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LA VISIONE ARCHEOLOGICA DI MARIJA GIMBUTAS

Brigitta M. Schulte vive a Francoforte. Ha studiato scienze germanistiche e politiche. Fino all'83 lavorava come redattrice per giornali pedagogici.
Giornalista libera, lavora per la radio in Germania. Autrice di documentari radiofonici su Grazia Deledda. Scrive saggi e nel '95 ha pubblicato "Der weibliche Faden". Ha conosciuto Marija Gimbutas sei mesi prima della sua morte.

di
Brigitta M. Schulte

Maria Gimbutas, docente all'Università di Los Angeles, fu archeologa di risonanza mondiale. Ebbe tante onorificenze e tre lauree honoris causa e fu la prima, e fino a oggi l'unica archeologa, che fece grande attenzione alla figura femminile, individuandone le numerose immagini attraverso l'iconografia a noi pervenuta dal Paleolitico e dal Neolitico. La sua visione fu estremamente vasta e senza confronti; il fulcro della sua ricerca religiosa e artistica, nel Neolitico Antico, si concentrò soprattutto nell'Est dell'Europa Centrale, nel territorio dei Carpazi e nel Nord della Grecia, tra l'Adriatico e Bucarest. Morì il 2 febbraio 1994.

Marija Gimbutas era molto malata quando venne in Germania, nel 1993  per presentare le sue opere a Wie-sbaden. Era una fragile piccola donna, con un paio di occhiali troppo grandi per il suo volto. Nell'atmosfera intima dell'albergo appariva come una ragazzina; durante un appuntamento per fare delle foto sembrava ancora quella donna attraente che tanti ricordano in America. Quando esponeva la sua materia, la sua voce era invece quella di una studiosa molto severa, contrariamente a quanto mostrava. Parlando del mio libro lei si mostrava intransigente e disponibile allo stesso tempo. Era una donna sensibile, ma ferma nelle sue idee.

Relativamente tardi, nella sua vita di scienziata, ha cambiato l'obiettivo della sua ricerca e si è dedicata non più all'età del bronzo indogermanico, ma alla scoperta dei reperti archeologici dell'Europa dell'Est, dal 7000 al 3000v.u.Z. La causa del silenzio intorno alla sua opera, specialmente nell'archeologia tedesca, sta nel risultato della sua ricerca che porta inevitabilmente alla domanda: cosa c'era prima del patriarcato? La risposta è univoca e può disturbare qualcuno: un lungo periodo di pace in una civiltà molto evoluta, con un senso spiccato per l'estetica e l'armonia, la musica e il ballo, un grande amore per la natura e una elaborata visione della religione. Nel mezzo di questa cultura c'era una dea. Marija Gimbutas la vedeva nei suoi tre aspetti: come dea della nuova vita/ come dea della morte e come dea della vita nella morte. 
Contrariamente al concetto odierno della morte come fine della vita, la civiltà del Neolitico Antico vedeva la morte come porta d'accesso alla vita. La sua essenza, la tragedia, il dolore diventano un nuovo inizio di speranza in questa filosofia. L'idea della rinascita non è legata all'individuo: la nuova vita comincia con la nascita dei bambini, mentre la natura continua il suo ciclo. Marija Gimbutas ha chiamato "Creatrix" questa Dea Madre universale, creatrice della vita, dalla quale la natura e il mondo provengono. La dea è raffigurata come una donna. Il corpo femminile è simbolo di potere e di fertilità. La Gimbutas trova naturale ciò. La nascita del bimbo dal corpo della donna è visibile e le caratteristiche essenziali della femminilità, i seni, il pube e l'addome, sono state venerate come creative. Solo dal 3 al 5% dei reperti del Neolitico sono maschili, il 95% sono raffigurazioni del corpo femminile oppure i loro simboli astratti diventano segni geometrici. Il triangolo del pube, nella sua raffigurazione "mentre dà la vita", è rappresentato come un triangolo, come V, come linea a zig zag oppure ondulata.

Le raffigurazioni maschili, spesso itifalliche, la Gimbutas non le vede mai come mariti e raramente come partners della dea. Lei le interpreta come potenza stimolante che la forza creativa della "Creatrix", associata alla sorgente della vita, stimola soltanto. Accanto ai tre aspetti femminili della dea la Gimbutas prospetta anche un aspetto maschile, come una quarta categoria, così anche i reperti di questo genere diventano molto importanti. L'archeologa non pare troppo sicura nell'interpretazione del maschile, ma sottolinea che nel passato la gente non dava molta importanza alla parte maschile della procreazione. La figura del padre non era rappresentata. Il lavoro della Gimbutas è principalmente iconografico e paragona sistematicamente i reperti sotto l'aspetto formale. Tante figure rappresentano esseri misti: corpi femminili con gambe o teste di serpente o raffigurazioni di lucertole. L'archeologa sistema le figure a seconda delle somiglianze e trova così un'attività che la quotidianità e la religione non separano.

