DEFINIZIONE RUOLO E FUNZIONI DEL MEDICO COMPETENTE

 

La tutela della salute dei lavoratori è bene istituzionalmente protetto che trova negli articoli di legge della nostra costituzione le solenni affermazioni dell’integrità della salute, quale diritto soggettivo di primaria importanza, e del diritto alla sicurezza sul lavoro

 

L’origine del sistema normativo a tutela della sicurezza e dell’igiene del lavoro la troviamo nell’art.2087 del c.c. che impone al datore di lavoro le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.

Il codice penale, fin dal 1930, con l’art.437, prevede sanzioni penali severe per chi dolosamente omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro.

La Costituzione Repubblicana con l’art.32 introduce il concetto che il diritto alla salute non è solo diritto dell’individuo, ma anche della collettività e con l’art.41 sancisce che il rispetto della sicurezza deve essere considerato come limite perentorio alla libertà di iniziativa privata.

L’aver elevato a livello costituzionale il diritto alla salute e alla sicurezza ha costituito il punto di riferimento di tutta la restante legislazione.

Nascono così i decreti di prevenzione emanati a partire dal 1955 e in particolare il n° 547, dell’Aprile di quell’anno, al quale seguirono il DPR 7 Gennaio n°164, contenente le norme di prevenzione sul lavoro nelle costruzioni e i due decreti integrativi e applicativi del 547: il DPR n° 302 e il n° 303, entrambi del 19 Marzo 1956. A questo decreto è dovuta l’impostazione dettagliata, per ogni tipo di lavorazione nociva, della periodicità dei controlli sanitari e la responsabilizzazione del datore di lavoro non solo nella fornitura dei necessari mezzi di prevenzione, ma anche nel controllo che tali mezzi siano effettivamente usati e che le norme igieniche siano rispettate, non potendo considerarsi quindi più al sicuro dai rigori della legge il datore di lavoro che si limita a mettere a disposizione dei lavoratori strumenti non utilizzati o non utilizzabili.

Prima degli anni ‘60, nel nostro paese ed in buona parte dell’occidente industrializzato i lavoratori nutrivano nei confronti della nocività degli ambienti di lavoro un atteggiamento passivo, di tipo fatalistico. La logica prevalente era basata sulla richiesta di maggiori quote salariali (monetizzazione del rischio) per indennizzare coloro i quali svolgevano mansioni considerate a rischio, pericolose, potenzialmente in grado di deteriorare lo stato di salute.

Alla fine degli anni ‘60, sulla scia del fermento socio-culturale che pervase tutto il mondo industrializzato, nell’ambito delle rivendicazioni operaie, venne posta nel giusto rilievo la tutela della salute nell’ambiente di lavoro. L’affermarsi di questa logica, in netta contrapposizione alla precedente della "monetizzazione", ottenne in Italia pieno riconoscimento istituzionale con la legge n° 300 dell’anno 1970 (detta anche legge dello "Statuto dei Diritti dei Lavoratori") che all’art.9 prevedeva che i lavoratori, mediante le loro rappresentanze, hanno il diritto a controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attivazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.

Questa legge conferì ai lavoratori, per il tramite delle rispettive rappresentanze, la possibilità di intervenire attivamente nell’ambito di quei compiti di prevenzione e vigilanza precedentemente assolti esclusivamente da Enti esterni alla fabbrica o delegati a "tecnici" della salute. I nuovi spazi forniti dalla legge furono rapidamente recepiti dagli Enti Locali più sensibili alla problematica.

Cosicché si arriva al 1978 con l’emanazione della legge 833 che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che ricompose in un unico ente, l’Unità Sanitaria Locale, le funzioni di vigilanza e di intervento per la trasformazione e la bonifica degli ambienti di lavoro.

L’art.20 esprime i principi generali che regolano l’operato della USL in materia. L’art.21 attribuisce alle USL i compiti d’ispezione e vigilanza sull’igiene e la sicurezza del lavoro che prima erano assolti dall’Ispettorato del lavoro. Tale obbligo prevede l’organizzazione di Servizi di Medicina del Lavoro. Il servizio di medicina del lavoro della USL esercita : funzioni di mappatura, costruzione e aggiornamento del sistema informativo; prevenzione dei rischi presenti e di eventuali rischi futuri derivanti da nuovi insediamenti produttivi; controllo e coordinamento degli accertamenti sanitari periodici; formazione, informazione, educazione alla salute a alla sicurezza. Il personale previsto dalla legge comprende: medici, ingegneri, chimici, periti industriali, assistenti sanitari, fisici, biologi, sociologi, psicologi, laureati in agraria e altre competenze. Medici ed assistenti sanitari sono impegnati sul versante sanitario; ingegneri e periti in quello della sicurezza antinfortunistica, della bonifica ambientale e dell’igiene industriale.

Il DPR 31 luglio 1980 n° 619 (art.23) istituisce l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL), organo tecnico del Ministero della Sanità per i compiti di ricerca, studio, sperimentazione ed elaborazione di tecniche per la prevenzione e sicurezza del lavoro. L’ISPESL è diviso in 5 grandi comparti: Igiene del lavoro, Medicina del lavoro, Tecnologie di sicurezza, Insediamenti produttivi ed impatto ambientale, Omologazione.

Purtroppo l’applicazione della legge 833 non è stata omogenea sul territorio nazionale. Nelle regioni settentrionali, infatti, sulla base della esperienza degli SMAL, si realizzarono strutture competenti e agili in grado di vigilare attivamente ed intervenire tempestivamente nei vari ambienti di lavoro. Nel meridione, invece, ed in Sicilia in particolare, la Medicina del lavoro muove ancora i suoi primi passi. Il decreto regionale per il suo inserimento nell’ambito delle attività della Medicina dei servizi ha in molti casi addirittura peggiorato la situazione, affidando a medici non specialisti la gestione di un settore che necessita di competenze e professionalità specifiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Elenco delle leggi italiane antecedenti e seguenti il D.Lgs. 626/94

Le leggi emanate in materia di igiene e sicurezza sul lavoro dopo il DPR 303/56, sono le seguenti :

DPR n° 1124 del 1965 : definisce la sorveglianza sanitaria per gli esposti a biossido di silicio e ad amianto. Questa consiste nell’esecuzione annuale di visita medica ed esame radiografico del torace.

Legge n° 833 del 23/12/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale : si occupa degli aspetti riguardanti la sorveglianza sanitaria dei lavoratori ed il trasferimento alle USL dei compiti dapprima svolti dall’Ispettorato del Lavoro in materia di prevenzione, di igiene e di controllo dello stato di salute dei lavoratori.

Circolari del Ministero del Lavoro n° 46 del 1979 e n° 61 del 1981 : definiscono la sorveglianza sanitaria per gli esposti ad ammine aromatiche. Questa consiste in visite mediche periodiche corredate di esami di laboratorio e di indicatori di dose interna.

