don Siro Lopez

Indietro

Sacerdote salesiano
Licenziato in teologia pastorale
Coordinatore del
centro artistico SOMA
Artista di pittura, scultura, danza, fotografia, teatro, mimo


Esposizioni Collettive | La tua specialità? Nessuna
Il mimo:un'arte per comunicare | Alcune esperienze
Mimo senza frontiere | Come contattare Siro Lopez


In questa occasione mi chiedono di raccontare la mia esperienza nel mondo dell’arte. Devo confessare che non è un compito facile, preferisco dipingere e ballare e lasciare questo compito a persone che hanno più facilità di parola e scritto. Parto da un concetto distinto di artista, dove tutta la persona per il fatto di essere tale è chiamata alla relazione con l’altro, a comunicarsi mediante la grande diversità dei linguaggi di tutti gli ambiti (letterario, musicale, corporeo, plastico, affettivo, ludico ...) e queste manifestazioni le chiamo ARTE. Oserei definire l’espressione artistica come la “plasmazione” del sentimento. E per caso ci può essere una persona che ci nega di esprimerci i sentimenti? Da questo presupposto mi considero un artista! Che cosa sarebbe il mio essere se non fosse capace di trascendere! Che cosa sarebbe una candela se rimanesse spenta! Cesserebbe di essere candela se non arriva ad essere accesa, lasciandosi consumare nel compito di dare luce. In questi momenti mi sarebbe impossibile mandare avanti senza affinare la mia capacità di rendermi sensibile a tutto ciò che mi circonda. È la bellezza ciò che sintetizza tutte la mie convinzioni, il mio essere è questo il processo di contemplazione e ricerca in cui mi identifico. Nel momento in cui dipingo, non posso parlare, mi è incompatibile tenere una conversazione e allo stesso tempo realizzare il processo creativo. Necessito imperiosamente il silenzio se desidero voglio essere fedele alla plasmazione. È questo lavoro non è possibile se non in completa solitudine. Anche se può sembrare un paradosso, la solitudine mi rimette in contatto con la gente, con la necessità di camminare per le strade, a rendermi conto (assumerne) della mia piccolezza, del mio io in relazione con il tu. Oggi più che mai ho bisogno degli altri, ho bisogno costantemente di ri-strutturarmi come un giocattolo nelle mani di un bambino. Essere disposto ad essere legato, disarmato, abbracciato, dimenticato, corteggiato ed essere cercato sotto il cuscino di sogni infantili.

L’arte dello “scarto” (rifiuto)

Tutto quello che la grande città scarta
Tutto quello che perde
Tutto quello che rifiuta
Tutto quello che calpesta
Tutto mi rinasce nelle mani e mi sorprende

Alcuni anni fa la decisione di dipingere per poter raggiungere il grande pubblico e poter esprimere tutto quello che mi “catturava”, mi preoccupava o mi innamorava. Cominciai a raccogliere dalla strada, dai bidoni delle immondizie, dalle case demolite tutti quelli oggetti che mi “provocavano” per il loro passato, per la loro struttura, per la loro inutilità agli occhi di coloro che li avevano gettati via. Mi emozionava poter riscoprire e dar vita ad oggetti che erano stati dati per morti, per inservibili in una società che si sviluppa sotto il detto di “usa e getta”. Cominciai a dipingere sopra supporti arrugginiti, legnami tarlati, plastica buttata in mare, porte incendiate ecc. cercando di trovare un equilibrio tra il supporto e l’immagine. Successivamente, dopo aver “abbracciato l’oggetto come si trattasse di un figlio prodigio, passo a concepire ed elaborare l’idea che mi può occupare molti mesi e a volte anni. Per dar alveo a tanto laborioso parto, lavoro attorno a più quadri nello stesso tempo. In questi momenti mi trovo a portare avanti più di quindici opere che ritocco, rivedo abbandono o perfeziono. Quando inizio a dipingere mi servo di diverse tecniche per esprimere quello che desidero. Faccio sì che la tecnica non sia un impedimento nell’esecuzione dell’opera artistica. Anzi desidero che mi permetta di rimanere “in sospensione più tempo, come un ballerino quando esegue un assembles”. Usando di questa libertà mescolo nella stessa opera vari materiali.

