscimento
dei tumori professionali. L'INAIL stesso ci dice, pur sottovalutandoli, che i
tumori professionali sono valutabili nella misura del 4% di tutti i tumori, che
vale l'assunto della JARC (per i cancerogeni non vi è soglia che garantisca la
salute) (1) e poi riconosce nel 1999 390 tumori professionali e, nel caso
dell'amianto fissa un livello, pari a 100 fibre litro di esposizione per il
riconoscimento dei benefici previdenziali. Grandissime incongruenze che trovano
giustificazione solo in ragioni di ordine economico. Infatti l'esborso
economico che risulterebbe per rispondere positivamente alle circa 90.000
domande di riconoscimento dei lavoratori esposti all'amianto sarebbe molto
elevato se ad esso dovesse fare fronte solo lo Stato (e non i responsabili
dell'esposizione). Si tratta comunque di un numero inferiore alle effettive
esposizioni avvenute se si pensa che in Italia allo stato attuale vi
sono sparse per il territorio 23 milioni di tonnellate di amianto. (Commissione
parlamentare Scalia, sui rifiuti). Se dunque
interveniamo per togliere all'INAIL questa funzione, facendolo semplicemente
rimanere un organismo di esazione dei premi e di erogatore delle rendite e se
la affidiamo alle A-USL (Dipartimento di prevenzione) con i dovuti adeguamenti
di personale e strutturali necessari otteniamo diversi vantaggi: il primo è
quello di svincolare i riconoscimenti alla logica assicurativa, ancorandola esclusivamente di analisi scientifica
'compiuta sul territorio dove l'evento si è verificato, il secondo - indiretto
- è quello di porre mano al funzionamento complessivo delle strutture di
prevenzione nei luoghi di lavoro che come dicevamo sono sotto dimensionate Non
abbiamo dubbi che questo cambiamento porterà a riconoscere gli infortuni e le
malattie professionali in tempi più brevi e soprattutto a riconoscerli in un
numero molto più vicino alla realtà di quanto non sia ora. Certamente questo
porterà ad un aumento notevole dei costi, quindi dei premi assicurativi per le
aziende, le quali avranno un solo modo per ridurli, cioè quello di prendere le
misure di prevenzione necessarie. Certamente non sarà questo il modo "assoluto" per
realizzare la vera prevenzione nei luoghi di lavoro, ma potrà essere di grande
aiuto a quei lavoratori e a quei sindacati che intendono fare della lotta per
la difesa della salute un punto fondamentale della loro azione. Infatti siamo nel campo degli interessi fra chi deve
mantenere la salute e chi deve fare profìtti dove, come diceva Maccacaro solo
lo scontro e non il compromesso - di classe - ne decide l'essere e il
divenire. Milano, 17 agosto 2000 Nota 1: Si veda il Capitolo della relazione INAIL del 1999
ricavabile dal suo sito internet (www.inail.it) Le malattie professionali, in
particolare i paragrafi 2.2.3. (I tumori professionali) e 2.2.4. Andamento dei
tumori professionali negli ultimi 5 anni. Fulvio
Aurora |