DPR n° 962 del 10/09/1982 : recepisce nell’ordinamento legislativo nazionale la direttiva CEE 610/78 sulla protezione dei lavoratori esposti a Cloruro di Vinile Monomero (CVM). La sorveglianza sanitaria si fonda sulla valutazione del rischio per il lavoratore , visita medica preventiva e periodica e su esami strumentali e di laboratorio da eseguire con periodicità definita dallo specialista in medicina del lavoro in rapporto a livelli di esposizione a CVM e alle condizioni generali di salute del lavoratore.

Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 21/01/1987 : ha sostituito per gli esposti ad amianto l’esecuzione annuale della radiografia del torace con la ricerca di almeno tre indicatori : corpuscoli dell’asbesto nell’espettorato, siderociti nell’espettorato, rantolini crepitanti basilari molto fini e persistenti nel tempo, insufficienza respiratoria restrittiva, compromissione della diffusione alveolo capillare dei gas.

Circolare del Ministero della Sanità n° 5 del 1989 : stabilisce la sorveglianza sanitaria per gli esposti a gas anestetici. Questa prevede visite mediche periodiche, esami di laboratorio ed esecuzione del monitoraggio biologico e la valutazione dell’esposizione ad Alotano, Isofluorano e Protossido di azoto mediante indicatori biologici precisando il momento, in rapporto alla giornata o alla settimana lavorativa, in cui bisogna eseguire il campionamento biologico.

Decreto legislativo n° 277 del 15/08/1991 : ratifica cinque direttive CEE sui rischi da piombo, amianto e rumore e per questi tre agenti lesivi stabilisce le modalità di esecuzione della sorveglianza sanitaria e, per il piombo, anche del monitoraggio biologico. Il principio fondamentale cui si ispira il Decreto per l’esecuzione della sorveglianza sanitaria non è più basato sul concetto medico legale di presunzione del rischio, su cui si fonda la sorveglianza sanitaria prevista dal DPR 303/56, ma sul concetto che un inquinante per poter rappresentare un rischio deve raggiungere una determinata concentrazione sul posto di lavoro per un tempo definito (livello di azione).

Decreto legislativo n° 230 del 17/03/1995 : regola la sorveglianza sanitaria per gli esposti a radiazioni ionizzanti prevedendo per gli esposti professionalmente visite mediche periodiche integrate da adeguate indagini specialistiche e di laboratorio che devono tener conto anche dell’esposizione personale del lavoratore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DECRETO LEGISLATIVO 626/94

E’ un decreto che ratifica otto direttive CEE  di cui quattro di carattere generale riguardanti le misure per migliorare la salute e la sicurezza sul lavoro, le caratteristiche minime che devono possedere i luoghi di lavoro, l’uso delle attrezzature di lavoro, l’uso dei dispositivi di protezione individuali e quattro che si occupano di rischi specifici quali la movimentazione manuale di carichi, l’uso di attrezzature munite di videoterminali, la protezione da agenti cancerogeni e quella da agenti biologici. Come principio generale il Decreto, in accordo con le altre Leggi precedentemente enunciate ad esso assimilate, impone la valutazione del rischio ed estende questo principio a tutte le situazioni di lavoro dei settori privati e pubblici (con esclusione delle Forze Armate, di Polizia di Stato, e dei servizi di Protezione Civile) e a tutti gli agenti lesivi professionali di tipo chimico, fisico e biologico.

Il decreto legislativo 626/1994 prevede e disciplina soggetti già noti (datore di lavoro, dirigente, preposto e lavoratore) ed altri nuovi (Servizio di Prevenzione e Protezione ed il suo responsabile), nella materia della sicurezza del lavoro.

 

 

 

 

Considerazioni giurisprudenziali

Nella normativa italiana, a differenza di quanto accade in altre nazioni, il controllo e la repressione della violazione delle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro non è di tipo amministrativo, bensì penale.

Il principio inspiratore della legislazione italiana, fino all’introduzione del recente decreto legislativo 626 e a partire dal DPR 27 aprile 1955, n° 547, stava nello sforzo di approntare una disciplina impostata al criterio della cosiddetta protezione oggettiva basato sul concetto medico legale di presunzione del rischio, secondo il quale non si tiene conto della entità e durata di esposizione al rischio, ma soltanto della sua pericolosità intrinseca. Sulla base di tale tendenza, confermata e rafforzata dal DPR n° 164 e dal n° 303, venne riconosciuto l’obbligo al datore di lavoro di apprestare dispositivi di sicurezza tali da proteggere il lavoratore anche contro incidenti derivati da imperizia, imprudenza e negligenza dello stesso.

La nuova legislazione comporta una modificazione dell’impostazione giuridica del problema della responsabilità sui luoghi di lavoro : si passa da una presunzione di colpevolezza incondizionata del datore di lavoro al principio della responsabilità penale individuale del lavoratore, secondo il quale il lavoratore dovrà prendersi egli stesso cura della propria salute rimanendo responsabile da solo di tutto quanto è riconosciuto di sua competenza o sotto la sua cura.

Le figure del D.Lgs. 626/94

Il datore di lavoro

Il datore di lavoro è definito come "qualsiasi persona fisica o giuridica o soggetto pubblico che è titolare del rapporto di lavoro e abbia la responsabilità dell’impresa o dello stabilimento". Il D.Lgs. afferma esplicitamente che la sicurezza sul lavoro è fatto che riguarda direttamente, personalmente e innanzitutto questa figura, in quanto il datore di lavoro diviene il principio organizzatore e propulsore della sicurezza, vista e vissuta come dimensione della produzione. Tralascio per brevità e perché ben evidenziati dai vari articoli del decreto di illustrare tutti gli obblighi del datore di lavoro. Con recente decreto del 16 gennaio 1997, il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale e il Ministro della Sanità ha individuato i contenuti minimi della formazione previsti dall’art. 22, comma 7 del D.Lgs. 626/94 e 242/96 con i seguenti articoli :

 

Art. 1 : Formazione dei lavoratori

I contenuti della formazione dei lavoratori devono essere commisurati alle risultanze della valutazione dei rischi e devono riguardare almeno :

i rischi riferiti al posto di lavoro ed alle mansioni nonché i possibili danni e le conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione ;

nozioni relative ai diritti e doveri dei lavoratori in materia di sicurezza e salute sul posto di lavoro ;

cenni di tecnica della comunicazione interpersonale in relazione al ruolo partecipativo.

Art. 2 : Formazione del rappresentante per la sicurezza

I contenuti della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono i seguenti :

principi costituzionali e civilistici ;

la legislazione generale e speciale in materia di prevenzione infortuni e igiene del lavoro ;

i principali soggetti coinvolti ed i relativi obblighi ;

la definizione e l’individuazione dei fattori di rischio ;

la valutazione dei rischi ;

l’individuazione delle misure (tecniche, organizzative, procedurali) di prevenzione e protezione ;

aspetti normativi dell’attività di rappresentanza dei lavoratori ;

nozioni di tecnica della comunicazione.

La durata dei corsi per i rappresentanti dei lavoratori è di trentadue ore, fatte salve diverse determinazioni della contrattazione collettiva.

