Conclusioni del Convegno di Genova del 16 settembre 2000 |
di Fulvio Aurora Medicina democratica ha organizzato e svolto a Genova, il 16/9/2000, un convegno nazionale "OPERAIO DA MORIRE – MORTI IN FABBRICA E FABBRICHE DI MORTE", che ha visto la partecipazione di oltre 100 persone, lavoratori (di fabbriche e altro) e operatori della prevenzione, ricercatori, avvocati, medici, operatori sindacali ecc. La partecipazione è stata molto attiva, l’attenzione molto alta. Un titolo molto duro, quello che è stato scelto per il convegno Parlare di morte e di malattia nei luoghi di lavoro è un dato reale: gli indicatori principali, gli infortuni e le malattie professionali, stanno ad indicare come questa situazione sia pesante: gli ultimi dati ci dicono che in un anno ci sono 1.000.000 di infortuni sul lavoro , 40.000 invalidi , 1.200 morti. Gli infortuni non sono un eccezione, tanto meno una fatalità; la loro frequenza, addirittura l'aumento di questi ultimi due anni, anche in considerazione delle elevate tecnologie immesse nella produzione e lo spostamento dei lavoratori (dal lavoro manuale a quello impiegatizio) ci fanno affermare che la parola giusta per leggere questo fenomeno non è la parola incidente, ma la parola crimine. Tanto più che esistono, e sono altrettanto pesanti, malattie professionali (meglio dire da lavoro) che generano grandi sofferenze per chi vi è colpito e portano in periodo più o meno lunghi a morte. Infatti i lavoratori che sono esposti a sostanze tossiche e cancerogene, quelli che fanno i lavori più pesanti, quelli che sono privi di garanzie previdenziali e sindacali hanno una speranza di vita più bassa di quella della media, di 6 – 9 anni almeno. I l convegno è stato fatto a Genova per i problemi che questa città ha, a partire dal porto, in termini di perdita di posti di lavoro e di malattie, infortuni e morti in qualche modo da esso derivati. Genova e la Liguria hanno un triste primato in Italia e nel mondo in termini di mortalità da amianto: più in generale, in Liguria, i morti per tumore professionale sono circa 400 (200 – 800)Pensare che l’INAIL ha riconosciuto in tutta Italia 390 tumori professionali nel 1999.Il numero che si avvicina alla realtà dovrebbe essere tra 6.000 e 10.000 lavoratori che ogni anno, a causa delle mansioni che svolgono, delle esposizioni a vari agenti cancerogeni, della particolare organizzazione del lavoro, sono colpiti da tumori diversi.
COME SI RISPONDE A QUESTA SITUAZIONE? Sembra che oggi vi sia una maggiore coscienza che arriva anche a fare prendere misure almeno contro gli infortuni. Certo, occorre entrare nel merito, e valutare e giudicare il valore di queste misure. Il governo deve affrontare una situazione che vede l’Italia con una più elevata incidenza di infortuni rispetto alla media UE (Italia 4,1/100.000 lavoratori, U.E 3,6/100.000). Il governo risponde malamente richiamando alla "mancanza di cultura della prevenzione", quindi sborsa 600.000.000.000 per informare ed incentivare le piccole e medie aziende a modificare gli impianti e le macchine per ridurre gli infortuni. Prende pure iniziative di coordinamento fra i vari enti preposti, produce circolari e provvedimenti amministrativi in ne di leggi e decreti legislativi che è difficile seguire puntualmente, ma la realtà di malattia e morte operaia non si modifica. Non si parla di malattie professionali, di sostanze cancerogene, di organizzazione del lavoro. Il governo che ha preso e continua a prendere misure di flessibilità e liberalizzazione del lavoro si muove contro gli infortuni che lui stesso ha contribuito a creare. Vi è una profonda contraddizione: per opporsi agli attentati alla salute dei lavoratori non si può che intaccare il profitto, ma il governo, e non solo, vuole combattere gli infortuni senza intaccare il profitto, anzi contribuendo a svilupparlo. Occorre pure demitizzare il ricorrente richiamo alla non applicazione delle leggi sulla sicurezza. Perché è vero che queste non vengono applicate, e la responsabilità degli imprenditori è gravissima, ma occorre pur dire che le nuove leggi sul lavoro sono improntate alla compatibilità, ovvero ad intervenire ancora una volta compatibilmente alle esigenze economiche industriali; non per nulla il decreto legislativo 626/94 prescrive che il datore di lavoro effetti la valutazione del rischio (che lui hadi creato) e che prenda le misure relative per abbatterlo. In realtà si fa di tutto (si pagano fior di consulenti) per