La prima guerra dell'oppio del terzo millennio


C'è un aspetto della guerra di aggressione condotta dagli Stati Uniti contro l'Afghanistan di cui si parla assai poco, e che è sottovalutato ma di importanza primaria. La questione è quella dell'oppio.

Al di là della complessità della situazione afgana e delle molteplici ragioni che hanno scatenato questa guerra, sembrerebbe che la motivazione principale sia ancora una volta la contesa fra multinazionali del petrolio (in questo caso la Delta Oil - Saudita, controllata dalla famiglia di Bin Ladin - e la Unolocal - statunitense - quest'ultima legatissima alla famiglia Bush, sua grande azionista) per il controllo dell' "oro nero" della regione del Caspio e quindi degli oleodotti che dovranno attraversare il territorio afgano, il famoso "corridoio" non ancora aperto per il petrolio e il gas naturale da trasportare dall'Asia centrale ex sovietica al mar d'Arabia.

Ma vi è anche la questione del controllo del mercato dell'oppio, produzione, transito,
commercio. L'Afghanistan produce da solo il 75% dell'oppio mondiale, e questa immensa
ricchezza per quanto riguarda produzione e transito sul territorio afgano è nelle mani dei
Talebani. La commercializzazione invece è monopolio dei "signori della droga", poche famiglie
molto potenti intrallazzatissime con le banche occidentali (ovviamente).

E non è vero che la produzione di oppio è stata proibita dai Talebani come sostiene la versione ufficiale presentata dai media. La questione è un po' più complessa. Dopo l'eccezionale produzione del 1999 (4.500 tonnellate) e quella dell'anno successivo, il 2000 (3.600 tonnellate), gli americani (le banche occidentali) si accorsero di avere perso il controllo su questa incredibile miniera d'oro, e di dover trattare alle condizioni imposte dai Talebani, che poi naturalmente reinvestivano il denaro come gli pareva (soprattutto armamenti e consolidamento dell'economia di stato afgana). Su pressione del governo USA il mullah Omar fu indotto ad emettere una "fatwa" (editto religioso) che ne proibiva la coltivazione, dietro promessa degli americani di 43 milioni di dollari per la riconversione dei campi ad altre colture. Questa cifra, pur stanziata dal congresso statunitense non fu mai inviata, con la motivazione che non si sarebbe potuto controllare l'utilizzo che effettivamente sarebbe stato fatto di questi soldi, trattandosi di un paese "nemico".

Vi sarebbe qui da osservare per un attimo con quale incredibile velocità paesi alleati degli stati uniti con governi (regimi) da essi stessi instaurati si trasformino improvvisamente in paesi nemici (come avvenne per l'Iraq di Saddam Hussein e ora sta avvenendo per l'Afghanistan dei Talebani). Semplice: basta che in qualsiasi modo questi ostacolino gli interessi delle multinazionali sul loro territorio, e che gli stati uniti non abbiano il completo controllo della loro politica sociale e soprattutto economica, oltre che una massiccia presenza militare sul territorio.

Tornando alla fatwa del mullah Omar, essa rimase più che altro una operazione di immagine a livello diplomatico internazionale, ma la produzione non solo non è cessata, anzi il regime talebano ha anche aumentato le tassazioni sulla produzione e il transito.

Infatti, pare che i Talebani nel corso del 2000 abbiano portato la tassazione a 30 dollari il quintale per le famiglie contadine che producono oppio, e a 250 dollari il quintale per il transito sul territorio afgano verso i grossi centri di raccolta raffinazione e commercializzazione controllati dai baroni della droga che risiedono nel nord del paese, a cavallo tra Pakistan, Afghanistan e Tagikistan, zone montuose e impenetrabili.

Detto fra noi: e che son scemi sti Talebani, al punto di buttare alle ortiche (o alle patate) una fonte di ricchezza inesauribile (non solo economica, ma anche politica e diplomatica), appetita sul mercato mondiale a qualsiasi condizione?

Vi è poi la questione, assolutamente non secondaria, della sopravvivenza e sussistenza delle famiglie afgane, che soprattutto nei contesti rurali vivono della produzione di oppio. La riconversione ad altre colture comporterebbe grossi investimenti e finanziamenti occidentali, ad esempio per la dotazione di macchinari agricoli necessari per altre coltivazioni. Inoltre nessuna coltura garantisce il reddito, seppur minimo, che l'oppio consente alle famiglie afgane. L'oppio è cash, denaro contante, e ogni famiglia o nucleo tribale ne conserva nascosto almeno un cinquantina di chili o un quintale per far fronte alle evenienze improvvise e impreviste (siccità, guerre, carestie.). Nessun'altra coltura darebbe in alcun modo questa garanzia, ed è certo che consentirebbe un livello di reddito assai più basso ai contadini afgani.

Dunque la produzione di oppio in Afghanistan non è assolutamente cessata ma è stimata, attualmente, all'incirca fra le otto e le dieci tonnellate al giorno, secondo stime che, naturalmente, sono assai difficili da verificare.

Ne consegue che banche e finanziarie occidentali, espertissime nelle triangolazioni del commercio droga/armi alle loro condizioni, si trovano a dover trattare con il maggior produttore di oppio del mondo e con un grandissimo acquirente di armamenti alle sue condizioni.

Ora, essendo una serie di questi colossi finanziari anche fra i maggiori finanziatori delle varie campagne elettorali presidenziali statunitensi (tra cui ovviamente quella di Bush, e con gran sforzo economico), questi pretendono un controllo più diretto su questa enorme fonte di profitto.

Infatti, guarda un pò, chissà come mai gli eroici yankees stanno bombardando a tutto spiano tutto quello che trovano ma NON i magazzini di raccolta dell'oppio, in cui sono stoccate centinaia di tonnellate, in attesa della cessione ai signori della droga per la raffinazione/commercializzazione sui mercati mondiali? Eppure sanno benissimo dove si trovano questi magazzini, senza neppure il bisogno dei controlli satellitari...

Bisogna ancora ricordare che il mercato mondiale dell'oppio (di cui ripeto, l'Afghanistan è di gran lunga il maggior produttore) genera annualmente un volume d'affari pari a quello del PIL di un medio paese occidentale (es. Portogallo, Finlandia...), ed è secondo solo al mercato delle armi, ma ha una peculiarità che nessuna merce possiede: il formidabile ricarico di profitto.

Il valore di un quintale di oppio prodotto come minimo si centuplica sul mercato del consumo, dato il regime di illegalità.

Il commercio dell'oppio è la quintessenza del paradigma di profitto capitalista: tutto guadagno a percentuali impressionanti.

Qui si andrebbe inevitabilmente ad innescare il discorso sul proibizionismo, ma per ragioni di spazio è meglio fermarsi qui.

Franco Cantù -  anok4u@libero.it