 

 

Art.3 : Formazione dei datori di lavoro

I contenuti della formazione dei datori di lavoro che possono svolgere direttamente i compiti propri del responsabile del servizio di prevenzione e protezione sono i seguenti :

il quadro normativo in materia di sicurezza dei lavoratori e la responsabilità civile e penale ;

gli organi di vigilanza e di controllo nei rapporti con le aziende ;

la tutela assicurativa, le statistiche ed il registro degli infortuni ;

i rapporti con i rappresentanti dei lavoratori ;

appalti, lavoro autonomo e sicurezza ;

la valutazione dei rischi ;

i principali tipi di rischio e le relative misure tecniche, organizzative e procedurali di sicurezza ;

i dispositivi di protezione individuale ;

la prevenzione incendi ed i piani di emergenza ;

la prevenzione sanitaria ;

l’informazione e la formazione dei lavoratori.

La durata minima dei corsi per i datori di lavoro è di sedici ore.

Art. 4 : Attestazione dell’avvenuta formazione

L’attestazione dell’avvenuta formazione deve essere conservata in azienda a cura del datore di lavoro.

 

 

 

Dirigenti e preposti

La distinzione essenziale tra dirigente e preposto consiste nel potere/dovere di predisposizione dei mezzi e delle strutture di prevenzione : il dirigente, vero e proprio alter ego del datore di lavoro, possiede tale potere, il preposto svolge solo funzione di controllo e sorveglianza, con poteri esclusivamente organizzativi e disciplinari. Il decreto prevede i loro obblighi specifici il cui inadempimento è penalmente sanzionato in via autonoma per il dirigente e per il preposto.

Il lavoratore

Il lavoratore è altro soggetto, destinatario di obblighi di sicurezza.

Alcuni obblighi giuridici indicati dal Decreto 626/1994 quali : l’osservanza delle istruzioni impartite, l’utilizzo dei mezzi anche individuali di prevenzione, l’uso corretto dei macchinari, sono riconducibili a norme precedenti. Altri obblighi, invece, sono finalmente affermati con indiscutibile chiarezza : prendersi cura della sicurezza e della salute propria e di tutte le persone presenti sul luogo di lavoro, il segnalare immediatamente le deficienze di mezzi e dispositivi e le altre situazioni di pericolo, il sottoporsi a controlli sanitari, il non compiere d’iniziativa operazioni e manovre non di competenza o comunque tali da compromettere la sicurezza propria o di altri (art. 5) ; il sottoporsi ai programmi di formazione, la cura e la non modifica d’iniziativa dei mezzi di lavoro (art. 39) e dei dispositivi di sicurezza individuali (art. 44).

E’ importante evidenziare che anche la violazione di questi obblighi dei lavoratori è penalmente sanzionata (art. 93), ora anche con la pena detentiva in alternativa a quella pecuniaria.

Bisogna sottolineare l’importanza innovativa di tale aspetto della norma che modifica radicalmente una certa cultura della prevenzione secondo la quale tutte le responsabilità sono sempre state dalla parte del datore di lavoro, al punto da non sanzionare neppure i casi di gravi e dolose violazioni da parte di lavoratori. A tale riguardo è opportuno però ricordare che, nel momento in cui si afferma anche la possibile responsabilità del lavoratore, la giurisprudenza puntualizza che l’eventuale negligenza del lavoratore non necessariamente esonera il datore di lavoro dalle proprie responsabilità, poiché le misure di sicurezza vanno attuate anche contro la volontà del lavoratore.

I meccanismi legislativi che consentono al lavoratore il recupero dell’antica cultura operaia della salute sono due : il diritto all’informazione e la figura del rappresentante della sicurezza.

Quanto al primo, appare ricorrente il dovere per il datore di lavoro di acquisire informazioni sui rischi delle sue lavorazioni e il dovere di trasferire queste informazioni ai lavoratori, provvedendo inoltre direttamente alla loro formazione (art. 22). Con il secondo, i lavoratori, possono disporre di una figura che acquista l’aspetto di un vero professionista della salute in grado di trasferire loro conoscenze, informazioni e rielaborazioni alle quali può pervenire essendo proprio a questo designato e per questo pagato. L’art.18 dice infatti che "in tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante per la sicurezza". Inoltre l’art.19 specifica le sue attribuzioni ricordando che questa figura ha la possibilità di accesso a tutte le informazioni sui rischi e i pericoli del lavoro, può partecipare alle riunioni in argomento, deve essere consultato preventivamente sulla valutazione dei rischi, formula osservazioni, fa proposte, può fare direttamente ricorso alle autorità competenti. Tutto questo senza poter subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività per la quale deve poter disporre del tempo necessario.

 

Servizio di prevenzione e protezione dai rischi

Quella che probabilmente è definibile come la maggiore novità introdotta dal Decreto è la previsione del Servizio di prevenzione e protezione dai rischi, struttura che ha un suo responsabile designato dal datore di lavoro.

Con tale espressione il legislatore si riferisce all’insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda, finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali nell’azienda o unità produttiva. La struttura predisposta deve essere idonea a perseguire quella finalità di prevenzione che informa tutta la legge, tenuto conto delle specifiche esigenze della singola attività imprenditoriale e produttiva.

I compiti del servizio sono prevalentemente quelli della individuazione ed elaborazione delle misure e prassi di sicurezza. In particolare deve provvedere :

all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi, all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, osservando la normativa vigente e tenendo ovviamente conto della conoscenza della concreta organizzazione aziendale ;

all’elaborazione delle misure preventive e protettive e delle attrezzature relative in relazione ai rischi individuati ;

all’elaborazione delle procedure di sicurezza per le specifiche attività aziendali ;

alla proposta di programmi di informazione e formazione dei lavoratori e a fornire agli stessi lavoratori le informazioni sui rischi, pericoli, misure prevenzionali ;

a partecipare alla riunione periodica di prevenzione.

In sintesi, i cardini dell’attuale normativa sono il coinvolgimento globale dei datori di lavoro con l’analisi dettagliata delle specifiche responsabilità di tutti i soggetti coinvolti nell’opera di prevenzione, unitamente all’informazione e alla formazione dei lavoratori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SORVEGLIANZA SANITARIA

Definizione e obiettivi

Negli anni ottanta, nel corso di una riunione della Comunità Economica Europea, la sorveglianza sanitaria è stata definita come "la valutazione periodica medico-fisiologica dei lavoratori esposti, con l’obiettivo di proteggere la salute e prevenire le malattie correlate al lavoro".