Tutto questo, che alcuni hanno cercato di classificare come REALISMO CONCETTUALE forma in esposizione che da 8 anni è itinerante per tutta la Spagna e alcuni paesi europei. La tematica della pitture e delle scritture è sui DIRITTI UMANI. In questa esposizione vado incorporando le nuove opere ed è a modo di trittico, si divide in 3 parti: la prima sui bambini, la seconda sulla donna e l’ultima sugli anziani. È tutto un progetto ad ampio respiro poiché non sono mai capace di dire completato ciò che mi penetra e mi fa vibrare.

Esistono 2 momenti molto speciali nel mio lavoro creativo di pittura e scultura: ma è il momento in cui ho finito l’opera e le mie mani smettono di intervenire ho l’esigenza di prendere le distanze per osservare la nuova creatura. Sento l’esperienza di rimanere immobile davanti all’opera semplicemente guardando. Nessuno può immaginare la pace che questo momento corto o lungo che sia, mi produce. Nell’inserire il quadro nell’esposizione sento che già non mi appartiene, che l’opera ha acquistato la sua propria indipendenza, il suo proprio battito d’ali. Qualcuno potrebbe pensare che sto “parlando per parlare” (perdo tempo) però devo confessare che in determinati momenti mi risulta strano che ne sia stato io l’autore. Sempre mi torna questa sensazione di sentirmi “grembo”, spazio intermedio tra l’opera e il pubblico, spostando in un terzo livello la laboriosità creativa. Il secondo momento è quando ho l’opportunità di rimanere nella sala delle esposizioni e qualcuno si ferma a fissare una delle pitture o sculture e rimane legato ad esse attraverso lo sguardo. Mi emoziona contemplare quegli sguardi che realizzano l’incontro che riscattano la vita di quello che era stato scartato. E tuttavia ci sono giorni in cui questo non è tutto chiaro. Continuo a chiedermi se vale la pena sudare tanto, occupare tempo e raccogliere incomprensioni. Quando si capirà che l’esperienza attraverso i diversi linguaggi artistici non è un puro intrattenimento, ma una necessità vitale che non dobbiamo castrare, anche a rischio di essere fraintesi. Perché ci fa tanta paura la libertà?

Esposizioni collettive

Allo stesso tempo con un gruppo di persone animate dalla stessa sensibilità abbiamo iniziato ad organizzare esposizioni collettive, dove con diversità di stili e forme scommettiamo per vivere l’arte come impegno e forma per ricreare la vita. Cercando di formare una coscienza critica nelle persone attraverso l’espressione artistica e vogliamo proporre un’alternativa al momento artistico attuale. Facilitiamo momento di interscambio e comunicazione tra i diversi artisti che vi partecipano, il pubblico e tutto il gruppo di persone che ci affianca in questo progetto. Con il centro artistico SOMA che più avanti spiegherò, abbiamo dato spazio a tutte queste inquietudini. Si sono unite a noi persone interessate ciascuno a collaborare nelle diverse iniziative apportando ciascuno il meglio di sé. Alcuni dipingono, scolpiscono, fotografano, altri organizzano, altri appoggiano, altri accompagnano ecc; non esagero  nel dire che tutto questo non sarebbe possibile se il progetto non fosse COMUNITARIO (di gruppo). Ci serviamo dell’esposizione per organizzare tutta una campagna di sensibilizzazione. Il giorno dell’inaugurazione organizzammo danze, recita di poesie… per tutto il tempo dell’esposizione, da 20 a 30 giorni, offriamo nella città concerti, spettacoli nelle carceri, tavole rotonde, proiezioni ecc… Invitiamo e provochiamo il pubblico coniugando la solidarietà con la festa, le ingiustizie che vivono alcune persone con la condivisione disinteressata e gratuita. Si dimostra un’ottima occasione per avvicinare ogni tipo di persona indipendentemente dalla loro fede o provenienza o opinioni. Facciamo leva soprattutto su Istituti, Collegi e Università facilitando l’organizzazione di visite di gruppi numerosi sia dalla sera che al mattino. Tra la meraviglia di gallerie d’arte e organismi vari, il pubblico ci dà risposte e si sente anche interpellato. Attualmente stiamo organizzando un’altra esposizione collettiva con la partecipazione di più artisti su “I DIRITTI DELLA DONNA”. In essa desideriamo far riflettere su tutto ciò che ci preoccupa, denunciare meccanismi di esclusione e rifiuto e facilitare l’incontro affinché con speranza e insieme posiamo far cambiare le cose.

