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Polittico di Cima da Conegliano

Giacomo Amati

Un Cima da Conegliano vero, però, non è certamente da meno
Michelangelo? Magari
Voci smentite su una tela custodita a Miglionico

La Gazzetta del Mezzogiorno
10 Aprile 2006

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MIGLIONICO - Ha suscitato un certo scalpore nei giorni scorsi la notizia della scoperta di una tela attribuibile a Michelangelo Buonarroti, custodita nella chiesa Madre Santa Maria Maggiore. Diffusa dall'arciprete don Mario Spinello, la notizia della scoperta è riconducibile ad un'equipe di esperti della Soprintendenza per i Beni artistici e culturali di Firenze. In particolare, sarebbero stati interessati il dott. Antonio Paolucci del Museo degli Uffizi e il cardinale Piovanelli di Firenze per certificare la presenza del capolavoro di Michelangelo. Che dire? Si tratta di una semplice ipotesi o, al contrario, si deve parlare di una splendida realtà? A tal proposito, per capire di più, abbiamo rivolto alcune domande all'esperto d'arte miglionichese, Gabriele Scarcia. «Si tratta dell'opera intitolata, «Discesa dalla croce», precisa Scarcia. La tela, che ha le dimensioni di 2 metri e 50 centimetri per 1 metro e 75 centimetri circa, raffigura il momento della discesa dalla croce del corpo morto di Gesù. Dietro le scale si intravede S.Giovanni che tiene il braccio al Cristo esanime, mentre la Maddalena gli cinge i piedi. La Vergine è in primo piano, piegata su se stessa, con il velo scuro, affiancata da due figure femminili dolenti. S.Giuseppe d'Arimatea, sempre in primo piano a un lato, in tunica gialla e tenaglia in mano, di profilo, osserva la scena». Chi può essere l'autore? Secondo Scarcia «l'opera, che rientra nel filone manierista, è attribuibile a un ignoto e colto allievo del potentino Antonio Stabile, pittore attivo in Basilicata e in regioni limitrofe nella seconda metà del XVI secolo (1500), che ebbe come maestro Silvestro Buono. Stilisticamente l'opera è della stessa mano che dipinse la «Deposizione» per la chiesa di S.Francesco d'Assisi di Matera ed alcune altre tele custodite in chiese lucane e pugliesi, distinguibili tutte per l'uso di una tavolozza dai colori chiari a toni freddi e aciduli, con tonalità violacee, giallognole e rosse, per il disegno delle sottili sopracciglia dei personaggi, per la strizzatura delle stoffe, per la linearità dei paesaggi astratti. Il linguaggio pittorico, conclude Scarcia, appare fortemente influenzato dai moduli devozionali di discendenza raffaellesca di un Leonardo da Pistoia. Non manca, comunque, il forte ascendente dell'ambiente napoletano degli anni settanta del Cinquecento, quello non ancora largamente influenzato dalla colonia fiamminga». In definitiva, secondo il giudizio di Scarcia, l'opera non è attribuibile a Michelangelo.

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