L’attività del medico del lavoro si fonda, oltre che sull’accertamento clinico del lavoratore, sulla valutazione del rischio professionale attraverso l’analisi contemporanea del livello di esposizione agli agenti lesivi per la salute, delle modalità di esposizione e degli indicatori di dose e di effetto. La prevenzione delle malattie professionali o correlate al lavoro si realizza attraverso la rilevazione di alterazioni precoci dello stato di salute quando queste sono ancora in fase chiaramente non manifesta (fase pre-clinica). La sorveglianza sanitaria, inoltre, mirando al mantenimento del benessere psicofisico e alla promozione della salute dei lavoratori, persegue non solo la malattia ma anche il semplice disconfort legato all’attività lavorativa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MEDICO COMPETENTE

Il primo riferimento all’attività del medico del lavoro nella nostra legislazione si ritrova nella norma del 1956. Secondo l’art.33 del DPR 303/1956 devono essere visitati da un medico competente i lavoratori adibiti a lavorazioni industriali che espongano all’azione di sostanze tossiche o infettanti o che comunque risultino nocive. Ma di tutta evidenza è la rilevanza della previsione generale del recente DL 626/1994 che estende definitivamente l’intervento preventivo ad ogni tipo di attività lavorativa chiarendo che il campo di applicazione è quello di "tutti i settori di attività privati o pubblici" (art.1).

Il medico competente, secondo quanto si rileva dai decreti legislativi 277/91 e 626/94, è "il medico in possesso del titolo di specializzazione o della docenza in medicina del lavoro o in disciplina affine".

È importante evidenziare che si è conclusa la fase transitoria che consentiva l’acquisizione della qualifica anche ai sanitari che, non in possesso dei titoli accademici e specialistici previsti, tuttavia avessero effettivamente esercitato l’attività di medico del lavoro. Possono pertanto esercitare l’attività di medico competente anche coloro in possesso dell’autorizzazione "in sanatoria" prevista dall’art.55 del Decreto 277. Inoltre è venuta meno la tendenziale preferenza, a che possano svolgere l’attività di medico competente, per i medici dipendenti del Servizio Nazionale ; a tale riguardo è anzi prevista l’incompatibilità tra l’attività di medico competente e l’attività di vigilanza come dipendente di una struttura pubblica. Esistono varie interpretazioni della norma ma è da privilegiare quella che riconosce l’incompatibilità solo all’interno della stessa USL e solo per quei medici pubblici con qualifica di Ufficiali di Polizia Giudiziaria.

Con la definizione di medico competente il legislatore ha individuato, in questo modo, almeno da un punto di vista formale, un medico di "qualificata professionalità", in grado di diventare l’interlocutore o, come definisce la legge, il collaboratore del datore di lavoro e del responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione Aziendale.

 

 

 

 

 

Viene quindi chiaramente e definitivamente chiarito che il medico competente svolge la propria opera in qualità di :

dipendente di una struttura esterna pubblica o privata convenzionata con l’imprenditore (...) ;

libero professionista ;

dipendente del datore di lavoro.

La funzione del medico competente richiede una specifica competenza relativa non solo alle capacità di valutazione clinica dello stato di salute dei lavoratori ma anche una conoscenza approfondita e dettagliata dei cicli tecnologici, degli agenti lesivi per fase lavorativa e degli effetti di questi ultimi sull’organismo umano. Inoltre , lo specialista in medicina del lavoro al fine di esprimere un giudizio di idoneità a lavoro specifico, di elaborare i dati sanitari di gruppo, di ricavare informazioni utili alla valutazione del rischio e di individuare le misure preventive più adeguate, deve conoscere le metodologie epidemiologiche e medico-legali per stabilire il nesso di causalità tra esposizione ad agenti lesivi e presenza di compromissioni organiche.

 

Compiti del medico competente

Oltre che dallo sviluppo della scienza medica, che ha visto sorgere e crescere la professionalità degli esperti delle malattie legate al lavoro, i compiti del medico del lavoro sono delimitati da protocolli formali legislativi che ne indirizzano l’attività quasi in ogni suo aspetto.

L’importanza per la collettività dell’intervento preventivo sulle malattie legate al lavoro, riconosciuta dopo secoli di sofferenze e lotte sociali, ha determinato infatti quella cornice normativa di cui sinteticamente ho trattato nelle pagine precedenti ; inoltre se vincoli e obblighi esistono per il datore di lavoro e per i lavoratori, è abbastanza comprensibile che ve ne siano anche per coloro che nella tutela della salute giocano un ruolo da protagonisti : i medici, appunto.

Tuttavia, se quei vincoli hanno, forse ragione di essere chiamati obblighi per i datori di lavoro, il medico, avendo al centro del suo interesse il benessere dell’uomo e della sua salute, non può che essere considerato un alleato della giustizia e dei lavoratori.

Si preferisce quindi chiamare compiti quelli del medico del lavoro. Resta tuttavia inteso che se è il medico a venir meno a quei compiti, doppia sarà la sua colpa, poiché trasgredisce non solo alle disposizioni di legge ma anche a quelle della sua professione.

Principale responsabilità del medico competente è la sorveglianza sanitaria dei dipendenti.

Essa comprende accertamenti preventivi e periodici finalizzati ad accertare l’idoneità del lavoratore alla mansione specifica.

Oltre alle visite, agli esami clinici e biologici ed alle indagini diagnostiche ritenute necessarie, il medico competente ha obblighi di informazione del lavoratore e degli altri soggetti coinvolti nella sicurezza, di tenuta delle cartelle sanitarie e di visita degli ambienti di lavoro.

Il medico competente ha altresì l’obbligo di informare, per iscritto, lavoratore e datore di lavoro dell’eventuale giudizio di inidoneità. È di tutta evidenza l’importanza di quest’obbligo, la cui violazione è penalmente sanzionata in via autonoma, nei casi di malattie professionali.

A tal proposito ricordo che l’idoneità o capacità di lavoro, cioè l’attitudine a compiere un lavoro, viene distinta in idoneità generica e specifica. L’idoneità generica è basata su fattori fisiologici e non necessita di particolare preparazione, mentre l’idoneità specifica si fonda sull’abilità, capacità ed esperienza.

Il giudizio di idoneità deve essere formulato sia all’atto della visita di assunzione e delle visite periodiche previste dalla legge per ogni tipo di lavorazione, sia all’atto della visita di rientro al lavoro dopo malattie extralavorative.

Esso non sempre è assoluto (idoneo, non idoneo) ma può essere formulato per gradi intermedi: idoneità con prescrizione, quando il lavoratore è ritenuto idoneo con la prescrizione dell’uso di dispositivi di protezione individuale; idoneità parziale, per cui si preclude al lavoratore lo svolgimento di alcune operazioni pericolose alla sua o all’altrui incolumità ; idoneità o inidoneità temporanea, quando si presume che le condizioni del lavoratore possano modificarsi nel tempo e quindi è resa necessaria una successiva verifica ; inidoneità totale, in qual caso occorre suggerire al datore di lavoro le mansioni che il lavoratore può svolgere in alternativa, in maniera che si possano rendere operative le conclusioni del medico competente senza peraltro rendere palese l’eventuale diagnosi clinica.

In caso di non idoneità permanente o di idoneità parziale, qualora sia fornita la prova, da parte del datore di lavoro, dell’impossibilità aziendale di collocare il lavoratore in attività confacente, secondo la dottrina giurisprudenziale, è consentita la recessione del contratto di lavoro.

