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Costruzioni nuragiche



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CULTO E VIRTU’ DELLE ACQUE

di
Marco Puddu

Marco Puddu, medico chirurgo,
cultore di archeologia e astronomia, Thiesi.

“Chiare, fresche e dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna”.

Chi non ricorda i famosi versi che con nostalgia ci riportano ai giorni spensierati del Liceo? Petrarca era sicuramente ispirato da motivi puramente estetici rivolti a magnificare lo splendore della donna amata e mai avrebbe pensato di dare altro senso all’introduzione della sua più nota canzone.

Questi versi vogliono solo essere un omaggio all’elemento che più ci è familiare nella vita di tutti i giorni: l’acqua.

L’uomo è nato nell’acqua e per la maggior parte è costituito d’acqua in misura variabile, secondo l’età. La percentuale del 90% circa del peso totale di un neonato si riduce progressivamente col trascorrere degli anni sino ad arrivare al 50-60% di un anziano.

L’integrità dell’organismo umano e la sua omeostasi sono preservati da un esatto bilancio dell’acqua e degli elettroliti: la sua distribuzione nei vari tessuti e organi è condizionata dalle sostanze minerali in essa disciolte.

Senza dilungarci in un argomento molto specialistico, per ora basta affermare che l’uomo invecchia e muore perché si disidrata. A torto il nostro il nostro pianeta è chiamato Terra, perché ben 7/10 della sua superficie sono ricoperti dall’acqua degli oceani. Il nome più appropriato sarebbe stato…Acqua, ma questo i nostri progenitori non potevano saperlo.

Paulilatino. Pozzo di S. Cristina.

Eppure, accanto al culto della madre Terra, Gea, in armonia con essa, sin dai tempi più remoti, l’uomo ha sempre onorato il culto delle acque; e non poteva essere altrimenti data la nostra totale dipendenza da questo prezioso elemento.

Si capisce quanto questo fosse importante per i popoli della civiltà nuragica dal numero impressionante di reperti, di ottima fattura, rinvenuti in prossimità di fonti e nei pozzi sacri: statuine bronzee e figurine votive di vari animali, ceramica ornata a stampigliatura e a incisione, vasi in lamina di bronzo e vari manufatti di bronzo comprendenti spade, spiedi, punteruoli, aghi e spilloni (Santa Cristina di Paulilatino, Kukkuru Nuraxi di Settimo San Pietro, su Tempiesu di Orune…). Numerosi modellini di nuraghe-altari in calcare sono stati rinvenuti nel tempio a pozzo di Santa Vittoria di Serri, che fu storicamente il primo monumento nuragico della giara a essere scavato, nel 1909, dal Taramelli; 15 lingotti di piombo nel tempio a pozzo di Santa Anastasia di Sardara; una coppa di bronzo con dorature nel pozzo di Matzanni di Villacidro…

I templi a pozzo o fonti sacre sono diffusi in tutta l’isola. Sono caratterizzati da tre ambienti: vestibolo o atrio, scala e pozzo: il vestibolo era riservato alla funzione religiosa e alla raccolta delle offerte; la scala a rampa unica, rettilinea, faceva da tramite tra il mondo esterno degli uomini e quello sacro della divinità; il pozzo, costituito o sormontato da una camera cupolata, era il centro fisico-spirituale della struttura architettonica, perché conteneva l’acqua sorgiva ove aleggiavano lo spirito o gli spiriti delle acque.

In Sardegna il culto delle acque ha un significato tutto particolare e questo in relazione alla siccità e alla conseguente carestia delle torride annate senza pioggia.

Siamo ormai alle soglie del 2000 eppure ogni tanto nei nostri quotidiani si legge di processioni ad petendam pluviam, fatte cioè per chiedere la pioggia: non sono altro che il retaggio del nostro più cruento passato. Come riferiscono infatti gli antichi storici greci Eliano e Timeo, nella Sardegna nuragica il rituale consisteva in una vera e propria esecuzione capitale, poiché si affogavano dei vecchi dentro pozze d’acqua, o li si precipitava in “sos mammuscones”, cioè in baratri che contenevano acqua sorgiva.