dimostrare che l’ambiente di lavoro non è nocivo – anche contro l’evidenza – Vi sono responsabilità anche nelle amministrazioni regionali, e nei servizi regionali sia per i livelli di finanziamento per la prevenzione (al di sotto della metà di quanto previsto). Il problema non è solo quantitativo ma anche qualitativo, ovvero delle modalità e dei metodi di lavoro degli organi di vigilanza. Organi di vigilanza degli ambienti di lavoro o. La faticorgani di valutazione e produzione di carta? Quanto escono i servizi di prevenzione, quando visitano e indagano nei luoghi di lavoro? E che metodo di intervento usano, Si ricordano ancora di coinvolgere i lavoratori o rimangono "neutri" di fronte ad essi, con propensione ad ascoltare di più le direzioni aziendali? A queste domande occorre rispondere, per cui il gruppo di lavoro che si formerà (di cui alle proposte finale) cercherà di chiedere un incontro e di discutere con gli operatori della prevenzione organizzati (SNOP) al fine di discutere nel merito. Gravissime sono le responsabilità dell’INAIL per il mancato riconoscimento ed il mancato indennizzo di migliaia, centinaia di migliaia di lavoratori. La fatica che questi fanno per essere riconosciti per piccoli e grandi infortuni e molto più per le malattie professionali sono grandissime. L'INAIL , nato negli anni 30 con il nome di INFAIL risponde più per evitare gli indennizzi definiti dai tribunali che per salvaguardare i lavoratori. Oggi non sembra che si sia modificata nella sostanza, anzi l'ultima recente legge che assume fra la materia da indennizzare anche il rischio biologico, va nella stessa direzione. Non siamo per abolire l'INAIL, ma siamo per riformarlo, per togliere ad esso la ragione e la forma assicurativa, cioè per distinguere le funzioni risarcitorie che resterebbero di competenza dell'INAIL da quelle di riconoscimento che passerebbero ai servizi di prevenzione delle A-USL con evidente adeguamento del personale e dei mezzi. In tal senso è stata presentata una proposta di legge in Senato, su proposta di Medicina Democratica e dell'Associazione Esposti Amianto (AEA) dal senatore Giovanni Russo Spena. All'interno di questo argomento altrettanto sosteniamo che in materia di rischi in generale e in particolare di cancerogeni, va rovesciato l'onere della prova: occorre affermare che il rischio è già un danno, che quindi va sottoposto a sanzione penale, sarà il datore di lavoro a dimostrare il contrario; allo stesso modo a partire dal rischio zero per tutte le sostanze cancerogene, teratogene e mutagene, si chiede che ogni tumore cui viene colpito un lavoratore debba essere riconosciuto, indipendentemente dalla sede in cui si è mostrato, semplicemente se nell'azienda sono lavorate una o più sostanze cancerogene. Anche qui sarà il datore di lavoro si difenderà dimostrando il contrario. In proposito il gruppo di lavoro che si vuole creare e la grande assemblea nazionale che si vuole costruire dal basso, entreranno nel merito delle proposte di legge (Testo Unico sulle leggi del lavoro, o proposta di legge Smuraglia) per respingere i molti articoli non condivisibili (si veda la relazione di Roberto Bianchi presentata al convegno) e di contro per fare le proposte che sosteniamo. Crediamo che nemmeno si possano sottacere le responsabilità dei sindacati tradizionali in materia di difesa della salute dei lavoratori. Si potrebbe ricordare l'accordo per non riconoscere i lavoratori esposti all'amianto, conformemente alla legge 257/92, in pratica producendo un percorso amministrativa che supera la legge. Ancora di più sono gravi i silenzi sulla relazione flessibilità, liberalizzazione del lavoro e conseguenze nel campo della perdita di salute dei lavoratori, nonché, come avviene in molte occasioni, anche sanciti da accordi e contratti, la formazione degli RLS lasciata a cura delle direzioni aziendali. E certamente non è tutto, ma forse non è che le organizzazioni sindacali sono diventate organizzazioni di sindacalisti e non più di lavoratori?
ALLORA COSA FARE DOPO QUESTO CONVEGNO?
Tutto questo potrà avere come merito una campagna-piattaforma nazionale da
portare aventi a tutti i livelli, in particolare servendosi delle proposte
organizzative che abbiamo spiegato nei precedenti punti.La campagna nazionale
deve essere basata su: Tutto sarà riferito alla metodologia di sempre: la non delega, la partecipazione consensuale, la non monetizzazione della salute. Genova, 16 settembre 2000 |