Sulla base delle considerazioni sopraddette, il datore di lavoro non può ignorare il giudizio del medico competente, il quale a sua volta deve sforzarsi a formulare giudizi chiari e precisi senza lasciare spazio a dubbi o ambiguità. A questo punto va stigmatizzata la collaborazione tra il datore di lavoro ed il medico competente che, per restare in tema di contratto, può pienamente soddisfare la cooperazione creditizia del lavoratore.

 

 

 

 

 

 

 

 

Passiamo ora a descrivere dettagliatamente i singoli compiti che il medico competente deve svolgere.

 

Innanzitutto il medico competente deve eseguire visite mediche ed esami mirati nel corso di accertamenti sanitari preassuntivi e periodici.

La prima visita medica viene eseguita al momento dell’assunzione allo scopo di valutare la situazione clinica generale del lavoratore con particolare riguardo agli organi critici degli inquinanti professionali cui questi sarà esposto ; in questa fase occorre indagare sulla presenza di eventuali patologie professionali o extraprofessionali, che potrebbero essere aggravate dall’esposizione agli inquinanti presenti nell’ambiente di lavoro.

Nel corso della visita vengono effettuati esami di laboratorio e strumentali, sarà eseguito anche il dosaggio degli indicatori di dose interna e di effetto, ove questi siano disponibili,  nel caso di esposizione a xenobiotici.

Le visite mediche e gli esami di laboratorio e strumentali eseguiti periodicamente sugli addetti ad attività che possono comportare rischi per la salute, invece, intendono verificare la presenza di eventuali alterazioni precoci a carico degli organi critici dipendenti dall’esposizione professionale.

Un momento importante della prima visita medica è la raccolta dell’anamnesi lavorativa. È infatti necessario conoscere, al momento dell’assunzione, la storia lavorativa del soggetto in modo da verificare se vi sono state pregresse esposizioni a inquinanti professionali e la loro entità. A tal fine bisogna rivolgere particolare attenzione al settore produttivo ove il soggetto ha lavorato, alla mansione svolta, alle caratteristiche dell’organizzazione del lavoro.

Nel corso delle visite periodiche successive sarà sufficiente accertare se vi è stato un cambiamento (ad esempio un cambio di mansione) che ha comportato l’esposizione a inquinanti diversi dai precedenti e una diversa organizzazione del lavoro.

L’approccio "medico-lavoratore" in corso di sorveglianza sanitaria è esclusivamente di tipo preventivo, nel senso che il medico competente sottopone ad accertamenti sanitari periodici lavoratori potenzialmente sani, cioè asintomatici, che svolgono regolare attività lavorativa. Il rilievo di una sintomatologia clinica o di segni di abnorme assorbimento richiede, da parte del medico competente, un’immediata verifica delle modalità di lavoro, delle pratiche di igiene industriale e personale e delle concentrazioni ambientali di quell’inquinante ai fini di proporre, ove necessario, interventi tecnici e organizzativi mirati a contenere l’inquinamento ambientale.

 

In seguito agli accertamenti sanitari effettuati per visita preassuntiva e per visita periodica, il medico competente dovrà esprimere il giudizio di idoneità.

Esso si riferisce all’agente lesivo specifico presente in una determinata attività lavorativa cui il lavoratore deve essere esposto o è esposto e richiede la valutazione della compatibilità tra caratteristiche dell’esposizione ambientale all’agente lesivo e la funzionalità e integrità dell’organo critico.

 

 

 

 

 

I risultati delle visite mediche, gli esami di laboratorio clinico, tossicologico e strumentali, il monitoraggio biologico e il giudizio di idoneità verranno appositamente riportati su un libretto sanitario personale per ogni lavoratore istituito e aggiornato dal medico competente e custodito dal datore di lavoro con salvaguardia del segreto professionale.

Su di esso inoltre devono essere trascritti i dati ambientali relativi all’esposizione ai diversi agenti lesivi.

Il libretto sanitario dovrà essere esibito in sede di controllo ispettivo da parte del personale medico degli organi di vigilanza.

 

 

 

 

Il medico competente ha il dovere di informare i lavoratori, e a richiesta anche i rappresentanti dei lavoratori, sui rischi professionali cui sono esposti e sul significato degli accertamenti cui sono sottoposti. È inoltre importante fornire informazioni sulla necessità di continuare i controlli sanitari anche dopo la cessazione dell’attività che comporta l’esposizione ad agenti lesivi, in presenza di un’esposizione a tali agenti con effetti a lungo termine.

 

 

Il medico competente ha il compito della valutazione del rischio in situazioni di lavoro temporanee (edilizia, terziario)

 

 

Tale attività è effettuata secondo i seguenti criteri : raccolta di informazioni dalla letteratura e dal datore di lavoro sui rischi presenti nei luoghi di lavoro temporanei (cantieri) ed in particolare i rischi correlati alle mansioni svolte, sopralluogo di verifica in una realtà rappresentativa della tipologia di lavoro, collaborazione e scambi informativi con il SPP dell’Azienda appaltatrice ed acquisizione del documento di valutazione dei rischi prodotto dalla stessa.

 

I lavoratori devono essere portati a conoscenza, sempre dal medico competente, dei risultati degli accertamenti cui sono stati sottoposti e sul corretto uso dei mezzi di protezione personale. Deve essere rilasciata, ove richiesta, copia della documentazione sanitaria.

 

Ai rappresentanti dei lavoratori invece devono essere comunicati , in sede di apposite riunioni, i risultati anonimi collettivi degli accertamenti clinici e strumentali effettuati, spiegandone il significato.

 

Il medico competente deve visitare gli ambienti di lavoro insieme al responsabile del servizio di prevenzione e protezione almeno due volte l’anno e partecipare alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori, i cui risultati gli sono forniti tempestivamente ai fini delle valutazioni e dei pareri di competenza.

Con decreto 16 gennaio 1997 Il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, Il Ministro dell’Industria del Commercio e Artigianato e il Ministro della Sanità ha definito i casi di riduzione della visita degli ambienti di lavoro da parte del medico competente.

Art. 1 : Per le aziende ovvero unità produttive di cui all’allegato I del D.Lgs. 626/94, così come integrato dal decreto legislativo 242/96, è ridotto ad una volta l’anno l’obbligo della visita degli ambienti di lavoro da parte del medico competente, ferma restando l’obbligatorietà di visite ulteriori, allorchè si modifichino le situazioni di rischio.

Art. 2. : Per le aziende di cui ai punti 1, 2 e 3 del sopracitato allegato, con un numero di addetti oltre i limiti di cui all’art.1 e fino a 200, la frequenza della visita degli ambienti di lavoro da parte del medico competente, può essere ridotta ad una volta all’anno, in presenza di una valutazione congiunta del datore di lavoro, del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del medico competente e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Il datore di lavoro produce una dichiarazione in tal senso, da custodire presso l’azienda ovvero l’unità produttiva. Qualora dovesse ritenersi modificata la situazione di rischio da parte di uno dei componenti il gruppo di valutazione, il datore di lavoro, dovrà provvedere a rettificare la precedente dichiarazione.

