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Sul versante destro del fiume Farfa sorgeva un tempo la chiesa di San Donato, Vescovo di Arezzo, martirizzato nella seconda metà del secolo IV sotto l’Imperatore Giuliano l’Apostata. Non abbiamo documenti per stabilire con precisione storica la data di fondazione di questa chiesa che diede il nome al primo castello, «Castellum Sancti Donati», ora Castelnuovo di Farfa. E’ probabile che la fondazione risalga al principio del VI secolo, contemporaneamente alla venuta di S. Lorenzo Siro, che prima di fondare Farfa, si era dedicato all’abolizione del culto idolatrico sul fondo Acuziano, dove esisteva un tempio sacro alla Dea Vacuna e su tutto il territorio posto alla destra e sinistra del Farfa.

La Chiesa di San Donato, come tante altre vetuste Chiese della nostra Sabina, fu costruita certamente sui ruderi di una villa romana (di ville romane era disseminata la Sabina) o d’un tempio pagano. Convalidano questa asserzione molti resti, frammenti archeologici ed artistici di epoca romana. Su un frammento di pietra, appartenente ad un’urna cineraria, sono incise le parole «Diis Manibus», agli dei Mani. La prima e più remota notizia di questa chiesa si trova nel Regesto Farfense del celebre monaco Gregorio di Catino (1062-1133) e precisamente in un documento in esso riportato e rogato a Spoleto nell’877 in cui Giovanni, Vescovo di Arezzo, cede al Monastero di Farfa, alcuni suoi beni, siti nel territorio reatino ed ereditati dal padre Trasone in cambio di altri ricevuti in vitalizio dall’abate Giovanni I (872-880), tra cui S. Donato in località “Agnello”, con terre, case, Chiese, selve, molini ed acque e decorso delle acque, pascoli, etc. Nel 1118 l’Imperatore Enrico V, confermando al Monastero il possesso dei suoi beni e privilegi ricorda anche la chiesa di S. Donato in Agnella. Un elenco di tutte le chiese soggette alla giurisdizione del Vescovo di Sabina compilato nel 1343 sotto l’Episcopato del cardinale spagnolo Gomez de Barros Pietro (1343-1348) e sotto il pontificato di Clemente VI, si annovera tra le Chiese della Diocesi Sabina anche quella di S. Donato «de Agellis de pertinentia Castri Novi Sabinensis Dioecesis in Abatia Farfensi». Più recentemente le chiese principali di Castelnuovo di Farfa sarebbero state le seguenti: S. Donato e S. Filippo, ambedue in aperta campagna che furono le primitive chiese parrocchiali, poi S. Maria, Madonna degli Angeli, S. Nicola di Bari, ecc.

Nel secolo XIV Castelnuovo contava 10 Chiese; quella di S. Donato, era per così dire, la Chiesa Madre a cui era preposto un Arciprete; poi per ordine d’importanza veniva quella di San Filippo, che ancora esiste ed è stata restaurata recentemente. La prima volta che si parla del Castello di San Donato, ora Castelnuovo, è nel 1046, quando Donone e Adelberto cedettero al Monastero alcuni fondi e il «Castrum S.Donati». 

La costruzione della chiesa di S. Maria risale alla metà del secolo XVI. Durante la costruzione della nuova fabbrica di S. Nicola (1768-1779), S. Maria funzionò da Chiesa parrocchiale dove in secondo tempo si seppellivano i morti. Più tardi  fu ridotta in  ripostiglio da parte del Comune. S. Maria degli Angeli fu eretta per voto del popolo nell’anno giubilare 1600 quando i Castelnovesi, secondo la tradizione, per intercessione della Vergine, restarono immuni da una spaventosa epidemia che seminò strage nei dintorni.

La costruzione della chiesa parrocchiale di San Nicola risale alla metà del secolo XVIII, la chiesa fu ultimata nel 1777.

Oltre all’edilizia religiosa a Castelnuovo di Farfa vi sono notevoli palazzi tra cui, di notevole interesse, quello della famiglia Salustri-Galli. L’edificio attuale si compone di nuclei diversi edificati probabilmente a partire dal XVI secolo ma l’intervento più consistente è senz’altro databile alla metà del ‘700. In quegli anni infatti  fu realizzata la caratteristica rampa d’accesso al palazzo e furono decorati gli ambienti interni con pregevoli  affreschi.

Il palazzo era, in quell’epoca, proprietà dei Simonetti antica e nobile famiglia di Castelnuovo di Farfa, le cui fortune attraversarono un momento di splendore e di considerevole espansione.

I Simonetti avevano ottenuto nel 1738 il feudo di Gavignano nel Lazio meridionale. Meno di trent’anni dopo, nel 1766, un esponente della famiglia, Giuseppe Simonetti, era stato nominato cardinale e aveva ottenuto il titolo di San Marcello al corso. La famiglia accrebbe la sua fortuna ottenendo in enfiteusi perpetua il  prestigioso palazzo di Via del Corso che Alessandro Specchi aveva progettato, solo un secolo prima per Livio de Carolis. L’acquisizione del palazzo, che si trova proprio davanti alla chiesa di San Marcello al Corso, dove era stato sepolto il cardinale Simonetti, costituì per la famiglia il momento di maggior prestigio. Gli anni successivi, secondo quanto risulta dalle carte dell’Archivio Simonetti, sono caratterizzati dall’acquisto di altri edifici, mobili, quadri e altro, destinati ad abbellire non meglio specificati palazzi di città e casini di campagna. E’ molto probabile che a questo periodo risalga l’acquisto e la ristrutturazione di Castelnuovo di Farfa.

Nella decorazione del palazzo compaiono, oltre alle belle vedute dei palazzi di famiglia, eleganti figurette di alcuni aristocratici, carrozze paludate, popolani, passanti ritratti con vivace naturalezza e nelle sopraporte paesaggi di fantasia con rovine secondo la moda dell’epoca. Un insieme insomma di buon gusto anche se per una casa di villeggiatura, come si conveniva ad una ricca e raffinata famiglia.

Giacomo Simonetti era marchese e aveva sposato la ricca Giovanna Astalli. L’agiatezza in cui viveva gli permisero di coltivare molti ed eclettici interessi e di creare insolite collezioni purtroppo andate perdute. Proprio queste passioni e le ingenti spese sostenute intaccarono sensibilmente il pur considerevole patrimonio di famiglia. Nel 1823 rimasero uniche eredi  delle ancora cospicue fortune della famiglia due ragazze, adottate dalla nonna Orsola Maccarani. Tuttavia, un po’ per volta le fortune furono vendute e il palazzo di Castelnuovo fu comprato da un uomo politico arricchito, il pro-ministro delle finanze al governo pontificio Angelo Galli. Alla sua morte la proprietà passò ad un nipote Salustri che aggiunse al proprio cognome anche quello dell’avo.

Attualmente il palazzo è abitazione privata e pertanto non accessibile al pubblico.