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Recensione di David Bidussa del libro "La difesa della razza" di Francesco Cassata

 

 

Recensioni bibliografiche

 Questa recensione è stata pubblicata su "L'Indice dei Libri del Mese" di gennaio 2009.

  

 

 




 

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David Bidussa dal 1989 lavora presso la biblioteca della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Si occupa di storia sociale delle idee. Dal 1988 ha collaborato con numerose testate tra cui “Radio Milano Popolare”, “l’Unità”, “il Manifesto”, “Linus”, “Diario”, “Il Secolo XIX”, “il Riformista”, “Reset”, “Caffeuropa”. Si è occupato di storia del movimento socialista francese e della Francia di Vichy; di storia del sionismo; di storia della storiografia contemporanea.

Si ringrazia sentitamente l'Autore della recensione per averne autorizzato la pubblicazione su questa pagina web.

   

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Scheda bibliografica:

Francesco Cassata, "La difesa della razza", Einaudi, Collana Einaudi Storia/ Saggistica, pagg. XVIII-414, anno 2008, ISBN 9788806189556, euro 34,00.

 

 

 

                

   

 

Ci sono almeno due modi di indagare le “leggi razziali”.

Il primo percorso ricostruisce le storia della normativa e, conseguentemente, analizza l’ iter della esclusione, della persecuzione. Infine la storia del “rientro” e della normalizzazione.

E’ un  percorso che allude alle trasformazioni indotte da un  evento. Un’indagine cin cui storia generale e storia locale si incrociano, dove contano gli ambiti professionali, i quadri ambientali, la storia degli oggetti (sottratti, talvolta restituiti). Una vicenda che in Italia con molta lentezza è entrata nella coscienza pubblica. Noi italiani  ci siamo spesso raccontati la sfera del soccorso e degli aiuti. Con riluttanza abbiamo aperto il capitolo della delazione. In beve del coinvolgimento attivo. Non sono le uniche reticenze. Altre riguardano anche il mondo ebraico italiano, non diverso da tutti gli italiani e dunque in gran parte convintamente fascista, aderente al regime, che nell’ottobre 1938 non riesce a capacitarsi di “non essere più italiano”.  Anche per questo è parzialmente fuori luogo ragionare dell’antisemitismo fascista paragonandolo a quello nazista. A differenza della realtà tedesca dove il nazismo è un partito e poi un regime dichiaratamente antisemita, il fascismo italiano lo fu dall’inizio  solo in alcune sue componenti culturali e solo in alcune circostanze. L’antisemitismo e il razzismo non erano parte dichiarata del suo programma (in ogni caso lo erano compiutamente del movimento nazionalista). Una parte non indifferente di ebrei fu fascista e nessuno all’interno del Pnf, almeno fino al 1934, ebbe niente da dire sulla presenza ebraica nel partito.

Un altro modo di illustrare il contenuto delle “leggi razziali” consiste, invece, nella ricostruzione del codice culturale che caratterizza la società italiana nell’epoca delle leggi razziali, individuando parole, concetti, raffigurazioni. In questo caso il problema non è più la storia delle persecuzione, bensì tutto ciò che è appartenuto al linguaggio pubblico, individuale e collettivo. L’Italia delle leggi razziali in questo secondo percorso non è quella dell’esclusione, bensì quella della costruzione e della ridefinizione dell’idea di “italianità”. Un’idea che allude a un livello alto del sapere costituito da discipline che hanno il corpo come oggetto di indagine – dalla biologia, alla medicina, all’antropologia, all’etnologia, alla demografia, tra le altre – e un livello “basso” fatto di comunicazione, ovvero di costruzione di un linguaggio sociale attraverso l’immagine in movimento, la canzone, ma anche il verso poetico, il disegno, il fumetto, lo slogan politico, il manuale scolastico, i dizionari.

Il libro di Francesco Cassata  («La Difesa della razza». Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista, Einaudi 2008, 415 p.,€ 34,00) appartiene a questa seconda modalità di indagine. il suo scopo è quello di comprendere come si forma un linguaggio, quali forze intellettuali e quali discipline mette in campo; quale codice culturale contribuisce a formare e quanto di quel codice sia destinato a permanere anche oltre l’abolizione della legislazione razziale. Al centro dunque di questo libro non stanno le leggi razziali, bensì l’Italia delle leggi razziali.

Francesco Cassata a questo scopo insegue vari percorsi, alcuni specifici e biografici, altri disciplinari (che cosa si intende con razzismo, quali discipline sono utilizzate, riformulate, riscritte per costruire un impianto culturale e politico razzista coerente?) altri infine inerenti le tecniche della comunicazione. Quelli biografici riguardano anzitutto Telesio Interlandi, ovvero il giornalista che fonda a dirige il quindicinale “La Difesa dela Razza”. Un uomo che non emerge improvvisamente nell’estate  1938 a ridosso della promulgazione delle leggi , ma che a lungo è stato l’uomo di fiducia di Mussolini, quando si trattava di anticipare mosse politiche, comunque sempre funzionale agli “strappi “ del regime., tanto nella fase di costruzione a ridosso del “delitto Matteotti”, tanto nella scelta” di rottura del quadro di Versailles dopo il 1933. In questo senso Interlandi e anche “La difesa della razza” non sono comprensibili se non come un segmento organico al Duce. Come tale dunque la questione delle leggi razziali andrà preliminarmente intesa.