Su richiesta dei lavoratori il medico competente deve effettuare le visite mediche ai lavoratori anche per motivi non professionali

Deve assicurare l’organizzazione del primo soccorso aziendale anche attraverso la formazione adeguata del personale soccorritore e il controllo regolare dei presidi sanitari adibiti a tale scopo.

Deve effettuare controlli sanitari al rientro al lavoro del lavoratore dopo malattia o infortunio e favorire il reinserimento e la riqualificazione dei lavoratori disabili.

 

Deve mantenere rapporti con gli Enti Pubblici ( USL, Ispettorato del Lavoro ecc.) preposti alla tutela della salute dei lavoratori.

 

Deve conoscere in maniera approfondita il ciclo tecnologico in uso, le caratteristiche dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente fisico, le misure attuate per identificare, eliminare o ridurre i rischi per i lavoratori.

 

Deve promuovere e/o collaborare al controllo igienico della situazione ambientale e all’elaborazione di programmi di bonifica degli ambienti di lavoro, utilizzando anche le conoscenze epidemiologiche derivanti dai dati biostatistici. Suggerire la sostituzione di materiali e tecnologie pericolosi.

 

Deve compilare in caso di accertata malattia professionale il primo certificato medico per l’INAIL, inviare la relativa denuncia all’Ispettorato Provinciale del Lavoro e alla USL e redigere il referto per la Magistratura.

Deve custodire i registri degli esposti ai vari agenti lesivi professionali normati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Decreto legislativo ed organi di vigilanza

 

Il Decreto legislativo 626 ha sostanzialmente confermato quanto già previsto dalla Legge n°833/1978 che ha trasferito le funzioni di vigilanza in materia di prevenzione, di igiene e di controllo sullo stato di salute dei lavoratori, già dell’Ispettorato del lavoro, alle Unità Sanitarie Locali.

A tal fine le USL devono organizzare servizi propri di igiene ambientale e di medicina del lavoro. Per effetto del trasferimento si estende al personale delle USL il potere di accesso attribuito agli Ispettori del lavoro e la facoltà di diffida, mentre è da ritenere che all’Ispettorato del lavoro rimangano solo le funzioni amministrative, nonché le connesse funzioni di Polizia giudiziaria e anche le funzioni di controllo sui pericoli derivanti dalle sostanze radioattive.

Inoltre sul piano operativo l’art.22 del Decreto Legislativo 758 del 19 dicembre 1994 rende obbligatoria la prassi giudiziaria secondo la quale tutte le notizie di contravvenzioni in materia di prevenzione infortuni debbono essere comunicate all’organo di vigilanza.

Nel caso di attività comportanti rischi particolarmente elevati, è necessario individuare i limiti del potere di vigilanza, potere attribuito all’Ispettorato del lavoro. Il decreto infatti prevede che l’Ispettorato eserciti l’attività di vigilanza informandone, preventivamente, il servizio di prevenzione e sicurezza dell’unità sanitaria locale.

Il necessario coordinamento fra ispettorato del lavoro e servizio di prevenzione dell’USL sembra però lasciato alla buona volontà : infatti l’esperienza quotidiana dimostra che quando si attribuisce competenza concorrente a due uffici, di diversa amministrazione, la buona volontà e la leale e spontanea collaborazione sono abbastanza infrequenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TUMORI PROFESSIONALI E DECRETO LEGISLATIVO 626/94

 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità e le indagini di numerosi autori indicano che una forte percentuale di tumori umani (70-90%) sarebbe determinata da fattori ambientali.

Tali indicazioni si basano prevalentemente su indagini epidemiologiche eseguite su vaste comunità umane.

I tumori professionali sono definiti tali, quando nella loro genesi, ha agito, come causa o concausa, l’attività lavorativa, con esposizione ad agenti cancerogeni.

Il primo caso di tumore professionale è stato il cancro dello scroto segnalato dal medico inglese Percival Pott nel 1775 negli spazzacamini, provocato dall’esposizione alla fuliggine. Seguì l’osservazione di Rehn nel 1895, di tre casi di carcinoma della vescica in lavoratori dell’anilina nell’industria dei coloranti. Se da un canto non è facile identificare, per i tumori relativamente frequenti, attività lavorative a rischio di tumori professionali, molto più difficile è identificare con precisione l’agente fisico o chimico responsabile della cancerogenesi. Infatti son dovuti passare 150 anni dalla segnalazione di Pott, per attribuire a vari idrocarburi aromatici policiclici a 4-5 anelli benzenici l’azione cancerogena della fuliggine e 50 per dimostrare, attraverso studi epidemiologici e sperimentali, che non l’anilina, ma alcune amine aromatiche usate come intermedi nella produzione dei coloranti, erano le sostanze responsabili della comparsa dei tumori vescicali.

 

Cenni sulla cancerogenesi

Numerose ricerche di biologia molecolare sulla cancerogenesi chimica hanno consentito di formulare una teoria della cancerogenesi a due stadi, iniziazione e promozione, ad opera rispettivamente di una sostanza cancerogena/mutagena e di una sostanza promotrice. Si è rilevato che il bersaglio principale degli agenti oncogeni è costituito da macromolecole (proteine, RNA) e specialmente dal DNA nella cui struttura è memorizzata l’informazione genica.

Gli agenti cancerogeni si possono dividere in cancerogeni diretti, capaci cioè di interagire direttamente con le molecole con cui vengono a contatto e precancerogeni, che interagiscono col DNA dopo aver subito trasformazioni chimiche prevalentemente nel fegato. Il danno del DNA può essere riparato, ma una ridotta capacità di riparare tali danni o un sistema di riparazione errato che introduce mutazioni durante la risintesi del DNA possono causare la trasformazione di una cellula normale in una cancerosa. La mancata riparazione del DNA può determinare lesioni cromosomiche nelle cellule durante la divisione cellulare. Il danno così causato costituirebbe la prima fase del processo di cancerogenesi (Iniziazione). La cellula trasformata può restare silente per moltissimo tempo (periodo di latenza) finché uno stimolo di natura infiammatoria, irritativa o proliferativa, provoca la liberazione della cellula trasformata dal controllo della crescita e dal controllo immunologico, dando luogo all’insorgenza del cancro. Nei meccanismi dell’oncogenesi un ruolo determinante sarebbe svolto da geni di regolazione della crescita e differenziazione cellulare definiti oncogeni.

In rapporto al rischio mutageno ed oncogeno si è cercato di individuare test biologici che fossero di riferimento per le persone esposte al rischio. Ricerche di citogenetica hanno permesso di evidenziare alterazioni quantitative e qualitative con significato epidemiologico e utilizzabili a fini preventivi e protezionistici : aberrazioni cromosomiche e cromatidiche, scambio dei cromatidi fratelli, micronuclei ecc.

Per quanto riguarda la cancerogenesi da agenti fisici, è riconosciuta la capacità di indurre neoplasie cutanee da parte dei raggi UV, e leucemie e tumori vari da parte delle radiazioni ionizzanti. Sebbene nella cancerogenesi da agenti fisici non sono in gioco i meccanismi metabolici che intervengono nella cancerogenesi chimica, poiché l’evento mutageno indotto dalle radiazioni non è di per se sufficiente a produrre neoplasia clinica, anche qui sarebbero necessari stimoli proliferativi aspecifici e specifici, fattori e alterazioni immunologiche.