Guardando le figure si scoprono anche segni e simboli che spesso hanno un significato ambiguo, per es. nella cultura Vinca, i cui simboli si combinano in una scrittura. Questa è per Marija Gimbutas una comunicazione medianica nella congiunzione tra cultura e religione. Esisteva circa 6000 v.u.Z., nella regione che in seguito fu chiamata Siebenbùrgen, una scrittura lineare, presumibilmente sillabica, formata da segni astratti e geometrici. Normalmente l'invenzione della scrittura viene attribuita ai Sumeri (3000 v.u.Z.). La scrittura Vinca è di gran lunga più vecchia, anche se non possiamo capirne la fonetica, perché non fa parte della famiglia linguistica indoeuropea. Marija Gimbutas ha capito e apprezzato questo linguaggio. La vecchia Europa ci ha lasciato affreschi con raffigurazioni femminili, vasi d'argilla con visi e seni, macinelli e centinaia, anzi migliaia di sculture femminili, statuine e modelli templari con piccole figure. Queste immagini hanno attratto l'interesse delle donne verso i risultati scientifici della Gimbutas. Tali figure rappresentano un tempo in cui della donna si aveva grande stima.

Dea su trono
Anatolia, Catal Huyuk, 6000 a.C.

Un dio padre non esisteva, ma esisteva per le donne la possibilità di identificarsi. Quel sapere ha un'enorme importanza non solo per la coscienza religiosa e spirituale della donna, ma anche perché da la possibilità di rafforzare il proprio essere. I modelli templari mostrano donne in veste di sacerdotesse e di sapienti. Potevano costoro influire nella politica e nelle richieste della collettività? Marija Gimbutas risponde a questa domanda in modo affermativo, provocando subito la reazione degli archeologi. La Gimbutas ne fa solo cenno, ma in questo modo fa qualcosa che la corporazione ha sempre respinto, specialmente nella Germania dopo il III Reich. Con la sua opera tardiva Marija Gimbutas va oltre le concezioni archeologiche del tempo. Denuncia la limitata istruzione degli archeologi che non collegano i presupposti per l'interpretazione.  Infatti la maggior parte di essi, sia in America che nell'Europa dell'Ovest, studiano separatamente l'archeologia, la geologia e le scienze naturali. Lei invece ha cominciato a studiare linguistica baltica ed etnologia. È nata in una famiglia che si è sempre impegnata per l'identità culturale della Lituania; fin da ragazza ha collezionato canzoni e fiabe. Durante la sua vita ha completato gli studi sulla conoscenza della mitologia lituana, irlandese, scandinava, celtica, romana e greca; in definitiva tutta la mitologia europea. Un altro importante presupposto per l'interpretazione era il suo sapere linguistico, ad esempio la distribuzione degli indoeuropei e di altri popoli, i nomi dei luoghi e dei fiumi.

Cosa c'era prima del patriarcato? Era la domanda che si poneva anche durante i suoi studi linguistici. Chi esplora le lingue baltiche si confronta sempre con l'indoeuropeo (patriarcale) e non col sostrato indoeuropeo.

Da bambina Marija Gimbutas ha sentito che la sua lingua madre era una vecchia lingua indoeuropea. La casa dei genitori -il padre era medico e la madre una delle prime dottoresse dell'epoca - era una casa aperta e intellettuale dove si incontrava gente interessata alla storia e alla politica. Già da allora Marija Gimbutas si chiedeva donde venissero gli indoeuropei. Nell'animata discussione sul paese d'origine di queste genti (una discussione scientifica che dura da un secolo e mezzo) la Gimbutas brillava per le sue teorie. Per lei le origini degli indoeuropei si trovano nella steppa della Russia del Sud, in un popolo bellicoso di nomadi che conoscevano cavalli e carri. In queste discussioni si trattava di mettere insieme le conoscenze linguistiche e archeologiche, ma chiaramente non si riusciva. Lo studio accademico della Gimbutas anche in tal senso risultava privilegiato. Lei dava agli allevatori patriarcali il nome di "Kurgans", una parola russa che significa basso tumulo, tipico di questa cultura. La tesi, come la sua antitesi, per l'indoeuropeo abbraccia più società, ma questo non è visto molto bene nelle discussioni accademiche.