Accanto a Interlandi  altre figure andranno comprese:per esempio l’etnologo Guido Landra, Lidio Cipriani,che soprattutto ha un ruolo nella costruzione della politica antimeticcuato (avviata già a ridosso della campagna italo-etiopica) ma anche Julius Evola (già ampiamente indagato da Cassata nel suo A destra del fascismo, Bollati Boringhieri)  a lungo collaboratore del periodico. Con Interlandi condividono molti criteri culturali: l’antimassoneria, l’idea di una missione spirituale dell’Italia, la convinzione che il mondo ebraico sia un corpo estraneo all’italianità

Sono tutti aspetti che nella polemica pubblica italiana non nascono negli anni ’30 , ma hanno una lunga gestazione che riprende alcuni stereotipi letterari della narrativa popolare della seconda metà dell’Ottocento (a cominciare da L’ebreo di Verona, di padre Antonio Bresciani a Francesco Saverio Rondina e il suo Emigrante italiano, un lungo racconto pubblicato a puntate da “Civiltà cattolica” nel 1892) e che ritornano nel gli anni ’10, dapprima durante la campagna di Libia del 1911-1912, ma soprattutto iniziano ad  essere sistematicamente proposti dalla rivista “La vita Italiana” a partire dal 1915 e in cui si impegna soprattutto l’economista Maffeo Pantaleoni che costantemente interviene su questo tema fino ala morte (1924) (è da ricordare che l’edizione italiana dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion è promossa nel 1921 da quella rivista e l’idea del censimento degli ebrei italiani è una suggestioni di Pantaleoni al direttore della rivista Giovanni Preziosi, protagonista dell’antisemitismo italiano fin dentro la Rsi).

Nello stesso senso va la lettura del Mediterraneo come luogo dello scontro tra latinità e mondo barbaro. Un aspetto che riempirà la propaganda cinematografica e che ha il suo primo banco di prova nelle celebrazioni per “L’anno augusteo (1937): il culto della latinità come “primato di Roma” cui tutti gli altri popoli devono sottomettersi e che nel momento della varo della legislazione razziale si concretizza nella lotta Roma contro Cartagine (ovvero il mito del popolo guerriero, contadino, in opposizione al popolo commerciante, razzialmente inferiore). Un tema che va letto insieme alla ripresa del’eugenica, allo sviluppo di un’ideologia demografica che già annunciata con il discorso dell’Ascensione del maggio 1927 e poi intrapresa con le politiche famigliari e popolazioniste della prima metà degli anni ’30 (a cui Cassata ha dedicato un volume di ricostrusione generale Molti, sani e forti, Bollati Boringhieri).

Un tema, quello della difesa e del rafforzamento della famiglia, che immette alla questione della difesa della propria identità, della minaccia al proprio spazio che riempie la comunicazione iconografica del discorso razzista: sia nelle copertine della “Difesa della razza” come nell’arte plastica, come nella battaglia per l’italianità della musica. Un ambito, questo della musica, in cui si incontrano si coimplicano altre ossessioni; il rifiuto o la diffidenza nei confronti della tecnica – che è la paura degli Stati Uniti - o quella contro la decadenza che nel linguaggio del fascismo significa soprattutto Francia.

Il complesso di questi temi costituisce l’Italia delle leggi razziali. Che cosa significa? Studiare l’Italia delle leggi razziali implica pensare a una  storia “di corta durata” , capace di contenere in un tempo stretto tutti i dati strutturali e congiunturali che esprimono una società e ne individuano i dati profondi: le culture sociali, gli atteggiamenti dei gruppi economici, le culture e gli intellettuali, le periferie e i centri urbani, lo stile culturale dei media, le forme del linguaggio collettivo, gli apparati educativi e scolastici, le culture del tempo libero. In breve quello che in storiografia si chiama le sensibilità. Sono proprio quelle sensibilità a dare solidità a un evento: a radicarlo nel suo tempo e a farlo durare, anche oltre il suo tempo.

Non è vero che se un fenomeno dura poco, poi non pesi nella storia. Pesa. E si ripresenta, in forme nuove, come sempre capita nella storia, mai eguale al passato, ma non totalmente estraneo ad esso. Quando improvvisamente l’omogeneità sociale e culturale di un gruppo si infrange, e quindi quando quel gruppo teme di “perdere se stesso”, tra le risorse culturali che quel gruppo ha, c’è anche quel set di immagini, di parole, di metafore, di simboli che già hanno avuto corso nella propria storia, e a cui inevitabilmente esso ricorre, è proprio perché quel passato esprime un pezzo della propria identità storica che non si è voluta discutere. Ciò non accade né fatalmente, né naturalmente, ma perché con quel passato non si è avuto il coraggio, la forza, e la chiarezza di confrontarsi. Era più facile assolversi.