Appare evidente da questi semplici cenni come la cancerogenesi sia un processo in cui intervengono numerosi fattori ancora oggi sconosciuti e come pertanto sia difficile risalire alla causa dei tumori.

 

Processi industriali e sostanze associati a tumori

Numerose sono le liste di sostanze cancerogene preparate da varie agenzie nazionali ed internazionali : tra queste le più accreditate sono quelle dell’Internacional Agency for Research on Cancer (IARC).

Le varie sostanze, secondo questa agenzia, vengono classificate in 5 categorie :

Gruppo 1, cancerogeno per l’uomo (è stata stabilita una relazione causale tra esposizione e tumori umani) ;

Gruppo 2A, probabilmente cancerogeno per l’uomo (è stata osservata una associazione positiva tra esposizione e tumori nell’uomo per cui una esposizione causale è possibile, sebbene non si possano escludere completamente casualità, distorsioni o fattori di confondimento ;

Gruppo 2B, possibilmente cancerogeno per l’uomo (esiste evidenza di cancerogenicità per l’animale da esperimento, ma non vi sono dati adeguati relativi a tumori nell’uomo) ;

Gruppo 3, non classificabile circa la cancerogenicità per l’uomo (questa categoria si applica quando non è possibile applicare una delle altre) ;

Gruppo 4, probabilmente non cancerogeno per l’uomo (esiste evidenza di non cancerogenicità per l’uomo e per gli animali da esperimento.

Sulla base di tali criteri, circa 50 sostanze sono stati classificati nel gruppo 1 e circa 40 nel gruppo 2A.

I principali agenti cancerogeni noti o sospetti implicati nel settore dell’edilizia, riguardanti occupazioni quali coibentatori di tubazioni, asfaltatori, costruttori di tetti, verniciatori, sono : l’asbesto, gli Idrocarburi Aromatici Policiclici a 4 - 7 anelli benzenici condensati (IPA) contenuti nel catrame e pece, solventi vari e vernici a varia composizione.

 

AGENTI E PROCESSI PRODUTTIVI VALUTATI DALLA IARC COME CANCEROGENI PER L’UOMO

 

Sostanze o processi Localizzazione d’organo

Alcool isopropilico, produzione di Naso

Alluminio, produzione di Polmone, vescica

4 - Aminobifenile, produzione Vescica

Arsenico e composti dell’As Pelle, polmoni, fegato

Asbesto Polmone, pleura, peritoneo (mesotelioma)

Auramina, produzione di Vescica

Benzene Leucemia

Benzidina Vescica

Bis-clorometil-etere e clorometilmetil-etere Polmone

Calzature, manifattura e riparazione Leucemia

Carbone, produzione di gas dal Polmone

Catrami di carbon fossile Pelle, laringe, polmone, vescica, bocca

Cromo composti esavalenti Polmone

Coke, produzione di Pelle, polmone, rene, vescica

Ematite, estrazione dal sottosuolo di Polmone

Ferro e acciaio, produzione di Polmone

Gomma, industria della Leucemia, vescica, polmone

Magenta, produzione di Vescica

Mobili, fabbricazione di Seni paranasali

2 - Naftilamina Vescica

Nickel e composti del Nickel Polmoni, seni paranasali

Olii minerali non raffinati o parzialmente raffinati Pelle

Peci di catrame di carbone Pelle, laringe, polmone, vescica

Radon o radiazioni ionizzanti Polmone, leucemia

Talco contenente fibre asbestiformi Polmone, pleura, peritoneo (mesotelioma)

Vinil cloruro monomero (VCM) Angiosarcoma epatico

 

 

 

Prevenzione

 

Il recente DL 626/94 dedica gli art.60-72 alla "Protezione da agenti cancerogeni" e contiene disposizioni relative alla prevenzione primaria e alla sorveglianza sanitaria dei lavoratori potenzialmente esposti.

Secondo il DL, un agente è considerato cancerogeno quando è caratterizzato dalla frase di rischio R 45 - può provocare il cancro- e R 49 - può provocare il cancro per via inalatoria - sulla base di quanto ritrovabile nella legislazione sull’etichettatura delle sostanze pericolose (Direttiva CEE 548/67 e successive). L’allegato VIII considera quattro condizioni e/o lavorazioni cancerogene per l’uomo e pertanto soggette alle stesse prescrizioni previste per le singole sostanze :

Produzione di auramina col metodo Michler.

Lavori che espongono agli idrocarburi policiclici aromatici presenti nella fuliggine, nel catrame, nella pece, nel fumo o nelle polveri di carbone.

Lavori che espongono alle polveri, fumi e nebbie prodotti durante il raffinamento del nichel a temperature elevate.

Processo agli acidi forti nella fabbricazione di alcool isopropilico.

Gli obblighi riguardano in prima istanza il datore di lavoro, ma coinvolgono a vari livelli anche il medico competente.

Prevenzione primaria

Una volta riconosciuto il rischio, la prevenzione dei tumori professionali, dovrebbe essere di tipo primario. Questa si attua con una drastica riduzione dell’esposizione, che dovrebbe tendere a zero. Inoltre, quando possibile la produzione e l’uso di sostanze cancerogene dovrebbero essere aboliti, e quando non è possibile, l’esposizione dei lavoratori dovrebbe essere ridotta al minimo attraverso opportune misure di prevenzione tecnica e personale.

Prevenzione secondaria

Per prevenzione secondaria dei tumori professionali si intende la diagnosi precoce delle neoplasie in una fase che ne permetta un trattamento radicale.

Per quanto riguarda i tumori cutanei la semplice ispezione durante la visita periodica permette spesso di formulare una diagnosi precoce. Diversa la situazione per quanto riguarda i tumori polmonari, in cui il periodico esame citologico dell’espettorato e/o l’esame radiologico spesso non permettono di formulare una diagnosi precoce. Utile, per quanto riguarda i tumori delle vie urinarie, l’esame citologico periodico associato al controllo dell’ematuria. Gli attuali approcci al problema della cancerogenesi professionale a scopo preventivo, sono basati sull’identificazione di indicatori di esposizione e/o di effetti precoci dell’esposizione a genotossici quali dose esterna e interna, dose biologicamente efficace, effetto biologico precoce in cellule somatiche, mediante il monitoraggio ambientale, la determinazione di sostanze chimiche o dei loro metaboliti, la comparsa di aberrazioni cromosomiche, di scambio tra cromatidi fratelli, di micronuclei. Un approccio ancora più recente è la identificazione di indicatori di suscettibilità individuale, su base genetica, al rischio di tumori indotti da cancerogeni, attraverso lo studio di differenze individuali nel metabolismo del cancerogeno. Basandoci sugli studi dei carcinomi della vescica dovuto alle amine aromatiche si è visto che alcuni soggetti sono capaci di detossicare rapidamente mediante acetilazione i metaboliti attivi (acetilatori rapidi), mentre altri sono capaci di detossicare in modo lento (acetilatori lenti), con ovvia maggiore permanenza del cancerogeno nell’organismo. Pertanto gli acetilatori lenti sono a maggior rischio di comparsa di tumori rispetto agli acetilatori rapidi ; nei tumori polmonari, la capacità di metabolizzare rapidamente gli idrocarburi aromatici policiclici (IPA), espone a rischio rispetto ai metabolizzatori lenti o intermedi. L’utilizzazione su larga scala, in un prossimo futuro, di tali indicatori di suscettibilità individuale, potrebbe permettere di identificare soggetti ipersuscettibili a rischio per determinate esposizioni, con notevoli ripercussioni etiche.

