MIGLIONICO: Storia, Arte Cultura e Tradizioni

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                             S. GIUEPPE, scultura del '500   (1837-1891)          HOME PAGE

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GABRIELE SCARCIA

 

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 08/02/2002

UN'OPERA DI PAOLO da CASSANO A MIGLIONICO

Nella spettrale e suggestiva cattedrale di Acerenza, in una rigida giornata del cadente inverno del marzo 2000, alla presentazione di un libro sulla millenaria presenza del sacro edificio, incrociai a fine dibattito il Prof. Michele D’Elia, già Direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma e la Direttrice della Pinacoteca Provinciale di Bari Dott.ssa Clara Gelao.

San Giuseppe di Paolo da Cassano - Scultura del Cinquecento  (Archivio Storico-Fotografico Gabriele ScarciaFu con quest’ultima che intavolai una conversazione sulla presenza nella Collegiata di Miglionico di una statua da presepe in pietra, di dimensioni reali, raffigurante un San Giuseppe. Sapendo della perizia in materia della colta interlocutrice, con il placito assenso del D’Elia e della sua erudita compagna Pina Belli, ben conosciuti entrambi nell’ambiente della critica artistica, espressi la piena convinzione che la scultura fosse opera del primo ‘500 da attribuire alla migliore stagione di uno scultore pugliese preso solo da pochi anni in seria considerazione e vissuto sempre all’ombra di Stefano da Putignano.

Non avevo mancato di notare, tempo addietro, in una furtiva visita alla Pinacoteca Provinciale del capoluogo pugliese, un San Giuseppe in pietra dalle stesse volumetrie e caratteristiche formali di quello conservato nel piccolo centro del materano, accompagnato questa volta dalla figura della Vergine, del Bambino e degli animali. Rimaneva l’intero gruppo in stato larvale, ricordevole di una scenografia che prevedeva certamente una grotta in pietra locale e ulteriori figure, come è possibile ammirare negli esemplari custoditi in Altamura e Matera, senza parlare della policromia dell’insieme caduta irrimediabilmente dalla stragrande maggioranza delle superfici. Ma la convinzione sull’attribuzione dell’esemplare di Miglionico, peraltro unico superstite di un più ampio complesso di statue, probabilmente rimaste sepolte dal crollo del stesso sacro edificio che le ospitava, si fece puntuale nel luogo di provenienza dell’artista pugliese.

Come spesso succede, uno scultore o un pittore lasciano, per una sorta di testamento materiale, almeno una loro opera nei luoghi che li hanno visti nascere, come a Pieve di Cadore si può ammirare una pala del Tiziano o a Conegliano una del Cima, così risultò pure essere per il nostro autore, che si adoperò di pregiare il Santuario di Santa Maria degli Angeli in Cassano Murge di un artistico presepe in pietra. Conosciuto difatti con il nome di PAOLO DA CASSANO, l’artista firmava così una delle più nostrane rappresentazioni dell’evento della natività e il catalogo delle sue opere si è visto accrescere negli ultimi anni; vanno di lui, l’altro presepe, molto malridotto, nel monastero di Santa Scolastica a Bari, una Madonna con Bambino nella Cattedrale di Altamura ed ulteriori Sacre Famiglie e statue lignee descritte da documenti coevi e allo stato attuale irrintracciabili.

A monte di una tale personalità artistica, ben distinta dalla figura di un caposcuola come Stefano da Putignano più duro e tormentato nella resa scultorea, vi è l’originaria svolta data da due scultori quattrocenteschi come Giovanni e Pietro Alamanno che, invertendo proprio il ruolo del San Giuseppe, la figura più discutibile dell’evento della natività, assegnarono al santo falegname, a dispetto del secolo precedente quando compariva in disparte, custode unico della verginità di Maria, un ruolo da protagonista partecipe del celeste avvenimento. Non prive di fascino, le loro realizzazioni, come quella del 1478 per la chiesa di San Giovanni a Carbonara, costituirono per la generazioni successive punti di riferimento alle quali attinse a piene mani un scultore come Giovanni da Nola: di costui vidi, nella trattazione di una scultura del santo in questione,  posture e modi non dissimili all’esemplare di Miglionico e una vena di patetica espressività permeare il tutto, in una mia proficua visita al Museo Nazionale di San Martino a Napoli.