Non si può fare a meno di ricordare le innumerevoli leggende sulla ricerca della “ fonte della giovinezza “, nel misterioso “ Regno di prete Gianni ”, le cui acque ridonavano vigore e gioventù. Di questa ricerca si occupò tale Ponce De Leon che nel 1943, anno in cui fu accanto a Cristoforo Colombo, fino alla sua morte avvenuta nel 1521, circumnavigò la Florida spingendosi fino a Cuba e alle Bahamas. Naturalmente non trovò la “ fonte della giovinezza “, ma scoprì il canale di Bahama che sarebbe stato un passaggio obbligato tra Cuba e la Spagna per i futuri navigatori.

Certo è che sin dall’antichità tutti ipopoli hanno ricercato e apprezzato le virtù terapeutiche delle acque medicamentose. Il medico greco Ippocrate consigliava l’acqua sorgiva per i suoi effetti salubri.

Solino e Isidoro riferiscono che alcune fonti in Sardegna raccoglievano acque termo minerali che avevano la proprietà di far scoprire i ladri e gli spergiuri: gli indiziati dovevano lavarsi gli occhi con l’acqua della sorgente: se questi erano innocenti non accadeva nulla, mentre i malfattori erano colpiti da cecità.

Furono i Romani a costruire per l’acqua le opere più monumentali: acquedotti, ponti e terme.

“ Ruma “, in etrusco, pare significasse “ acqua “  e “ Rumon “, secondo il grammatico latino Servio, era chiamato il tratto di Tevere corrispondente al centro abitato. Questa sarebbe, secondo alcuni studiosi, la vera origine del nome della capitale, e c’è da crederci se, come sembra, si inizia a pensare al declino della civiltà romana quando, con l’assalto a Roma del 537 d.C., Vitige rovinò l’Acquedotto Alessandrino. Fino allora, per circa nove secoli, dall’inaugurazione dell’Acqua Appia, il più vecchio acquedotto romano costruito nel 312 a.C. da Appio Claudio Cieco, Roma era stata veramente la città meglio rifornita di acque del pianeta.

Nel costruire i ponti, i Romani non erano inferiori a nessuno, e per quanto riguarda le terme, ovunque fondassero città, mai mancavano di costruirne qualcuna. Per i Romani le terme non erano soltanto luoghi di cura, ma anche punti di ritrovo e di svago; in alcuni periodi dell’Impero divennero dei veri e propri salotti frequentati dall’aristocrazia capitolina, in altri periodi luoghi di incontri e di appuntamenti: come dire che i Romani già da allora seguivano la moda e la tendenza del momento.

Come già detto, ritenendo che l’acqua di alcune sorgenti avesse proprietà medicamentose, l’uomo ha sempre fatto ricorso ad esse, alcune bevendole, in altre bagnandosi.

E’ questa la sostanza della moderna Idroterapia, cioè della terapia clinica a base di acqua. Infatti possiamo considerare le acque particolarmente ricche di minerali come veri e propri medicinali e come tali dobbiamo farne un uso corretto.

Non a torto l’acqua ha il posto di primo piano che le attribuiamo sia come alimento sia come elemento naturale.

Chi si occupa scientificamente di digiuno per motivi religiosi o curativi afferma che l’uomo sano può resistere anche un mese senza mangiare (non a caso Gesù riusciva a digiunare sino a 40 giorni) ma è impensabile restare senza bere acqua per poco più di tre giorni: ne deriverebbe subito un danno cerebrale irreversibile e in seguito un blocco renale.

Lo stesso spazio riservatole nei miti giustifica il ruolo dell’acqua come energia e forza vitale: Venere è nata dalla spuma delle acque dell’Egeo; Romolo e Remo furono abbandonati in una piccola zattera sulle acque del Tevere; non differente fu la sorte assegnata a Mosè, affidato in una cesta alle acque sacre del Nilo. Non dimentichiamo infine che la stessa parola battesimo deriva dal greco baptizo che significa letteralmente “ mi immergo “, e all’epoca di Gesù avveniva materialmente nell’acqua di un fiume: la Rigenerazione e il Rinnovamento passano assolutamente anche in senso figurato nella totale immersione del nostro elemento vitale.

 



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