Dopo questa breve e spero esauriente esposizione sulla cancerogenesi professionale passiamo a considerare i vari aspetti del decreto riguardante i datori di lavoro ed il medico competente.

Obblighi del datore di lavoro

Il datore di lavoro evita o riduce l’utilizzazione di un agente cancerogeno sul luogo di lavoro, effettua una valutazione dell’esposizione e non del rischio, in quanto per questi non è identificabile una soglia di non rischio, adotta misure tecniche, organizzative, procedurali atte a ridurre il rischio, assicura misure igieniche e dispositivi di protezione da custodire in luoghi determinati, controllati e puliti dopo ogni utilizzazione ; inoltre fornisce ai lavoratori, sulla base delle conoscenze disponibili, informazioni ed istruzioni sulle sostanze cancerogene, sulle precauzioni da prendere e sulle misure igieniche da osservare.

Obblighi del medico competente : sorveglianza sanitaria

Il medico competente sottopone a sorveglianza sanitaria tutti i lavoratori esposti alle sostanze cancerogene con le attribuzioni delle direttive CEE 548/67 e CEE 379/88, già in precedenza considerate. Per ogni lavoratore il medico competente istituisce, aggiorna e custodisce presso l’azienda una cartella, nella quale riporta le informazioni sulle caratteristiche dell’esposizione e i risultati degli accertamenti sanitari cui è sottoposto ; inoltre custodisce un registro, istituito e aggiornato dal datore di lavoro, ove sono riportati i nomi dei lavoratori esposti, l’agente cancerogeno utilizzato e il livello di esposizione ad esso. Qualora il medico competente e le strutture pubbliche e private accertano casi di neoplasia riferibili all’esposizione lavorativa ad agenti cancerogeni sono tenuti a trasmettere all’ISPESL copia della documentazione sanitaria o anatomopatologica e quella inerente l’anamnesi lavorativa.

 

AGENTI BIOLOGICI E DECRETO LEGISLATIVO 626/94

 

L’articolo 74 del decreto legislativo intende per :

agente biologico : qualsiasi microorganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni ;

microorganismo : qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico ;

coltura cellulare : il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari.

 

Attività lavorativa

Fra i più classici e studiati ambiti di esposizione a microorganismi potenzialmente patogeni legati all’attività lavorativa vanno ricordati il lavoro a contatto con soggetti infetti, quale quello che si verifica in ambito sanitario ospedaliero e l’allevamento degli animali. Un altro vasto settore, non meno importante, è quello che comprende processi tecnologici a base biologica, ambito definito "Biotecnologico" cioè applicazione dei principi della scienza e dell’ingegneria al trattamento di materiali mediante agenti biologici. Schematicamente possiamo così elencarli :

 

 

 

 

RISCHIO BIOLOGICO E TIPOLOGIA DI ATTIVITA’ PROFESSIONALE

Attività in industrie alimentari ;

Attività nell’agricoltura ;

Attività nelle quali vi è contatto con gli ammalati e/o con prodotti di origine animale ;

Attività dei servizi sanitari, comprese le attività di isolamento e post-mortem ;

Attività nei laboratori clinici, veterinari e diagnostici, esclusi i laboratori di diagnosi microbiologica ;

Attività in impianti di smaltimento rifiuti ;

Attività negli impianti per la depurazione delle acque di scarico.

 

Classificazione degli agenti biologici

Gli agenti biologici sono classificati in quattro gruppi, a pericolosità crescente dall’1 al 4, per quanto riguarda la capacità di determinare malattie in soggetti umani.

Gruppo 1 :

Un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani ;

Gruppo 2 :

Un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori ; è poco probabile che si propaghi nella comunità ; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche ; ( esempio di agente : Haemophilus influentiae ; virus influenzale A,B e C).

Gruppo 3 :

Un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori ; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche ; (esempio di agente : Brucella melitensis, agente della febbre di Malta ; Virus della sindrome di immuno deficienza umana - AIDS).

Gruppo 4 :

Un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità ; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche ; ( esempio di agente : Virus Ebola, Variola virus)

Nel caso in cui l’agente biologico oggetto di classificazione non può essere attribuito in modo inequivocabile ad uno dei gruppi sopraindicati, esso va classificato nel gruppo di rischio più elevato.

Rischi per la salute

Nel loro insieme gli agenti lesivi presenti nei vari comparti della sanità e delle biotecnologie sono classificati in base alla loro natura e secondo i canoni della Medicina del Lavoro in fisici, chimici, biologici e psico fisiologici riconducibili al lavoro organizzato. I rischi specifici legati agli agenti biologici si concretizzano in alterazioni immunologiche, effetti tossici ed effetti patogeni dei microorganismi.

Compiti del medico competente

Il medico competente, oltre eseguire gli accertamenti sanitari, ha il compito di sottoporre a vaccinazione i lavoratori non ancora immuni dall’agente biologico presente nella lavorazione. Egli, inoltre cura la tenuta del registro in cui sono riportati i nomi dei lavoratori addetti ad attività comportanti l’uso di microorganismi del gruppo 2 o 4. Il registro è istituito e aggiornato dal datore di lavoro e per ciascun lavoratore riporta l’attività svolta, l’agente utilizzato e gli eventuali casi di sovraesposizione accidentale. In caso di accertamento di malattia o di decesso provocati dall’agente biologico cui è esposto il lavoratore, il medico competente e le strutture pubbliche o private hanno il dovere di trasmettere all’ISPESL copia della relativa documentazione clinica.

 

Conclusioni

A conclusione di questo corso, che spero sia stato di gradimento e di qualche utilità per lo svolgimento delle attività professionali verso cui è stato organizzato e rivolto, voglio spendere ancora poche parole per ribadire il ruolo preminente del medico competente, figura non più esclusivamente vicina agli interessi del datore di lavoro, come spesso è avvenuto in passato, ma al centro della problematica che trova lo scopo primario della propria professione nella tutela della salute fisica e psichica dei lavoratori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SICUREZZA SUL LAVORO

 

DEFINIZIONE RUOLO E FUNZIONI DEL MEDICO COMPETENTE

 

PROTEZIONE DA AGENTI CANCEROGENI E BIOLOGICI

 

Prof. dott. GIUSEPPE ROTIROTI