>

L'esperienza della sezione di Savona

Intervento della sezione di Savona di Medicina Democratica


La costituzione di Medicina Democratica a Savona trae origine da una battaglia per la difesa delle proprie condizioni di salute (peraltro già pesantemente compromesse) e per il riconoscimento del danno subito ad opera dell'ambiente di lavoro, avviata dal un lavoratore della Vetrotex ex Vitrofil di Vado Ligure, di proprietà prima della Montedison ed oggi della Saint-Gobain.
Costruita nel 1975, raro esempio di riconversione industriale in Italia, dopo un'occupazione durata tre anni da parte degli operai dell'ex stabilimento di prodotti chimici APE, la Vitrofil perse immediatamente guell'immagine di stabilimento pulito e tecnologicamente avanzato che i dirigenti della Montedison avevano spudoratamente propagandato attraverso i media.
Questo poiché contemporaneamente all'avvio delle produzioni cominciarono all'interno dellla fabbrica i primi problemi di salute: pruriti, arrossamenti, dermatosi, allergie varie e varie forme di irritazione colpirono decine e decine di lavoratori, ma diversi fattori impedirono di valutarne appieno già da subito la pericolosità. Una frequente rotazione tra posti diversi, la temporaneità di alcune forme di queste patologie, una scarsissima conoscenza de! prodotto e dei suoi componenti chimici e fisici, altri fattori ambientali particolarmente pesanti quali i ritmi e il microclima, il logico momento di rilassamento dopo una lotta di anni per la difesa del posto di lavoro e non ultimo l'abitudine di buona parte delle maestranze a trattare con prodotti estremamente pericolosi quali cianuri e acidi contribuirono a creare una sottovalutazione del problema ambientale che in parte esiste tutt'oggi.
Numerosi lavoratori, soprattutto giovani neoassunti, furono costretti a licenziarsi perché costretti a lunghi periodi di malattia e tanti altri preferirono dedicare i propri sforzi alla ricerca di un'occupazione alternativa piuttosto che in una lotta per il risanamento ambientale.
Nonostante che il continuo ricambio .di addetti facesse somigliare la fabbrica più ad un porto di mare che ad uno stabilimento; nonostante le prime indagini ambientali effettuate dalle università di Genova e di Pavia già allora mettessero in guardia sui probabili effetti nocivi della fibra di vetro e delle sostanze usate nel ciclo produttivo, per una dozzina d'anni ognuno visse queste patologie (di cui pare abbiano sofferto un po' quasi tutti gli addetti alla produzione anche se con intensità e forme diverse come un problema personale, addebitandone le cause di volta in volta all'alimentazione, alla scarsa capacità di sopportazione individuale e, per i più anziani, ai postumi di anni di lavoro tra Ie sostanze velenose dello stabilimento precedente.
Ciò fino a quando un lavoratore affetto da una seria dermatosi, un polipo alla gola poi asportato ed un carcinoma alla laringe che lo costrinse ad una laringectomia totale, non convinsero lo stesso che la natura delle sue gravi patologie potesse avere origine all'interno del processo produttivo e dal contatto con le sostanze tossico-nocive presenti all'interno del posto di lavoro.
Coadiuvato da alcuni compagni di lavoro (pochissimi per la verità) iniziò così la lunga trafila di domande di malattia professionale, di riconoscimento di inabilità, di richiesta d'appoggio alle strutture sindacali che non ottennero alcun risultato pratico.
Non solo l'intervento del sindacato si limitò ad una generica domanda di malattia professionale attraverso il patronato INCA, peraltro respinta dall'INAIL che ha negato addirittura l'esistenza della patologia, ma lo stesso Consiglio di Fabbrica della Vetrotex si rifiutò di appoggiare le richieste dello stesso di essere inserito in un posto di lavoro più idoneo alle sue condizioni di salute, ritenendo di non avere argomenti contrattuali sufficienti per sostenerlo.
Verificata quindi sulla propria pelle l'impossibilità di ottenere giustizia e riconoscimento del danno subito da parte delle strutture pubbliche e dalle organizzazioni sindacali, per nulla rassegnato ad accettare l'idea che, nonostante le condizioni di lavoro così nocive ed evidenti potessero essere ignorate le sue ragioni, nacque in questo gruppo di lavoratori l'idea di rivolgersi ai Compagni di Medicina Democratica di Castellanza per un consiglio su come affrontare questa battaglia.
Dai suggerimenti di questi compagni prese inizio un lavoro di indagine, di raccolta di dati tecnici ed epidemiologici, di ricostruzione dell'intero ciclo produttivo, di periodica e precisa contrapposizione con l'azienda, fino a giungere all'avvio di una causa legale per il riconoscimento del danno biologico subito dal lavoratore in questione.
Ed è stato proprio questo lavoro scientifico di analisi e raccolta di dati che ha permesso di evidenziare quanto il problema della salute fosse esteso, quanti lavoratori in realtà fossero soggetti a patologie simili, e soprattutto il fatto che non si trattava di episodi lievi e marginali ma di patologie gravi e invalidanti, anche mortali, e che tra i vari casi di decessi per tumori molti potessero essere ricondotti ad un'unica causa da ricercarsi all'interno del processo produttivo, nelle sostanze utilizzate e prodotte e nella mancanza di misure di protezione adeguate a tutelare la salute dei lavoratori.
Purtroppo la nostra iniziativa ha messo a nudo un'altra pesante realtà: l'impossibilità di utilizzare le strutture pubbliche per difendere la propria salute e i propri diritti.
