Una medicina meno liberista
Un
convegno di Medicina democratica sul lavoro che uccide.
Diagnosi e un suggerimento: sulla sicurezza ascoltate gli
operai
MANUELA CARTOSIO - INVIATA A GENOVA
Oggi nell'aula bunker di Mestre riprende il
processo per i morti e per l'ecocidio di Porto Marghera. Il
processo ai padroni del Petrolchimico si fa soprattutto grazie
al "metodo" dell'inchiesta dal basso e del sapere operaio.
Medicina democratica (Md) all'inizio degli anni '70 fondò quel
metodo; oggi, in un contesto sociale e politico disastrato, è
rimasta forse l'unica associazione a mantenerne fattiva e
concreta memoria. Il suo convegno di sabato scorso a Genova -
nonostante il titolo, "Operaio da morire" - è stato un gesto
di speranza. "Per almeno altri 20 anni continueremo a scassare
l'anima in questo paese", promette Tonino D'Angelo, presidente
di Md. Speranza accompagnata da un sano realismo: "Siamo pochi
gatti che cercano di lanciare il sasso nello stagno con
l'ambizione di ricreare una rete, una sensibilità", dice un
giovane fiorentino. Un centinaio i partecipanti al
convegno, quasi altrettante le realtà in cui Md è presente.
L'elenco disegna la mappa italiana dei veleni (Porto Marghera,
Cengio, Mantova, Ravenna, Massa Carrara, Priolo, Gela,
Manfredonia, Porto Scuso e Portovesme, Scarlino...) e dei
comitati contro impianti tossici, discariche, alta velocità,
superstrade. A rivolgersi a Md sono soprattutto i comitati, le
aggregazioni territoriali, mentre i luoghi di lavoro - dove
pure si continua ad ammalarsi e a morire - sono sempre più
muti e sordi sui temi della salute e dell'ambiente. Ci sono
mille spiegazioni di questo silenzio: dalla deregulation del
mercato del lavoro alla frammentazione postfordista, da una
sinistra tale sono di nome a un sindacato tiepito e
connivente. E però, afferma Marcello Palagi, dell'Assemblea
permanente dei cittadini di Massa Carrara (ricordate la
Farmoplant?), "il problema restano gli operai, non li abbiamo
trovati dalla nostra parte vent'anni fa, non li troviamo ora".
Il ricatto occupazionale non spiega tutto, in alcuni casi
"l'omertà dura anche dopo, a fabbrica chiusa, a licenziamenti
avvenuti". Non c'è moralismo nelle parole di Palagi, ma solo
un duro richiamo alla "materialità". L'esempio più recente, e
a un tiro di schioppo dal Museo di Sant'Agostino dove si è
svolto il convegno, è l'aspra vicenda dell'acciaieria di
Cornigliano (inspiegabilmente neppure nominata al convegno).
Per la quale vale la lezione che Luigi Mara tira da decenni di
esperienza: "O gli operai prendono in mano la bandiera della
salute, oppure sono spazzati via. Se si perde sul terreno
della salute, si perde anche su quello del lavoro. Quando la
comunità, il territorio, prendono coscienza del danno
ambientale per tutti, i posti di lavoro sono destinati a
sparire, diventano indifendibili". Molti gli interventi sui
danni dell'amianto e sulle difficoltà per gli esposti a
ottenere un parziale risarcimento: la legge che permette a chi
ha respirato aghi di amianto per dieci anni d'andare in
pensione con cinque anni d'anticipo è osteggiata innanzi tutto
dall'Inail. Ne hanno parlato lavoratori dell'Ansaldo di
Legnano e di Milano, togliendo la pelle ai sindacati
confederali; Michele Michelino, ex Breda Fucine di Sesto San
Giovanni, ha allargato le critiche alla magistratura: "la
scienza non è neutrale, ma neppure i giudici lo sono", si
rimpallano per anni le denunce per morti da mesotelioma, il
tumore provocato dall'amianto. 120 diagnosi di mesotelioma in
un anno in Liguria dove i casi "attesi" erano meno di una
decina, dice il dottor Valerio Gennaro che ne sta curando il
registro. Attenzione, aggiunge, il mesotelioma è un tumore
"sentinella", l'amianto può causare altri tipi di tumore ai
polmoni. Se questa è la morte lenta, c'è la morte repentina
del camallo investito dal cavo d'acciaio, sbalzato in mare dal
carrello. La racconta Bruno Rossi che paragona il suo
apprendistato lento e cadenzato nella Compagnia merci varie di
50 anni fa ai metodi odierni: "ragazzi appena presi che fanno
30 turni di seguito", impossibile imparare il
mestiere. Della legge 626 per la sicurezza nei luoghi di
lavoro, in vigore da sei anni, Md tira un bilancio
perentoriamente negativo, autorizzata dalle cifre di morti e
infortuni che non mostrano inversioni di tendenza. Ma la
critica risale a monte, investe la filosofia della legge.
"Scoraggia la vigilanza, si sono spostati operatori pubblici
dalla vigilanza all'assistenza alle azienda sconfinando nella
beneficenza", osserva Vito Totire, dell'Associazione esposti
amianto. Questione di principio a parte, "i risultati sono
fallimentari". Dario Miedico, medico del lavoro e medico
legale, rifiuterebbe di fare il rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza (Rls): "si rischia d'essere complici senza
volerlo del padrone". La 626 è più utile per i medici legali
in tribunale che per i lavoratori in fabbrica, aggiunge: "in
tribunale nessuna azienda risulta totalmente in regola con la
626". Pochi o tanti che siano, utili o controproducenti, i
delegati alla sicurezza ora ci sono. E ad essi Md, per bocca
del suo segretario Fulvio Aurora, lancia un messaggio:
approfittate della nostra esperienza, usateci, fate vostro il
"metodo" che riconosce alla soggettività del lavoratore pari
dignità del sapere tecnico-scientifico. Per citare di nuovo
Mara: "Il tecnico non deve solo insegnare all'operaio, deve
anche imparare da lui, il rapporto è sempre di scambio
biunivoco". Non passa indenne all'esame di Md neppure il
testo unico sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro,
a cui sta lavorando da anni il senatore Smuraglia. "Non ci
convince la logica premiale verso le aziende, quello
sanzionatorio è l'unico linguaggio che capiscono le aziende
italiane", dice Franco Pisano, dell'Agenzia per l'ambiente
della Liguria, "il metodo dell'autocertificazione va bene in
Svezia, non qui da noi". Sarà pure vero, ma dalla relazione
del magistrato Francesco Pinto è risultato altrettanto vero
che il processo penale è un "rischio sostenibile" per le
aziende che violano le leggi e se la cavano con prescrizioni,
condizionali e rotazione di dirigenti. Urge escogitare altre
forme di "deterrenza".
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