Questi "Kurgans" furono, secondo la Gimbutas, quelli che invasero e distrussero la cultura pacifica dei tempi remoti, nei tre periodi di conquista: 4400-3500 e 3000 v.u.Z.

I "Kurgans" si amalgamarono con gli abitanti del luogo, da sempre agricoltori. In una prima ondata migrarono dalle steppe del Basso Volta e dal territorio del Don fino alla costa ovest del Mar Nero, lungo il Danubio, fino alla Bulgaria, alla Macedonia e all'Est dell'Ungheria. Marija Gimbutas parla di una Hybrid-Kultur. Il suo merito fu quello di aver trovato, col suo lavoro tardivo, la chiave per stabilire la differente origine di queste due culture.

Lei ammette di non aver percepito inizialmente i diversi simbolismi; la chiave è il risultato di 20-30 anni di lavoro. La differenza non è molto rilevante, ma i sistemi sono molto diversi.

Gli allevatori "Kurgans", avendo la concezione d'un dio maschile, padre del cielo, danno molto peso alla patrilinearità, mentre la vecchia Europa, a carattere agricolo, fondata su una divinità femminile creatrice, lascia l'eredità da madre a figlia e riunisce la famiglia nella casa della donna più anziana.

Anche nella religione indoeuropea appaiono divinità femminili, bellezze rare o spose, ma mai la "Creatrix". La Gimbutas afferma che gli indoeuropei erano patriarcali fin dall'inizio e riconduce questa organizzazione della società a un'economia diversa e a una struttura sociale che ha portato a un differente riflesso ideologico. Esistono però anche allevatori matricentrici la cui visione patriarcale è piuttosto debole nelle argomentazioni.

Marija Gimbutas non parla di matriarcato; vuole evitare un connubio con il patriarcato, cioè con una società dominante e opprimente. Usa una parola di Riane Eisler: "gylany", composta da "gyn" e da "an", provando a immaginare una società equilibrata in cui il potere femminile e maschile si compensano a vicenda. La Gimbutas trae le sue idee dal culto dei morti e dalla struttura dei villaggi, dei quali aveva una grande conoscenza. 
Aveva diretto infatti, tra il 67 e l'80, cinque grandi scavi in siti neolitici dell'Europa dell'Est, ma dovette fuggire a causa dell'invasione russa e attraversare l'Austria fino a Tubinga, dove si era laureata nel 46. Andò negli Stati Uniti e dall'Università di Harvard alla UCLA, l'università della California. Fino al 1990 fu professore ordinario per l'archeologia europea a Los Angeles. Il passaporto americano le permise di attraversare la cortina di ferro. La vita la costrinse ad andare da Ovest ad Est, ma le diede la possibilità di conoscere i differenti studi tra l'Est e l'Ovest, di fare confronti e di collegare le varie discipline. La caratteristica della cultura della vecchia Europa, al vertice della quale sta un'anziana donna, molto stimata, e non un capo, dove le donne esercitavano una grande influenza sul sistema simbolico della religione e della scrittura e dove erano anche arbitri e giudici; tutto questo diventa sempre più chiaro alla fine della vita della Gimbutas. Le sue deduzioni potrebbero essere confrontate con una società storica ancora viva, come quella dei Baschi, anche se ciò potrebbe essere criticato e non ritenuto valido. L'impressione di inesattezza nasce dal fatto che i suoi ultimi due libri dovevano essere comprensibili anche ai non addetti ai lavori (una giornalista ha dovuto ridurre una grande quantità di informazioni in "Civilization of the Goddess"). Sebbene autorizzati, è possibile che gli ultimi due titoli siano una interpretazione delle affermazioni di Marija Gimbutas. Quelle formulazioni mettono in rilievo la dimensione spirituale del suo lavoro, dimensione che esiste benché lei tenti di nasconderla. Rispondeva in modo spontaneo: "Perché sono diventata archeologa? Perché così volevano gli dei". Era una risposta evasiva.

La Gimbutas era nata in Lituania, un paese nel quale usi e credenze religiose si sono sovrapposti al cristianesimo. Ha avuto bambinaie e nonne che le raccontavano di streghe e di fate e si è sempre ricordata di loro, da scienziata, nell'indagare lo spirito delle antiche culture.

Traduzione dal tedesco di Anna Heidorn


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