La tua specialità? Nessuna

Sempre mi è sembrato importante insistere nella molteplice relazione dei linguaggi artistici e della loro necessità di essere connessi. Non importante se l’opera che presento al pubblico è una foto dipinta o un quadro, disegno o fotocopia, scultura o pittura in rilievo, danza teatro ballata, happening o video installazione ecc. in molti casi si sbaglia a concepire il proprio lavoro artistico come una “specializzazione della specialità” e ci possiamo incontrare con pittori che passano tutta la loro vita dipingendo quadrati colorati in varie composizioni, così fino alla saturazione.

Come artisti non dovremmo avere una posizione molto più aperta? Esattamente per poterci arricchire di tutta la vastità di mondo che ci circonda. Di tutto questo c’è esempio l’epoca del Rinascimento o, in questi momenti, tutta la medicina? Da dove parte il concetto di una composizione più unitaria e armonica del corpo umano in relazione con la componente psicologica, affettiva ecc. di tutte le persone. È per questo che nessun momento mi ha fatto pentire del mio interesse per la danza, per la musica, per il teatro, per l’anatomia, per la respirazione, per lo yoga, per la fotografia. In diverse occasioni cui è stato chiesto come tutta questa diversità di interessi restava professionalità, qualità artistica, o perdita di tempo! Al contrario non ho mai considerato tempo perso quella dedicato allo studio dei lepidotteri in botanica e di tutto l’ampio mondo della biologia, studi fatti negli anni della mia adolescenza. Né considero tempo perso quello impegnato a ballare nelle feste, in casa o nei palchi. Né mi è sembrata non pertinente tutto ciò che mi hanno apportato le immagini della letteratura, della filosofia psicologica e teologica. Non mi importa raggiungere, guadagnare una grande specializzazione, come invece il non vedermi limitato nel vivere ed esprimere con intensità tutto ciò che mi commuove.

Quando mi è stato dato l’orientamento di studiare anatomia mi è stato spontaneo metterla in relazione all’espressione corporale e servirmene per la danza, il disegno e la scrittura … e slegarmi da tutto quando lo considero opportuno. Per esprimerlo in modo simbolico: più colori mescolo e combino più possibilità avrò di ottenere la luce, di  intraprendere un processo creativo libero da vincoli tecnici. Potrò, come ultimo caso optare per un solo linguaggio artistico al momento di materializzare l’espressione però questa sarà arricchita di una forma singolare.                   

Il mimo: un'arte per comunicare

Durante un inverno mentre dipingevo uno scenario per un teatro ho iniziato a sentire un desiderio imperioso di partecipare alle prove del gruppo di teatro. Lo percepivo come se esistesse in esso una magia creativa che mi stavo perdendo e che lo spazio del palcoscenico poteva offrirmi. Poter incarnare personaggi fino a quel momento sconosciuti. Giocare con il pubblico nel “mondo della menzogna” e nello stesso tempo mi veniva data la possibilità di manifestare i miei propri sentimenti. Godere di tutte le prove con i propri sbagli e risultati. Ridere con una frequenza che non ti è concessa né nelle chiese, né nelle aule. Sforzarti per superare la propria timidezza e godere nel vedere nel giorno del debutto che è valsa la pena di fare tanti sforzi. Condividere il lavoro in gruppo e mantenere il contatto diretto col pubblico era qualcosa che non mi poteva offrire né la pittura né la scultura. Tutto questo lo sperimentai all’età di 17 anni e iniziai a sentirmi attratto da tutto il mondo corporale/fisico, ma in modo speciale per il mimo e per l’espressione corporea. Linguaggi che mi hanno segnato in modo poderoso. Era qualcosa che mi incantava e che mi faceva godere anche se per realizzarlo ci volevano ore e ore davanti al vetro di una finestra alla sera, affinché mi servisse da specchio. Non era un pezzo di disciplina o un obbligo. Semplicemente mi faceva godere un sacco e mi faceva sentire bene nella mia propria pelle. Posso dire che il mimo mi ha aperto una grande quantità di “finestre”, mi ha ossigenato dentro e mi ha messo in relazione con delle realtà che in altre maniere sarebbe stato impossibile.