Medici universitari che hanno firmato certificati di idoneità per posti di lavoro che non hanno mai visitato, enti pubblici che hanno modificato i propri giudizi sulla base delle pressioni dell'azienda, medici specialisti che hanno limitato le proprie indagini ai prodotti standard, rifiutandosi di considerare la presenza delle altre sostanze da noi denunciate o rifiutandosi di prendere in esame quanto scaturito dall'indagine epidemiologica da noi effettuata, sono esempi eclatanti di come le strutture pubbliche, invece di tutelare la salute dei cittadini, tutelino gli interessi dei padroni.
Così come purtroppo è successo con le organizzazioni sindacali e di fabbrica.
Dietro richieste precise di documentazione e di approfondimento di quanto da noi sollevato il C.d.F. si è rifiutato di fornire sia al gruppo di lavoratori aderenti a medicina democratica che poi si è dato una struttura sindacale all'interno, sia al singolo lavoratore indagini ambientali o altro (ad esempio le schede di sicurezza dei prodotti chimici usati in stabilimento pur avendole loro ricevute dall'azienda), si è rifiutato di intervenire per imporre alla stessa di trovare al lavoratore una collocazione idonea alle sue condizioni di salute (anche dopo un'ordinanza in tal senso del Pretore del tribunale), mentre contemporaneamente utilizzava alcuni di questi posti per piazzare taluni suoi iscritti, ha acconsentito senza intervenire che l'azienda effettuasse delle modifiche all'apparato produttivo in occasione della visite dei periti nominati dal tribunale (pulizie straordinarie, modifica delle condizioni di marcia e delle produzioni degli impianti nonché alcuni impianti fermati esclusivamente in quel giorno).
Ma la cosa non ci ha spaventati, e al di là delle vittorie legali e dei risarcimenti economici che abbiamo già ottenuto e che potremo ottenere la strada è aperta e l'obiettivo iniziale di ottenere il giusto risarcimento per i lavoratori colpiti nella salute si è progressivamente allargato.
Siamo diventati coscienti del pericolo che a sostanze scientificamente certe di proprietà cancerogene quali l'amianto e altre fibre minerali ne vengano sostituite altre considerate innocue (come le fibre di vetro) solo perché a livello internazionale non ne è ancora stata accettata la pericolosità, trasformandoci oggettivamente in cavie umane.
Vogliamo per questo che vengano considerati livelli di emissione di polveri e sostanze allo stesso livello delle altre fibre già studiate, in attesa che un approfondimento scientifico ne dichiari l'innocuità se è il caso o la tossicità ne! caso contrario.
Consideriamo estremamente positivo il modo di lavoro applicato in questa battaglia, se non altro per i frutti che sta portando sul terreno della consapevolezza e della coscienza: abbiamo imparato a nostre spese a non delegare a nessuno la tutela della nostra salute e dei nostri interessi in generale.
Oggi ci muoviamo per dimostrare la pericolosità delle sostanze che utilizziamo e produciamo, per sanare l'ambiente di lavoro e ridurre le emissioni di qualsiasi sostanza nociva, modificare il processo produttivo rendendolo " a misura d'uomo ", lottiamo per una migliore qualità della vita nostra e di coloro che ci abitano intorno.
Nuove cause sono state avviate e non solo all'interno della Vetrotex.
Nuovi lavoratori si sono avvicinati ognuno portando il suo caso personale ma contemporaneamente generalizzabile, si rivolgono a noi per avere un appoggio nella loro battaglia contro i problemi alla salute che si trovano di fronte nel loro posto di lavoro, all'esposizione all'amianto a quella a sostanze radioattive, dalle patologie specifiche di singoli gruppi di lavoratori a riconoscimenti per il danno biologico conseguente ad infortuni o malattie professionali.
Ad ognuno abbiamo offerto ed offriamo la nostra collaborazione ma chiediamo un impegno concreto.
Per questo cogliamo l'occasione di questo convegno per denunciare pubblicamente le difficoltà che quotidianamente ci troviamo di fronte nella nostra attività a tutela della salute individuale e collettiva, difficoltà poste anche da parte di alcuni che per ruolo o per tradizione dovrebbero essere dalla nostra parte.
Mi riferisco in particolare ai sindacati confederali quando, per esempio, impediscono l'elezione dei Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza preferendo nominarli dall'alto per garantirsi uomini di fiducia che non alzino il livello dello scontro con il padrone oltre quello da loro deciso, oppure che si accontentano di una lettura letterale dei contratti accettando valori limite assolutamente esagerati nelle esposizioni alle varie sostanze tossico-nocive senza considerare le sinergie e gli effetti moltiplicatori tra le stesse, o ancora che non si preoccupano delle condizioni di tutti coloro che, subendo un lavoro precario, in nero, o con una delle mille nuove forme che i sindacati hanno accettato in nome della flessibilità o della competitivita, godono dei diritti solamente sulla carta ma non hanno mai la possibilità di farli valere pena la repressione ed i licenziamenti.
Per questo chiudo ribadendo che la lotta a difesa della salute non può essere intesa in forma restrittiva , isolata in se stessa, scollegata da quella a difesa della democrazia e dei diritti universali e che il diritto alla salute o è generale o non è un diritto, se lo godiamo in pochi diventa un privilegio ed in quanto tale, come tanti altri che abbiamo goduto, siamo destinati a perderlo.

Torna all'indice degli interventi