1896 - LA RICOSTRUZIONE DI GIACOMO BONI
< I marmi di Tor di Quinto, difficilmente riapplicabili a posto
(chè il livello della campagna è ivi cresciuto quattro
metri), stavano per vendersi come marmo da lavoro, o come oggetti d'arte.
Pregai quindi l'on. Barone Alberto Blanc, senatore del Regno, di farne
acquisto e di ricomporli sul confine stradale della sua villa Nomentana,
a Sant'Agnese fuori le mura, sopperendo alle parti mancanti con muratura
laterizia, in modo che si goda la massa originale d'insieme, senza che
lo studioso provi alcuna titubanza nel differenziare tra le parti antiche
e quelle aggiunte. Il barone Blanc mi ha risposto che è lieto di
contribuire alla salvezza di un così importante monumento romano.
Fatti portare a Sant'Agnese fuori le mura i massi superstiti, potei
raggrupparli secondo la disposizione originale, giovando le tracce degli
arpesi orizzontali di ferro piombati, e i buchi delle ulivelle, e dei ferrei
forfices, quorum dentes in saxa forata accomodantur (forche di ferro
i cui denti erano conficcati in sassi forati), per riconoscere il piano
di posa o la faccia di combaciamento di ciascun pezzo. La limbellatura
o fascetta piana in recesso dei bugnati del tamburo servì ad identificare
i massi del primo corso che posano sulla base intagliata, nonché
quelli dell'ultimo che sostengono il fregio e la cornice. Quanto ai corsi
intermedi, sprovvisti della limbellatura orizzontale, ho arguito che fossero
due, dalla quantità di massi disponibili; fu adottato questo numero,
visto che la proporzione del monumento risultava soddisfacente, e che non
v'erano dati di fatto che testimoniassero diversamente. Fu facile riconoscere
il pezzo centrale del fregio che porta scolpito il fogliame di nascimento,
e qualche pezzo attiguo che combinava collo svolgimento del tralcio a volute.
La cornice fu trovata quasi tutta. Essendo l'attico merlato, ogni metatiùridion
aveva le testate a taglio obliquo e altrettanto dicasi delle incassature
delle sbarre di ritenuta formanti ringhiera o cancello. I due cosiddetti
cippi, quantunque più alti del parapetto, appartenevano all'attico,
sia per la riquadratura intagliata, sia per l'incassatura delle sbarre
orizzontali. Forse in origine occupavano la parte rettilinea del monumento,
la quale, a giudicare dal rudero di scaglioni di tufo cementati in pozzolana
che ancor rimane a Tor di Quinto, riuniva i due tamburi cilindrici d'un
monumento gemino, semplificato dai tipi policonici di Porsenna a Chiusi,
degli Orazi e Curiazi presso Albano e di qualche altro in Lidia. Mancando
i pezzi di bugnato rettilineo notati nel 1876 dagli scavatori, lo stereobate
fu costruito colla pietra dei Parioli, la quale ha essa pure la sua storia.
La rupe dei Parioli, coronata d'elci neri che arricchivano d'un riflesso
profondo l'acqua sabbiosa del Tevere, tra la foce dell'Aniene e Ponte Milvio,
conservava tracce di camere sepolcrali scavate nell'epoca repubblicana; una
di queste, rivestita di elegantissimi stucchi nell'epoca imperiale, tuttora
rimane. La pietra dei Parioli, fatta saltare colle mine per adoperarla nei
muraglioni del Tevere, è una concrezione calcare, fulva, alabastrina,
di facile lucidatura. Ne feci portare un centinaio di carri a Villa Blanc,
utilizzando i pezzi più compatti nello stereobate sul quale fu ricomposto
il monumento onorario. Adoperai invece mattoni rossi sottili per le
murature nuove di completamento e per gl'interstizi dello zoccolo della
merlatura. Nelle commettiture più larghe feci mettere un po' di capperi
e terriccio misto a semi di violacciocca, amorino, papavero, bocca di leone,
garofano, biscutella, artemisia, fiordaliso, wahlembergia, linaria, cerinthe,
briza, polypodium, e d'altre parietarie dell'antica flora del Colosseo,
che abbelliscono i ruderi massicci senza danneggiarli>.
G. Boni, "Un monumento ricomposto sulla via Nomentana", Archivio
storico dell'arte, Nuova serie, vol. III, 1897, fasc.1, pp.54-58.