Riporto ora alcune esperienze

ENTRE REJAS = Tra i solchi

Dopo un po’ di anni, alla conclusione degli studi di filosofia mi invitarono a recitare nel carcere. Era un mondo a me totalmente sconosciuto. Sempre quando mi è stata offerta la possibilità di portare il mio piccolo granello di sabbia non ho mai detto “No” a ciò che considero inviti alla scoperta del nuovo. E ne sono sempre uscito arricchito. Ciò non toglie che se non avessi avuto qualche timore al momento di recitare in carcere, facendo il mimo. Pensavo come erano abituati ai concerti rock avrebbe considerato la mia recita una cosa insulsa e di grande noia e fastidio. Non è sempre facile esprimersi in certi ambienti. Bene mi sbagliavo. Ebbi un’accoglienza molto buona, i carcerati erano spontanei, sinceri e ciò che fu più importante di tutto è che scoprii che cosa realmente si nasconde dietro i muri della prigione: una sofferenza tremenda e tanta ingiustizia.

Sono stato due settimane in carcere, parlando, partecipando a riunioni, recitando. Il mimo fu la meravigliosa occasione per scoprire le persone che al di là di ciò che avevano commesso, veniva loro negato il riconoscimento come tali (persone). Mi resi conti quali solchi ci separavano dai più poveri della società. Potei rendermi conto di quanta sofferenza inutile si respirasse lì dentro. Dopo questa esperienza sono stato per un mese in giro per tutte le carceri del nord. Sempre quando ho l’opportunità approfitto di condividere le mie storie e poter, tutti insieme, riderci su. Posso affermare che la vita, le sofferenze e le illusioni di questa gente mi hanno sconvolto in più di un’occasione e ciò ha fatto sì che la mia forma di dipingere, di danzare, di respirare, di pregare cambiasse.


TOPARSE CON EL SILENCIO = Imbrattarsi col silenzio o Urtare contro il silenzio

Essendo a Santiago di Compostela mi invitarono a fare il mio spettacolo di mimo in un collegio di sordi. Erano anni che speravo di avere un’occasione per avvicinarmi e poter conoscere questo mondo. Non si era mai presentata l’occasione. Il silenzio che si percepiva in sala prima di iniziare lo spettacolo era chiaro, intelligibile. Si percepivano suoni scardinati e risa che non conoscevo. I suoni provocati dai loro movimenti e dai loro giochi previi mi risultavano sconcertanti. Ero entrato in un altro mondo e l’estraneo ero io.

Alla fine dello spettacolo, dopo essermi cambiato uscii dal teatro e trovai che mi stavano aspettando un gruppo di ragazzi che mi circondavano. E fin qui nulla di particolare, però la forma di comunicazione era ben diversa. In breve iniziarono a toccarmi e mi sentivo addosso un'infinità di mani. Sentivo leggeri spintoni e grandi sorrisi che sopra ogni cosa desideravano catturare il mio sguardo per potermi dire con il loro volto e i loro occhi il piacere provato, il desiderio di gioia e più nascosto, il loro desiderio di affetto. Mi fecero riflettere molto i loro sguardi. I più grandi aspettavano ai bordi del cerchio per avere l’opportunità di salutarmi e nel frattempo non cessavano di guardarmi e sorridermi. Non avevo parole.