Pure fondamentale, a livello documentario, per gli antefatti che precedettero l’avvento di una tipologia statuaria ben precisa come quella descritta, alla quale si rifà tutta una vasta produzione che serpeggia tra Puglia e Basilicata, è un documento del 1532 che, descrivendo dettagliatamente un presepe con pastori in terracotta dipinta, in un momento in cui le figure presepiali erano realizzate prevalentemente in legno, ci porta sulle tracce di un artista assai vicino ai modi del suddetto nolano, tal Domenico Impicciati; il suo presepe, eseguito per un patrizio sorrentino, aveva la medesima struttura di quelli contemporanei della Cattedrale di Matera e del Duomo di Altamura, per citare i  centri maggiori, con la grotta in basso circondata da pastori e angeliSan Giuseppe di Paolo da Cassano (scultura del Cinquecento) musicanti cui sovrastavano i complessi montuosi popolati da numerose figure umane e animali.

Da questi presupposti, le cui differenze sostanziali si ravvisano anche nei materiali usati: terracotta e legno per quelli napoletani, pietra locale per i pugliesi e i lucani, si dipartono le direttrici per le opere di un attento artista come Paolo da Cassano, che dosando la forza sul suo scalpello, riuscì a dar vita a prototipi non confondibili o sovrapponibili a quelli dei troppo osannati Stefano da Putignano, Sannazzaro D’Alessano e Altobello Persio.

Nel modello rimasto in Miglionico, da poco restaurato, dopo che le ridipinture sovrammesse avevano ispessito e resi illeggibili i contorni e i tratti più significativi del corpo cancellando ogni accenno delle cromie originarie, con un piede monco saltato con la sottile base, il panneggio è trattattato morbidamente nel pesante mantello che attraversa in diagonale la figura, come pure nello spartano abito sottostante.

La grazia della posa, affidata sostanzialmente alla torsione del capo e al suo deragliamento dall’arrestante parallelismo con il ginocchio alzato e piegato, come invece si nota nell’esemplare cassanese, concede all’espressione un dialogo più umanizzato e con lo spettatore e nell’ambito della sceneggiatura dell’intera scena. Il lieve incrocio degli avambracci e delle nocchiute e ruvide mani, con la sinistra accavallata sulla destra, crea un impianto compositivo che rifugge da rigidezze e ieraticità figurative sin troppo notorie alle botteghe pugliesi e lucane della pietra lavorata nella prima metà del ‘500.

La bonarietà espressiva, indice di una arguta lavorazione della non facile pietra tufacea, palesa una finezza plastica esecutiva che indugia a lungo nei particolari: dalle rughe del viso alle vene ingrossate, dalla morbida barba al naso affilato, dall’ossatura del volto ai capelli arruffati, dai calzari con tanto di fibbia e tomaia lavorati ai bottoni dell’aspro robone; veri brani di scultura questi, miscelati con una stringente componente realistica.

E alcune considerazioni nascono proprio dalle singole parti: l’avere, per esempio, perforato in profondità le pieghe a cannule del mantello trattenuto da un braccio, ci fa intuire la collocazione della statua e della grotta ad una certa altezza, la stessa postura ci dice sulle posizioni del Bambino e della Madonna nella scena.

Conservato nella Basilica di Miglionico, proveniente dal Convento francescano e ancor prima dalla Chiesa del rione Torchiano, assegnabile al terzo decennio del XVI° secolo, quando l’artista può certamente contare su la sostanziosa schiera di aiuti della sua  bottega, questa figura, pur denunciando incertezze sulle proporzioni dell’insieme, esce, per la sua espressività, dai rigidi condizionamenti delle scuole locali, divenendo, da pezzo canonico della millenaria tradizione evangelica, mero compiacimento estetico della povertà e celebrazione della santità in chiave umanizzata (Gabriele Scarcia).