Dopo alcuni mesi, attraverso un professore del Collegio mi fecero la proposta di insegnare religione ai ragazzi/e più grandi del collegio dei sordi. Non ebbi nessuna esitazione anche se non sapevo neppure un gesto del loro linguaggio e non avevo testi né materiale di guida e in più il collegio era situato fuori dalla città il che comportava che dovevo andarci in bicicletta tenendo conto degli acquazzoni che avrei dovuto prendermi nella città più piovosa della Spagna.

Arrivò il giorno e io mi presentai senza ben sapere che cosa fare né da che parte iniziare. Mi avevano solo informato che avevano un livello molto basso di lettura e comprensione anche se con un’età dai 16 ai 20 anni. Il loro rapporto col religioso non era molto felice, forse proprio il contrario. Le loro pratiche religiose erano state il più delle volte imposte e le ore di religione – catechesi erano ridotte ad una semplice memorizzazione di preghiere difficilmente comprensibili per loro. Quel giorno iniziai con le presentazioni, non mi interessavano i nomi e i cognomi ma i loro gesti con i quali si identificavano a vicenda, i loro veri nomi. Avevo la sensazione che mi stavo introducendo nella loro intimità. Essi, a loro volta, erano sorpresi che un professore utilizzasse i loro gesti di identificazione. Godevano nel vedermi imparare. In realtà erano loro che mi facevano lezione ed io l’unico allievo privilegiato. Si sentivano utili e orgogliosi. Utilizzando la lavagna chiesi loro cos’era la cosa che maggiormente piaceva fare, il loro hobby preferito. Con mia sorpresa mi risposero che ciò che più li appassionava era il MIMO, il teatro e soprattutto ballare. Ma come potevano aver piacere di ballare se non potevano ascoltare la musica? Anche se avessero potuto sentire le vibrazioni sul pavimento e degli altoparlanti ciò mi spiegava la possibilità che avevano di ballare ma non la loro preferenza per il ballo. Comunque al di là di tutto percepivo che mi si aprivano delle porte/possibilità per mettermi in sintonia con loro, in quanto i loro gusti coincidevano con i miei. L’arte stava diventando strumento di relazione. Senza troppe aspettative iniziai a trasmettere la base che nelle nostre ore di religione avremmo appreso un cammino verso Dio attraverso la danza, il teatro e il mimo….“E Dio vide che tutto era buono” (Gn 1,1).

Dio era dalla loro parte e desiderava muoversi al loro ritmo, avvicinarsi a loro con il loro linguaggio, sperimentando ciò che loro sperimentavano. Tutto il restante tempo lo adoperammo a ballare e imparare passi di danza. Che bellezza! Di conseguenza si ruppero le barriere ma la cosa più sorprendente era che ballavamo senza musica e in silenzio. 5 minuti prima di terminare l’ora mi misi a riprendere la prima idea sulla sintonia di Dio con i loro corpi, concreti e reali, palpabili che definiscono al loro persona. Ricordo ancora le loro espressioni di gioia e il loro sguardo concentrato su ciò che dicevo. Uscendo tutti avevano fretta e fecero il corridoio di corsa per andare a raccontare il tutto agli altri loro compagni. Io rimasi nella classe senza ben sapere che cosa avevo condiviso e imparato da loro. Il giorno seguente li trovai tutti ammucchiati vicino alla porta ad aspettare che iniziasse l’ora di religione.

Mimo senza frontiere

La grande potenzialità del mimo, come è logico è che non ha bisogno di parole per stabilire una comunicazione e ciò mi ha dato la possibilità con una certa frequenza a recitare anche all’estero.

Segnalo solo un’esperienza tra tante che mi rimane forte nel ricordo.

Mi coinvolsero per lavorare con una ONG = Organizzazione Non Governativa, in un progetto di aiuti in un campo profughi in SLOVENIA. Per problemi di comprensione dati dalle diversità di lingue e dialetti, era necessaria una persona che si esprimesse attraverso il gesto e il disegno. Nel campo si incontravano maggiormente donne e bambini e convivevano musulmani, croati, serbi, bosniaci.

Si sentivano colpevoli di ciò che era successo. Qualcuno mi disse “Una volta che uno tira una pietra, segue una catena e nessuno sa chi ha iniziato”.

Con chi ero più in relazione erano i bambini in cui si percepiva la ferita profonda che stava lasciando la guerra. Bastava guardarli negli occhi per percepirne il dolore e l’assenza di affetto che avevano sperimentato queste creature. Dicono che le farfalle sono gli insetti più sensibili alla contaminazione. Credo che qualcosa di simile avvenga nei bambini quando l’aria che respirano si tinge di grigio. Egoisticamente mi ritenevo fortunato perché in quei giorni, attraverso la piccolezza di un MIMO riuscivo a farli sorridere. Non potete farvi un’idea con che ansia mi abbracciavano. Mi dava la sensazione di essere un albero di Natale con bimbi attaccati da capo a piedi.

Durante il tempo che sono stato con loro il sentire del tatto era la moneta di scambio. Non avevamo la necessità di dirci niente, ci bastava l’espressione corporale. Non pretendo di essere illuso, son piccole gocce di acqua in un torrente per dissetare.

Centro Artistico SOMA

Da vari anni mi portavo in testa un’idea. La condivisi con varia gente e nel 1990 le diedi forma semplice e ne nacque un progetto chiamato SOMA. Nell’estate dello stesso anno si celebrò la prima attività del Centro Artistico: gli incontri SOMA dell’estate a cui nei vari anni hanno partecipato animatori e animatrici di tutta la Spagna e anche fuori. Tutte queste inquietudini nascono da una certa esigenza di fronte alle urgenze che cristiani utilizzino linguaggi che usiamo nella vita di ogni giorno e possono fermarsi nell’ambito dell’espressione – comunicazione partendo da un’ottica cristiana. Il nostro principale obiettivo è aprire una strada alla scoperta del mondo dell’arte come espressione della propria fede cristiana, avvicinare contenuti e tecniche artistiche alla realtà quotidiana della gente e, ciò che è ancora più importante, trasmettere l’arte come espressione della propria personalità e di quella della comunità a differenza di un’arte spersonalizzata. Siamo coscienti che quando vogliamo scegliere l’arte come cammino verso lo sviluppo integrale della persona e valorizzare il linguaggio artistico nella sua dimensione di rivendicazione (riappropriarsi dei propri diritti), noi stiamo “uscendo dai binari” , dai luoghi comuni dell’arte.

Forse pecchiamo di ingenuità se il nostro sforzo si concentra nel far emergere il sentimento di gratuità dell’arte contro quello dell’utilitarismo, nel riconoscere le espressioni artistiche come veicolo di valori umanizzanti.

In questi anni sono sorte diverse modalità di partecipazione e interscambio.

 §         INCONTRI SOMA: incontri di formazione a partire da un’ottica cristiana, sul teatro, danza, espressione plastica, corporale e musicale.

§         CORSI: lavoro sopra temi specifici in rapporto con il mondo dell’arte e dell’espressione.

§         INTERSOMA: riflessione, approfondimento e testimonianze su tematiche connesse agli obiettivi del gruppo SOMA.

§         D’ARTE: incontro di artisti plastici dove c’è possibilità di comunicazione e scambio. Si coordinano esposizioni e attività diverse.

§         Per chi fosse interessato a ogni tipo di informazione per l’organizzazione e l’attuazione dell’esposizione si tenga in contatto con:

Siro Lopez

c/o pireneos 19e, 28040 Madrid Espana

Tel 91-450.9341
Fax 91-450.9091
E-Mail
rsalesianam@planalfa.es

Don Siro Lopez sarà in ispettoria il 20 febbraio 2000 alla Festa dei Giovani di Udine Fiera

Porterà la sua esperienza educativa e “parlerà” ai giovani con il suo corpo e la sua arte.

La sua MOSTRA composta da più di venti opere d’arte resterà allestita al “collegio don Bosco” di Pordenone.

Siete tutti invitati, salesiani, giovani, scolaresche, gruppi di oratorio a visitare e a fare qualche ora di ritiro aiutati dall’arte cristiana.


Tutto il materiale di questo sito è © 1999-2000 Salesiani Triveneto Est